Magnificat

the Visitation

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Giunta alla casa di santa Elisabetta, la Madonna la saluta, e santa Elisabetta le risponde; ma ad un livello più profondo che la comunicazione umana fra le due santissime donne, avviene una comunicazione spirituale tra i loro figli. La presenza di nostro Signore Gesù Cristo nel grembo celeste della Sua Gloriosa Madre si manifesta infatti al Suo cugino e lo riempie dello spirito di profezia, così che, esultando nel grembo di santa Elisabetta, annunzia l’Avvento del Signore. Questa esultazione (saltare) del Battista è profetica anche in un secondo senso, in quanto prefigura il proprio martirio, che avverrà tramite la danza (saltare) di Salome, figlia di Erodiade.

Magnificat anima mea Dominum. Trenta anni più tardi san Giovanni Battista applicherà la stessa parola al Signore: Magnificari oportet: Egli deve crescere. Letteralmente significa che il Signore deve essere ‘fatto grande’, cioè sulla terra: Egli Che è infinitamente grande in Cielo deve essere ‘fatto grande’, o glorificato, anche sulla terra: la Sua Volontà, che è di essere glorificato dal creato intiero, deve essere fatta come in Cielo, così in terra.

Dio in fatti è di per Se Stesso infinitamente grande. Nel primo vespro di domenica (Salmo 144) cantiamo: Magnus Dominus et laudabilis nimis, et magnitudinis eius non est finis: Grande è il Signore e grandemente da lodare, e della sua grandezza non c’è fine. Orbene, quando la Madonna loda ( adora) o glorifica il Signore, Lo glorifica per la Sua infinita grandezza: la grandezza che Gli appartiene di per Se Stesso, ma anche per la grandezza che Egli manifesta nell’Incarnazione.

San Tommaso d’Aquino insegna che niente nel creato è grande o perfetto in assoluto, in quanto qualunque cosa creata potrebbe godere di un grado più alto di perfezione, ma che ce ne sono tre eccezioni: tre cose nel creato che sono perfette nel senso assoluto del termine. Queste tre cose sono: 1) L’Incarnazione; 2) La Divina Maternità; 3) la Visione Beatifica. Queste cose, poiché così intimamente collegate a Dio, sono grandi e perfette nel senso assoluto, e per quello si elevano per così dire al di sopra di tutto il resto del creato: degli Angeli, degli uomini, e dell’universo intiero insieme.

Il cantico Magnificat esprime non solo la grandezza di Dio e la grandezza della Sua operazione nell’Incarnazione, ma anche l’umiltà della Madonna. La Madonna rivelò a santa Brigida che più alto fu alzata da Dio, più basso scendeva sull scala dell’umiltà, sapendo che di per Se Stessa non era niente. Le parole del Magnificat esprimono la sua umiltà nel modo che spiega san Bernardo: ‘Tu’ (lei dice a santa Elisabetta) ‘magnifichi la Madre del mio Signore; la mia anima, invece, magnifica il Signore. Tu dichiari che tuo figlio salta per gioia alla mia voce, ma il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore… Tu dice che colei che ha creduto è benedetta, ma la causa della mia fede e della mia beatitudine è lo sguardo della Bontà Celeste sull’umiltà della Sua ancella: per questo tutte le generazioni mi chiameranno benedetta’.

Osserviamo qua che l’umiltà della Madonna si manifesta anche nel fatto che non dice che Dio abbia guardato lei, ma piuttosto la sua umiltà. Infatti si è completamente identificata colla propria umiltà. A questo riguardo il Signore mostrò a santa Brigida un’immagine di una donna in un atteggiamento di abbassamento spirituale e disse: ‘Questa è l’Umiltà, e il suo nome è Maria’.

Magnificat anima mea Dominum. Padre Cornelius à Lapide (su cui questo articolo si appoggia particolarmente) scrive: ‘Non solo la mia lingua, né solo la mia mano, bensì la stessa mia anima con tutto la sua forza magnifica Dio, poiché dagli aditi più intimi della mia anima, con tutte le potenze della mia mente, lodo e glorifico Dio. Adopero ed interamente dedico tutta la forza della mia anima alla Sua lode, così che il mio intendimento contempla Lui solo, la mia volontà ama e celebra nessun’ altro che Lui, la mia memoria si trattiene su niente se non su di Lui, la mia bocca parla di niente e non celebra niente se non Lui, la mia mano compie solo quelle cose che tendano al Suo servizio, i miei piedi si muovono solo verso ciò che tende alla Sua gloria’.

