+

IN NOMINE PATRIS,

ET FILII,

ET SPIRITUS SANCTI.

AMEN.

DEUS IN ADIUTORIUM MEUM INTENDE.

DOMINUM AD ADIUVANDUM ME FESTINA.

GLORIA PATRI,

ET FILIO,

ET SPIRITUI SANCTO.

SICUT ERAT IN PRINCIPIO

ET NUNC ET SEMPER

ET IN SÆCULA SÆCULORUM.

AMEN.

LAUS TIBI DOMINE, REX ÆTERNÆ GLORIÆ.

NOS CUM PROLE PIA

BENEDICAT VIRGO MARIA!

SANCTE MICHAEL ARCHANGELE

PROTEGE NOS!

ANGELI CUSTODES NOSTRI

VIGILATE SUPER NOS!

+

Luce delle montagne ~ F. Xavier Weiser. Recensione

Fede e Cultura 2013

Questo romanzo, capolavoro del padre Franz Weiser SJ, pur essendo breve, ricorda Dostoevsky per la sua narrativa appassionante, il suo realismo, la sua profondità psicologica, e la sua straordinaria potenza, sia emozionale che spirituale. La traduzione italiana è da racommandare per il suo stile scorrevole, conciso, ed idiomatico, anche se tende ad abbreviare il testo ed a trascurare la raffinatezza e sottigliezza letterarie e poetiche dell’originale tedesco.

Il trattamento rigoroso fatto dall’autore, delle virtù giovanili e la luce con la quale ne illumina la bellezza, prestano al libro un grande valore ed una grande attualità per la nostra epoca, caratterizzata da una dissoluzione morale e da una perdita di Fede quasi universali: da parte dei giovani in particolare. Per questo, la lettura del libro conviene altamente ai giovani di oggi, per ispirarli e per formarli a vivere da buoni cattolici in un ambiente sempre più ostile alla loro salvezza; ma conviene anche agli adulti per esaminare la propria condotta passata e per convertirsi, e, se sono sposati, per chiedersi quale modello rappresentino per i loro figli, e quale educazione gli forniscano.

*

Il racconto si svolge nella prima metà del secolo scorso, in una scuola di Vienna e nelle montagne del Tirolo.

Hans Moll, un giovane sedicenne, snello, alto, sciatore esperto, scende dalle montagne per passare un anno scolastico presso un suo parente lontano, Fritz Egger, il narratore della storia. La loro classe è divisa in quattro gruppi: i rossi, i neri, gli ebrei, ed il ‘Club’. L’ultimo gruppo, che è anche il più numeroso contando circa 20 membri, è quello dei borghesi liberali, noto per il loro atteggiamento spregevole verso il gruppo più piccolo, i neri, cioè i cattolici convinti. Fritz appartiene al Club, il suo parente, invece, si identifica subito come un nero.

Parecchie sono le prove del nuovo arrivato per vivere, e per testimoniare, la sua Fede, e per combattere tutte le tentazioni dell’adolescenza e gli attachi accaniti che gli orchestra senza rimorso il Club. In questa dura lotta il giovane Hans diviene simbolo della Chiesa stessa, preda del Mondo, ma vittoriosa su di esso tramite una resistenza virile e costante, in Colui che ci dà la forza.

Il suo parente, Fritz, personaggio complesso e debole, lo ama ed ammira, vuole essere coraggioso e grande come lui, ma appoggiandosi solo sulle proprie forze, e senza umiliarsi sotto il giogo della Fede e senza uscire dal suo stato di grave ed abituale peccato. Fà il doppio gioco: amico, confidente, e compagno di camera di Hans, ma dietro alle sue spalle complice del Club e del suo capo cinico e sinistro, il libertino benestante Kurt Berner.