In una parola, dunque, l’essere intiero della Madonna glorifica il Signore in questo suo cantico ed in tutto ciò che lei fa. Aggiungiamo che questa gloria è la più grande che venga resa a Dio dal creato, in quanto la Madonna è l’essere razionale la più perfetta del creato, e in quanto lei più perfettamente compie il fine per cui è stata creata di tutte le altre creature: cioè la gloria di Dio.

La parola ‘anima mea’ si può anche intendere in un altro senso, cioè del Signore Stesso. Il Signore è la sua anima nel senso che Lui è ciò che è di più prezioso e di più intimo a le. In questo senso viene intesa (tra le varie altre interpretazioni) anche la frase del profeta Simeone: ‘Una spada trafiggerà pure la tua anima’: cioè la lancia trafiggerà il lato del Suo diletto Figlio dopo la Sua morte in croce. Dire che nostro Signore Gesù Cristo magnifica Dio, esprime il fatto che il Verbo Incarnato glorifica Dio Padre: ciò che è naturalmente il fine primario dell’Incarnazione, della Vita terrena, e della Morte di Lui, e ciò che Lui, e Lui solo, può fare in modo perfetto nel senso assoluto.

Et exsultavit spiritus meus in Deo salutari meo. Come san Giovanni Battista esulta in presenza del Signore, così anche la Madonna al momento dell’Incarnazione. Ora ‘l’esultazione’, scrive Eutymio, ‘è per così dire, una gioia intensificata che fa che il cuore salti veementemente coll’eccesso di gioia e si alzi in alto’. Quanto al grado di una data gioia, esso corrisponde al grado del bene posseduto, così che la gioia che è conseguente sul possesso di Dio supera nel suo grado qualunque altro tipo di gioia che ci sia.

La gioia della Madonna al momento dell’Incarnazione supera quella di san Giovanni, invece, in modo eccelso, in quanto lei all’Incarnazione viene in possesso di Dio in modo eccelso: generando dalla propria carne per operazione diretta di Dio il Verbo Stesso di Dio; e così entrando in una relazione del tutto intima e sublime con ogni membro della Santissima Trinità: Figlia diletta del Padre, Sposa dello Spirito Santo, e Madre del Verbo Divino. Alla sublimità eccelsa dell’unione a Dio corrisponde la sublimità eccelsa della sua gioia.

A causa di questa unione e di questa gioia sublimi, alcuni teologi non hanno esitato di asserire che la Madonna al momento dell’Incarnazione avesse goduto della Visione Beatifica. Anche se è dogma che la Visione Beatifica si può godere solo nella prossima vita, alcuni padri della Chiesa hanno sostenuto che ci fosse fatta un’eccezione nel caso di san Paolo, al momento della sua conversione sulla strada a Damasco, dove lui ha parlato di ‘un uomo rapito al terzo cielo’. Se hanno ragione su questo, come potremmo negare che la Madonna, la più grande di tutti santi, avesse potuto godere anche lei di questo insigne privilegio, ossia al momento dell’Incarnazione?

Quanto all’alzarsi in alto dello spirito della Madonna, ce lo possiamo figurare come un genere eccelso di estasi o di rapimento superiore all’estasi, in quanto, secondo la parola di santa Geltrude, la Madonna è ‘al di sopra di ogni estasi’. Dice padre Cornelius à Lapide che ‘il suo spirito sembrò di saltare fuori del corpo per pura gioia per precipitarsi verso Dio; e forse lo avrebbe fatto se Dio non l’avesse trattenuto nel suo corpo colla propria potenza. Così che quando finalmente morì, non morì di malattia, ma solo di amore, di gioia, e di desiderio di vedere il suo Figlio, come sostiene Suarez ed altri teologi’. Sant’ Ildefonso scrive che la Madonna o non doveva morire o doveva morire di puro amore. Si può argomentare come sopra, che se altri santi sono morti di puro amore, lei, la più grande di tutti santi, non sarebbe potuta morire in altra maniera.

Inoltre, come dice sant’Alberto Magno, questa esultazione non era transeunte, bensì rimaneva come abitudine per tutta la sua vita, e che a causa di questa esultazione continua in Dio, lei era completamente morta al mondo ed a questa vita mortale, così che la sua vita era sempre nascosta con Cristo in Dio, e, presente nella corte celeste, e dimorando sempre nel santuario di Dio, poteva dire in modo più eccellente che san Paolo o qualsiasi altra creatura: ‘Vivo io, ma non io, ma Cristo vive in me’.

Exsultavit spiritus meus in Deo salutari meo. Ora la parola ‘Gesù’ significa Salvatore, e dunque l’esultazione dello spirito della Madonna era in Gesù Stesso, come un continuo e completo versarsi nel suo Divin Figlio. Ci ricordiamo a riguardo la parola del libro Habbakuk 3: ‘et exsultabo in Deo, Jesu meo’. In questo modo possiamo vedere l’esultazione della Madonna verso il suo Figlio come un eco lontano nel creato della Processione del Padre Eterno verso il Suo Figlio nel seno stesso della Santissima Trinità.

Sant’Agostino osserva che questi due primi versetti del Magnificat esprimono il nostro fine ultimo in Paradiso: di glorificare la Maestà di Dio e di godere della Sua infinita Bontà. ‘Poiché ci sono due cose che gli spiriti degli angeli e dei santi in quella fonte di Bene bevono nell’eterna contemplazione: cioè l’incomprensibile Maestà di Dio, e la Sua ineffabile Bontà: l’una che produce un sacro timore, l’altra l’amore. Venerano Dio per la Sua Maestà, Lo amano per la Sua Bontà’.

Amen. Deo Gratias.

 

Dio Uno

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

In questa sezione consideriamo Dio Uno in distinzione a Dio Trino, prima alla luce della Fede in distinzione alla luce della ragione, e poi nella Sua propria natura.

1. Secondo la Fede e la ragione

Guardiamo il primo articolo della Fede: Credo in Deum: Credo in Dio. Professiamo in questo articolo la nostra conoscenza di Dio tramite la Fede, tramite la luce soprannaturale che ci fa vedere Dio come è in Se Stesso, assieme a tutte le verità che si riferiscono a Lui come è in Se Stesso. Questa conoscenza di Dio tramite la Fede è da distinguere dalla conoscenza di Dio tramite la ragione. La ragione è una luce naturale che ci presenta Dio come Creatore. La ragione procede dall’ osservazione del creato per dedurre l’esistenza di un Creatore.

Rivolgiamo la nostra attenzione per prima alla conoscenza di Dio tramite la ragione, cioè la conoscenza naturale di Dio. San Pio X dichiara nel Giuramento contro il Modernismo (1910) che si può dimostrare con certezza l’esistenza di Dio per mezzo del principio della causalità.

Due esempi se ne trovano nell’epistola di S. Paolo ai Romani. Nel primo capitolo scrive l’Apostolo: “Dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità.” S. Paolo spiega in questo brano come si può procedere dal creato al Creatore: dall’osservazione della potenza, della bontà, e della sapienza manifestate nella creato per dedurne un Creatore che possiede queste virtù.

Nel secondo capitolo della medesima epistola S. Paolo parla della coscienza: “Essi (i pagani) dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano, ora li difendono.” San Paolo sta parlando di una legge scritta nel cuore. Chiaramente si può procedere dall’esistenza di questa legge all’esistenza di un legislatore che è il Creatore, ossia Dio Stesso.

Paragonando adesso la conoscenza naturale di Dio tramite la ragione con la conoscenza soprannaturale di Dio tramite la Fede, possiamo constatare che le due conoscenze sono compatibili, perché Dio è l’autore e l’oggetto di ambedue.

Una differenza principale è che l’oggetto della conoscenza naturale è Dio Creatore, mentre l’oggetto della conoscenza soprannaturale è Dio come si rivela tramite la Fede.

Un’altra differenza principale è che la conoscenza naturale di Dio è difficile da raggiungere, mentre la conoscenza soprannaturale è facile. Il Catechismo Romano dice in riguardo che mentre la conoscenza naturale “muovendo adagio adagio dagli effetti e da tutto ciò che è percepito dai sensi, riesce solo dopo diuturni sforzi a contemplare a mala pena le realtà invisibili di Dio…; (la conoscenza soprannaturale) invece, affina talmente la penetrazione dello spirito umano che esso può innalzarsi al cielo senza fatica. Illuminato dallo splendore divino, scorge l’eterna fonte stessa della luce e poi quanto giace al di sotto di essa.”