Il primo momento drammatico del libro avviene a poche pagine dall’inizio, quando Fritz si alza dal letto, dopo che si sono addormentati suo parente e suo fratello minore, per cercare nel diario privato di Hans sulle sue escursioni in montagna, un brano che egli aveva voluto nascondere a loro. Tale brano, scritto il giorno del suo sedicesimo compleanno dopo aver ricevuto la santa Comunione, consiste in una preghiera in forma poetica: “Dammi che nel cuore, sia in gioia che in dolore, vegli la purezza forte, e che sulla fronte, raggiante come l’aurora, rida la gioa pura.” ‘Come rimisi il libro e andai a letto,’ continua il narratore, ‘non lo posso dire. Il senso di vergogna che mi sopraggiunse dopo dura ancora oggi’.

La purezza, infatti, assieme al sacrificio ed alla Fede cattolica, sono i temi principali del racconto, Queste virtù si manifesteranno alla fine del libro in tutto il loro splendore, ma anche in modo notevole quando i tre ragazzi arrivano alla casa di Hans per le vacanze di Natale.

L’incontro con la madre di Hans viene descritto da Fritz in questi termini: ‘Non sarei capace di spiegarvi cosa sentii in quel momento, ma, come una meraviglia, l’essere di questa donna mi rese felice fin dal primo istante. Mi pareva che irradiasse da lei un sole, grande e silenzioso, … sui tratti freschi della sua faccia giaceva il leggero ed acerbo bagliore di affanni matrimoniali e materni, di lavoro e di sacrificio nascosto. Dagli occhi brillava invece quell’unico e glorioso, quel caloroso e comunque tanto serio chiarore, di profonda ed altruista maternità.

‘E tutto quello costituiva per la donna una propria consacrazione. Era quella la cosa più bella in lei: qualcosa di inavvicinabilmente fresco e puro. All’epoca non sapevo cos’era. Un leggero sospetto mi disse che fosse qualcosa di ‘santo’. Mi pareva solo che mia mamma non lo possedesse, per quanto cara e buona fosse.

Più tardi scoprii la ragione: la madre di Hans portava Dio nel suo cuore con incrollabile forza e fedeltà. Riceveva ogni mattina la santa Comunione, e la bontà e l’amore ineffabili di Dio irradiavano dal cuore di questa donna un calore beatificante sul marito e sui figli.’

L’amicizia di Hans col suo parente, la sua testimonianza della Fede, ed il suo eroismo morale, malgrado il suo temperamento focoso e le sue lacrime, fanno riconoscere in fine a Fritz la propria miseria e lo spingono a sottomettersi a Dio, da Cui solo deriva ogni forza e grandezza; di prendere coraggio per fare una confessione generale e per convertirsi definitivamente alla Fede cristiana.

In Tirolo aveva scritto: ‘Questo meraviglioso mondo delle Alpi, in tutta la sua grandezza e maestosità, mi circondava come un mondo di sogno. Dietro di esso, in lontananza, potevo tuttavia scorgere la grande città avvolta nella nebbia, un’oscura massa di edifici che annegavano nel baccano e nella febbrile calca della vita cittadina. Era, riflettei con un brivido, la vera immagine della mia anima.’

Se la città grigia è l’immagine dell’anima di Fritz, l’immagine dell’anima del suo cugino, invece, anche se l’autore non lo dice esplicitamente, sono chiaramente le montagne, che costituiscono, per così dire, una delle dramatis personae principali del racconto. La grandezza, bellezza, splendore, e sublimità delle montagne non sono che simboli, infatti, delle qualità morali dell’anima dell’eroe, che trascendono il mondo intero, ed indicano, al di là ed al di sopra di se stesse, qualcosa delle infinite perfezioni di Dio.

Deo gratias!

L’amore crocifisso di Cristo

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

San Paolo, nella lettera agli Efesini (3. 14-19), scrive che lui piega le ginocchia davanti al Dio Padre affinché i fedeli possano essere ‘potentemente rafforzati dal Suo Spirito nell’uomo interiore’, che ‘Cristo abiti per la Fede nei (loro) cuori e così, radicati e fondati nella Carità’, possano ‘conoscere l’amore di Cristo’ per poter essere ‘ricolmi di tutta la pienezza di Dio.’