2. La natura d’Iddio Uno

Guardiamo adesso come la Sacra Scrittura ci presenta la natura di Dio.
1) Dio è Padre (Mt 5). Il Nuovo Testamento infatti ha posto questo nome proprio al centro della Fede cattolica;
2) Il nome Jahweh nell’Antico Testamento significa l’Essere stesso.
3) I termini Alpha ed Omega (Apc 1) significano che Dio è il principio e la fine di tutte le cose;
4) Dio è Spirito, dice il Signore (Gv 4): cioè Gli manca ogni elemento corporeo, materiale, e composito;
5) Dio è perfetto, dice il Signore quando ci insegna “siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto (Mt 5), cioè (secondo il Catechismo Romano) possiede in Se Stesso “la pienezza di tutti i beni, la fonte perenne e inesauribile di bontà e di misericordia da cui rifluisce su tutte le realtà e nature create ogni bene e ogni perfezione”;
6) Dio è sapiente, (nonché la Sapienza stessa, in quanto a causa della sua semplicità non c’è distinzione tra qualità e sostanza in Lui): “O profondità dei tesori della sapienza e scienza divina.” (Ro 9,3);
7) Dio è veritiero (Ro 3.14);
8) Dio è anche giusto, ossia la giustizia stessa come tutore della verità: “La Tua destra è ricolma di giustizia”(Salmo 47);
9) Dio è onnipotente ed onnisciente: Nell’Antico Testamento El significa potente; Elohah, Elohim, El-Shaddai significano onnipotente; Adonai significa Signore supremo. Nel salmo 144 leggiamo: “Dove mi rifugerò per evitare il Tuo spirito e il Tuo volto?”
10) Dio è unico: In Deuteronomio VI si legge: “Ascolta Israele: il Signore Dio nostro è Dio Unico”; in Esodo XX il primo comandamento si esprime: “non avrai altro Dio fuori di Me”. E san Paolo ci assicura: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo”.

Nel Credo nicæo-costantinopolitano professiamo esplicitamente: Credo in unum Deum. Il Catechismo Romano spiega: “Attribuendo infatti a Dio la suprema bontà e perfezione, è inconcepibile che l’infinito e l’assoluto si riscontrino in più di un soggetto. E se ad uno poi manca qualcosa per toccare la perfezione assoluta, con ciò stesso è imperfetto, né può convenirgli la natura divina”.

Rendiamo grazie a Dio per il dono della santa Fede, per mezzo della quale Lo conosciamo con certezza assoluta come onnipotente, giusto, misericordioso e amorevole. Proviamo ad essere figli degni del Suo amore in Cristo nostro Signore. Amen.

L’ onnipotenza di Dio

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

L’onnipotenza di Dio è la qualità preferita della Sacra Scrittura per mettere in evidenza la perfezione sovrana e l’infinita grandezza di Dio. Dio stesso dice di Sé nella Genesi 17,1: “Io Dio onnipotente”, e nell’Apocalisse (1.8) sta scritto: “Dio Signore onnipotente che è, che era, e che verrà.”

La sua onnipotenza significa che non ci sono limiti a ciò che Lui può compiere: sia ciò che rientra nell’ambito della nostra comprensione – come per esempio ridurre il tutto al nulla o di produrre all’istante molteplici mondi (come dice il Catechismo di Trento), sia azioni infinitamente più grandiose, superiori ad ogni immaginazione dello spirito umano.

Per la vita cristiana è essenziale tenere sempre presente l’onnipotenza di Dio, una qualità che non solo manifesta la Sua perfezione sovrana, ma anche (sempre secondo il Catechismo di Trento) contiene in se, o implica, tutte le Sue altre perfezioni. Il pensiero di questa Sua onnipotenza fa crescere i cristiani nella Fede, nella fiducia, e nella speranza: Se Iddio può fare tutto infatti, dovremmo sempre avere confidenza in Lui quando agiamo e quando preghiamo.

Quando agiamo, dobbiamo ricordarci delle sue parole agli Apostoli (Mt 17.19): “Se avrete fede grande quanto un granello di senape, direte a questa montagna: Passa di là; e passerà, e niente vi sarà impossibile”; quando preghiamo abbiamo la testimonianza di san Giacomo: “Chi chiede, chieda con fede senza esitare, chi esita è simile all’onda del mare, mossa e agitata dal vento; e non s’illuda di ottenere qualcosa da Dio” (Gc I. 6-7).

Il pensiero dell’onnipotenza di Dio deve inoltre far crescere in noi l’umiltà, secondo le parole di san Pietro: “Umiliatevi sotto la potente mano di Dio.” (1 Pt 5. 6); deve insegnarci a non temere “poiché null’altro v’è da temere se non Dio solo, che tiene in Suo potere noi e tutte le nostre cose” (Catechismo); e deve insegnarci infine a ringraziarLo sempre, perché tutte le grazie che abbiamo ricevuto vengono da Lui solo, così che possiamo dire con la Santissima Vergine Maria (Lc.1.49): “Grandi cose ha fatto in me l’onnipotente.”

Teniamo dunque sempre presente nel nostro cuore l’onnipotenza di Dio, per avanzare nella virtù, e per acquistare una Fede, una fiducia, ed una speranza sempre più grandi in Lui Che può fare tutto per noi, e vuol fare tutto per noi: perché ci ama e vuole la nostra felicità quaggiù e nel Cielo. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il Creatore

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Consideriamo in seguito 1) il Creatore; 2) la creazione; 3) il creato; 4) il motivo della creazione.

1. Il Creatore

Chi è il Creatore precisamente? Nel Credo professiamo che il Padre è il Creatore; mentre nel vangelo di San Giovanni (1.3) leggiamo che il Figlio lo è, poiché: ‘tutto è stato fatto per mezzo di lui’; nella Genesi (1.2), invece, impariamo che lo Spirito Santo ha un ruolo creativo: ‘Lo Spirito del Signore alleggiava sulle acque’. Chi è dunque realmente il Creatore?

Per rispondere a questa domanda, bisogna tener conto di due principi della teologia Trinitaria: La Santissima Trinità agisce ad extra (verso l’esterno) come Unità, ma una determinata opera Divina si attribuisce ad una Persona particolare secondo la proprietà di questa Persona all’interno della Santissima Trinità.

Concludiamo quindi che la creazione del cielo a della terra è opera della Santissima Trinità come Unità, come dichiara il Concilio di Firenze (Decretum pro Jacobitis 1441): Pater et Filius et Spiritus non tria principia creaturae, sed unum principium. Concludiamo ugualmente che viene attribuita alle varie Persone Divine secondo le loro varie proprietà: in quanto la creazione è un effetto, viene attribuita al Padre come principio; in quanto è opera di sapienza viene attribuito al Figlio come Sapienza; e in quanto è opera d’amore, viene attribuita allo Spirito Santo come Amore

2. La creazione

Nel Concilio del Vaticano I (s. III c. 5) impariamo che Iddio ha creato tutto ex nihilo: dal nulla. Questo significa che non c’era alcuna materia pre-esistente dalla quale Iddio abbia creato il mondo. Di fatti non c’era neanche tempo pre-esistente alla creazione, perché il momento della creazione indica allo stesso tempo l’inizio del mondo e l’inizio del tempo – che possiamo raffigurarci proprio come una dimensione del mondo.

Alla creazione del mondo si aggiunge la conservazione del mondo con la medesima virtù che gli diede l’essere. Se Iddio non conservasse il mondo, tutto ripiomberebbe instantaneamente nel nulla. La Sacra Scrittura dice (Sap.11.26): ‘Che cosa potrebbe sussistere se Tu non lo volessi? e se non fosse ognora sorretto da Te, che cosa potrebbe conservarsi?»

3. Il creato

Quando si parla della creazione del cielo si intendono e il cielo materiale e il cielo spirituale. Il cielo spirituale si riferisce agli angeli: i spiriti puri che sono i ministri di Dio. Tutti questi furono creati buoni, ma parecchi di loro hanno peccato gravemente nel ripudiare Iddio, e perciò si sono trasformati in demòni. Il Quarto Concilio Laterano (1215) dichiara dogmaticamente: Diabolus enim et alii daemones a Deo quidem natura creati sunt boni, sed ipsi per se facti sunt mali. La punizione di questo peccato, oltre al cambiamento di natura, fu la loro espulsione dal Paradiso per coabitare la terra con noi, o per cadere nell’inferno. In riguardo a quest’ultimo San Pietro scrive (2 Pet.2.4): ‘Dio non ha risparmiato gli angeli peccatori, ma li ha precipitati nell’inferno, abbandonandoli agli abissi delle tenebre, dove li mantiene per il Giudizio.’