Con queste parole l’Apostolo indica per l’uomo un cammino spirituale che comincia con la preghiera allo Spirito Santo per essere forte contro tutti gli attacchi che gli possano venire dai suoi nemici, cioè il Mondo, la Carne, ed il Demonio. In seguito a questo consolidamento dell’uomo interiore, san Paolo prega che Cristo abiti per la Fede nel suo cuore: cioè che l’uomo conosca Cristo per la Fede, e così che Lo accolga nella mente come Verità, ma anche nel cuore come oggetto del suo amore. Poi, radicato e fondato nella Carità, cioè amando Cristo ed il prossimo in Lui, potrà conoscere l’amore di Cristo in tutta la sua estensione: nel senso di amare Cristo ed essere amato da Lui fin quanto è possibile; e finalmente di essere persino ricolmi di Lui, essendo ricolmi della conoscenza di Lui e del Suo amore verso l’uomo, come anche amando Lui ed il prossimo, fino all’unione definitiva dell’uomo a Dio.

In sintesi, dunque, il cammino procede dall’ascesi cristiana ad una Fede ferma, e poi alla Carità, sia ricevuta da Dio, sia data a Dio ed al prossimo, fino all’unione mistica con Dio.

Osserviamo come san Paolo parla in estremi apparentemente contradditori: prega che i fedeli possano ‘conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza’, cioè che possano comprendere l’incomprensibile; prega che siano ‘ricolmi di tutta la pienezza di Dio’, cioè che, pur essendo finiti, possano ricevere in sé l’infinito, che è Dio.

La parole ci ricordano il brano sul suo rapimento al terzo Cielo (2. Cor.12) dove sentiva ‘parole indicibili’ (hreta ahrreta). In questi tre passi ci porta, per così dire, fino all’orlo dell’infinità, all’orlo della Divinità: ad un luogo dove il nostro intelletto e le nostre capacità non sono più in grado di operare nel modo che operano in questa vita, ma saranno rese capaci per poter comprendere e ricevere qualcosa che è più grande di questa vita: e l’occhio vedrà, l’orecchio udirà, e la mente conoscerà ciò che l’occhio non ha mai visto, né l’orecchio udito, né è venuto nella mente umana di concepire: cioè qualcosa di Dio Stesso.

Chiaramente sarà dato a noi di comprendere la pienezza di Dio: di conoscerLo ed amarLo come il Vero ed il Bene infiniti, solo in Cielo: quando tramite facoltà glorificate e trasformate, potremo finalmente conoscerLo revelata facie, vederLo come lo è, sicuti est, eppure amarLo come tale, anche se questa comprensione non sarà mai completa, ma crescerà e si aumenterà sempre di più nel corso infinito dei secoli, mentre ci avviciniamo gradualmente, e senza mai raggiugerLo, verso la pienezza dell’Essere infinito di Dio.

Ora, ‘l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza’ viene esposto in termini della sua ‘ampiezza, lunghezza, altezza, e profondità’: in altre parole, viene raffigurato come la croce, paradigma del Suo Divin amore per l’uomo: l’ampiezza nell’abbracciare tutta la terra e tutti gli uomini; la lunghezza nel’abbracciare tutti i tempi, dall’eternità all’eternità; l’altezza nell’abbracciare il Paradiso, e nel suo orientamento verso il nostro ultimo destino; la profondità nell’abbracciare lo stesso Inferno nel Suo Divin amore.

‘Elevata sulle cime dei monti,’ scrive san Lorenzo Giustiniani, ‘sicura da tutte le tempeste, da tutti i turbini, da tutte le bufere, nessun nemico le si può avvicinare per il folgoreggiare delle saette che da essa promanano, vigilata tutt’intorno dagli angeli, sicurissima per la sua sublimità, inaccessibile per la sua misteriosità, ben salda per la sua incomparabile lunghezza, immensamente capace per la sua sconfinata vastità che attinge alle vette stesse del cielo e che si protende fino ai vertici dell’empireo, con la sua altezza incommensurabile, con la sua grandezza divinamente eccelsa, e penetra con la sua profondità gli abissi della terra e discende con la sua potenza fino alle carceri tenebrose dell’Inferno, mentre per la sua bontà, per la sua longanimità, ogni dolore diventa sopportabile, ogni affanno diventa consolabile. Che cosa dire anche della sua larghezza se è capace di accogliere nel suo infinito abbraccio tutti gli eletti?’