La creazione del cielo (materiale) e della terra viene raccontata nella Genesi: la creazione dell’essere inanimato come la materia, le acque, la luce; la creazione del regno delle piante; del regno degli animali; e finalmente la creazione dell’uomo stesso.

L’uomo consiste in una parte fisica, ossia il corpo; ed una parte spirituale, ossia l’anima. Nella sua spiritualità assomiglia agli angeli, anche nell’eccellenza dei doni di cui era originariamente dotato, tra i quali (nel caso dell’uomo) erano la Grazia, la possibilità di non morire né soffrire, ed il controllo perfetto della ragione sulle passioni.

Però l’uomo, come il demonio, ha ripudiato Iddio tramite un peccato grave, cioè il Peccato Originale, e come punizione fu cambiato nella sua natura (che deviene ‘la natura caduta’), perdendo i doni sublimi di cui era stato dotato; in oltre (anche come il demonio) fu espulso dal Paradiso (questa volta il Paradiso terreno, il giardino di Eden).

4. Il motivo della creazione

Chiediamoci finalmente perché Iddio ha creato il mondo. La domanda può anche essere espressa: Perché qualchecosa piuttosto di niente? o più semplicemente ancora: Perché?

Bisogna dire innanzitutto che Iddio ha creato il mondo in perfetta libertà: liberrimo consilio (Primo Concilio del Vaticano). Egli non fu costretto dalla violenza o dalla necessità ne esterna ne interna: perché non c’è niente di più potente o più alto di Dio che possa costringerLo; e non c’è nemmeno niente nella sua natura che possa indurLo a creare il mondo, Iddio essendo in Se Stesso perfetto e beatissimo.

Di fatti, a causa proprio di questa stessa perfezione di Dio: a causa del fatto che Iddio è la somma di tutte le perfezioni, non era possibile che Egli avesse avuto un motivo per creare il mondo altro che Sé Stesso. Il Suo motivo per creare il mondo era dunque Sé Stesso: Universa propter semetipsum operatus est Dominus (Prov.16.4). Iddio è dunque sia il Creatore che il fine del mondo: in questo senso possiamo intendere le parole: “Io sono l’Alfa e l’Omega” (Ap.1.8).

Questo motivo di Dio nel creare non era però un motivo egoista, in quanto non creò il mondo per acquistare qualsiasi cosa, perché soli gli esseri imperfetti agiscono per questo fine, mentre l’Essere Perfetto, essendo in Sé Stesso la pienezza di tutto l’essere, non ha bisogno di nulla, come il Re Davide dice nel Salmo (15.2): ‘Io ho detto al Signore: Tu sei il mio Dio, perché non hai bisogno dei miei beni.’

No, il motivo di Dio non era egoista bensì altruista: agiva non per prendere ma per dare, non a causa della Sua utilità, ma solamente a causa della Sua bontà: non agit propter suam utilitatem, sed solum propter suam bonitatem (San Tommaso S. Th. I q.44 a.4). Il Primo Concilio del Vaticano dichiara Lo scopo della creazione nei termini seguenti: ad manifestandam perfectionem suam per bona quae creaturis impertitur: La manifestazione della Sua perfezione tramite i beni che impartisce alle creature.

Lo scopo della creazione comporta quindi due elementi: il primo è la manifestazione della Sua perfezione o, più ampiamente, la manifestazione della Sua perfezione e la Sua glorificazione – che ne è la conseguenza. Lo stesso Concilio definisce: Si quis… mundum ad Dei gloriam conditum esse negaverit, Anathema Sit.

La perfezione di Dio si manifesta ed Egli viene glorificato nel mondo in modi diversi, tra i quali sono: la stessa esistenza del mondo; la vita di quella parte del mondo che è vivente; e la conoscenza, la volontà, e soprattutto la santità delle creature razionali.

Il secondo elemento dello scopo del Creatore è l’impartire beni alle creature, di cui il più gran bene è la beatitudine eterna delle creature razionali nel cielo.

Vediamo qui che per le creature razionali i due elementi dello scopo di Dio hanno lo stesso oggetto: ossia la loro beatitudine eterna, poiché questa beatitudine allo stesso tempo glorifica Iddio e costituisce il loro (più grande) bene.