Come si potrebbe mai conoscere o comprendere questo amore crocefisso che è del tutto infinito, come l’infinità indicata dalle braccia della croce? Come si potrebbe mai comprenderlo nella sua estensione, o molto meno nella sua intensità, costituendo un amore sacrificale di un dolore e di una sofferenza sufficienti di redimere un’infinità di mondi?

La Chiesa ci insegna che una ragione per la Passione e della Morte del Signore fu di manifestarci il Suo amore per noi e di chiamarci a riamarLo. I santi insegnano che nessun’altra devozione è così efficace per instillare nei nostri cuori questo amore per Lui, che non la meditazione sulla Sua Passione. L’amore con cui Lo dobbiamo riamare è dunque l’amore sacrificale: Vivere per Lui, lavorare per Lui, offrire tutte le nostre gioie e sofferenze a Lui. Così, coll’aiuto della Spirito Santo saremo potentemente rafforzati nell’uomo interiore; così ci potremo consolidarci nella Fede e accoglierLo nei nostri cuori; e così, radicati e fondati nella Carità, potremo comprendere, infine, con tutti i santi, l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio. Amen.

Il timore della morte

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Timor mortis conturbat me  (dalla poesia medioevale)

Il timore della morte è un fenomeno naturale per due motivi. Il primo ne è che la morte è un avvenimento contro natura: L’anima umana infatti è orientata al corpo, per costituire assieme ad esso un’unità sostanziale, mentre la morte, che avviene tramite la separazione violenta dell’anima dal corpo, rompe quest’unione naturale. Il secondo motivo ne è che la partenza dell’anima, privando il corpo del suo principio vitale, lo lascia preda ai processi di corruzione e di putrefazione.

Com’è che la morte è un avvenimento contro natura? Perché la morte è un tratto della natura caduta ed un effetto del Peccato Originale: non fu creata da Dio di Cui tutto ciò che è creato è buono. Dio creò la natura umana nello stato di innocenza originale e la vita umana tale di poter non morire mai. Fu il demonio a far cadere la natura umana e di intaccare la vita umana con la morte. In altre parole, se fu Dio a creare la natura umana e la vita, fu il demonio, per così dire, a creare la natura caduta e la morte.

Non abbiamo altra scelta che rassegnarci già adesso a tutte le pene che potranno accompagnare la nostra morte, secondo l’aspirazione di sant’Alfonso nella Via Crucis, e di accettarle ed offrirle a Dio in punizione e riparazione per i nostri innumerevoli peccati.

Ora, se ci sono due motivi naturali per temere la morte, ce ne sono anche due sovrannaturali: cioè la consapevolezza dei peccati commessi durante la vita e l’incertezza della salvezza. Per combattere questo timore sovrannaturale, bisogna applicarci con grande impegno alla pratica delle virtù cristiane. Occorre una battaglia senza tregua contro i peccati e le tendenze peccaminose. Quali sono i peccati miei abituali? Qual’è il mio vizio predominante? Se lo trovo, devo attaccarlo coraggiosamente, perche vincerlo mi aiuterà progredire lontano nella strada della perfezione. Occorre frequentare i sacramenti assiduamente: la santa Messa non solo la domenica, ma anche più spesso; la confessione non solo a Pasqua, ma più volte all’anno. In questi modi potrò ridurre la gravità e frequenza dei miei peccati ed essere più sicuro della mia salvezza. Ricordiamo le parole del Signore a santa Gertrude: ‘A chi ascolta devotamente la santa Messa, Io manderò negli ultimi istanti della sua vita tanti di miei santi per confortarlo e proteggerlo quanti saranno state le Messe da lui ben ascoltate’.

Questo lavoro, però, deve cominciare subito. Chi sa se qualcuno che sta leggendo questo testo adesso sopravivrà fino a stasera? – mentre dice a se stesso: ‘Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni; riposati, mangia, bevi, e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tu vita. E quello che hai preparato di chi sarà?’ (Lc 12. 19-20). Se dovessi morire tra poco, anzi, se fossi già sul letto di morte, di quali peccati mi vergognerei? Di quali abitudini e di quali peccati individui? La mia impazienza (anche se solo leggera)? Se pecco 2-3 volte al giorno in questo modo, dopo un anno avrei peccato 1,000 volte, ma questi peccati dovranno essere tutti riparati. E quelli soldi presi con l’intenzione di restituirli, ma che per un motivo o un altro non ci sono mai riuscito? O quell’atto impuro di cui mi sono talmente vergognato che non l’ho mai confessato – anche a costo di tante confessioni sacrileghe?

Mi metto in ispirito sul letto di morte adesso, e mi chiedo di che cosa mi vergogno, che cosa può impedire la mia salvezza eterna, quali sono i miei peccati e le mie tendenze peccaminose; e nel tempo che Dio mi concederà a partire d’adesso fino alla mia morte, proverò a correggermi, affidandomi intieramente alla grazia di Dio e all’intercessione della Sua Santissima ed Immacolata Madre Maria.

Se in questo modo mi impegno per condurre una buona vita cattolica, non avrò niente da temere. Il timore della morte appartiene infatti piuttosto ai pagani ed a coloro che non praticano la Fede. Per i cattolici praticanti, invece, è un passaggio ad una vita migliore: il Paradiso, o almeno il Purgatorio, un luogo dove, malgrado le sofferenze che lo caratterizzano, l’anima, adesso libera da ogni dubbio sulla sua salvezza, si avvicina sempre di più alla sua unione definitiva a Dio.

Mi posso consolare con i pensieri seguenti: che prima di noi Nostro Signore Gesù Cristo Stesso è passato attraverso la morte; che Egli con la Sua morte ha vinto la morte e ci ha apparecchiato la vita eterna; che Egli Stesso ci accompagnerà nel nostro passaggio a questa vita.

‘E quando fu giunta la sera, Egli disse: Passiamo all’altra riva’(Mc 4. 35). Quando la sera della mia vita sarà giunta, mi dirà: Passiamo. Passiamo attraverso il lago, attraverso l’acqua della morte, all’altra riva, all’altra vita: alla vita fino ad ora sconosciuta a te, ma conosciuta a Me, dove ho preparato un posto per te. E se si sollieve una tempesta, sappi che Io sarò con te, calmerò la tempesta e ci sarà una grande bonaccia. E perche hai timore, dunque? Non hai ancora Fede?

‘Simon Pietro gli dice: Signore, dove vai? Gli rispose Gesù: Dove Io vado per ora tu non puoi seguirMi; Mi seguirai più tardi… Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con Me, perché siate anche voi dove sono Io’ (Gv 13.36, 14.2-3). Il momento del mio passaggio non è ancora venuto, la sera non è ancora venuta, ma verrà più tardi. In questo giorno che mi è concesso dalla misericordia di Dio, devo prepararmi: per quello mi fu concesso.

Mi preparerò con una buona vita e con la preghiera, anche quella della pratica della presenza di Dio, perché Dio è sempre con me, ed anzi abita in modo particolare nell’anima del fedele in istato di Grazia: ‘si ambulavero in medio umbrae mortis, non timebo mala: quoniam tu mecum es’: se camminerò in mezzo all’ombra della morte non temerò il male, poiché siete con me’(salmo 22). Anche sul letto della morte continuerò a praticare la presenza di Dio, unendomi a Lui, l’Ospite Divino nel cuore, unendo la mia morte alla Sua morte in croce per amore di me. Ciò sarà il mio grandissimo conforto negli ultimi momenti della vita.

E pregherò alla Beatissima ed Immacolata Madre di Dio, Maria Santissima, che fu immune del timore della morte perché immune del peccato e assolutamente certa della salvezza: che mi accompagni anche Lei nel mio passaggio nell’al di là. Anzi, già adesso ogni volta che prego a Lei, mi assicurerò della sua protezione materna alla fine della vita, chiedendole con fervore: Ora pro nobis, nunc et in hora mortis. Amen – preghi per noi adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.