Deo Gratias!

Dio Padre

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Dopo aver riflettuto sull’unità di Dio ci rivolgiamo ora all’aspetto della sua Paternità, seguendo il Credo che professa: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente.”

Allora Iddio è Padre in tre sensi: è Padre del suo Figlio Divino secondo la Sua natura divina; è Padre di tutti gli uomini battezzati tramite la Grazia; ed è Padre di tutti gli uomini come il loro Creatore.

Osserviamo inanzitutto che Iddio è chiamato Padre nel Credo nel primo senso: come Padre del Figlio Divino, come prima Persona della Santissima Trinità; osserviamo altresì che la parte principale del Credo è strutturata sulla Fede in queste tre Persone Divine: “ Io credo in Dio Padre…ed in Gesù Cristo…credo nello Spirito Santo…”.

Guardiamo adesso brevemente ciascun modo di paternità, cominciando con quello più comune, ossia quello che si rapporta a tutti gli uomini.

1. Paternità creatrice

Iddio è Padre di tutti gli uomini nel senso che li crea, conserva, governa, e provvede per loro. Leggiamo per esempio nel libro di Malachia (2.10): “Non è forse uno solo il Padre di tutti noi? Uno solo, il nostro creatore?”

2. Paternità adottiva

Ma la Paternità di cui godono i cristiani, ossia i battezzati, è più intima e sublime della prima paternità, perchè li autorizza ad invocare “Abba Padre” e ad “essere chiamati, e ad essere davvero figli di Dio” (san Giovanni 1.3.1.). San Paolo aggiunge: “Se poi figli, anche eredi, eredi di Dio, coeredi di Gesù Cristo, primogenito tra innumerevoli fratelli”(Rom 8.17, 29) che “non si vergogna” di chiamarci tali (Ebr 2.11).

3. Paternità naturale

Ora, se questa Paternità di adozione è già un mistero sublime, che cosa si può dire della Paternità all’interno della Santissima Trinità? Qua incontriamo il mistero della Santissima Trinità: il mistero per eccellenza: il mistero dei misteri.

Per considerare la Paternità all’interno della Santissima Trinità bisogna cominciare con una considerazione della Santissimà Trinità stessa, pur essendo tanto limitata la nostra comprensione di essa.

Abbiamo già visto che Iddio è uno: nel senso che non ci sono altri dei, e nel senso che è un’unità in Sé Stesso. La fede ci insegna inoltre che questo un Dio consiste in tre Persone: un Dio in tre Persone, tre Persone in un Dio. La prima Persona è il Padre, la Seconda Persona è il Figlio, la Terza Persona è lo Spirito Santo. Queste tre Persone costituiscono insieme un solo Dio, un solo Signore – “non nella singolarità di un’unica persona, ma nella Trinità di un’unica sostanza” (per citare il prefazio della Santissima Trinità nel rito romano della S.Messa).

*

Guardiamo adesso più da vicino le tre Persone della Santissima Trinità.

Ora la Chiesa non ci permette di concepire alcuna differenza o ineguaglianza tra queste tre Persone, ma soltanto una distinzione in virtù delle loro proprietà. Le loro proprietà sono che: il Padre è non generato; il Figlio è generato dal Padre (come professiamo nel Credo della S. Messa); e lo Spirito Santo procede da entrambi.

Sarebbe sbagliato pensare che il Padre venga chiamato Prima Persona e Padre perché sia prima o più grande delle altre Persone divine: la santa Madre Chiesa ci insegna che Dio è al di fuori del tempo e proclama nelle tre Persone divine la stessa Maestà e Gloria.

No, il vero motivo per il quale il Padre viene chiamato Prima Persona si trova piuttosto nel fatto che Lui non è generato: è principio senza principio (inizio senza inizio); il vero motivo per il quale viene chiamato Padre si trova nel fatto che genera il Figlio.

Il Catechismo Romano insegna che possiamo raffigurarci questa generazione del Figlio come un procedere dall’intelletto del Padre, mentre possiamo raffigurarci il procedere dello Spirito Santo come un procedere dalla volontà (o amore reciproco) del Padre e del Figlio.

Questa dottrina spiega perché si parla del Figlio in termini intellettuali: come il Verbo, o l’Immagine, del Padre; e dello Spirito Santo come l’Amore reciproco del Padre e del Figlio. La dottrina può essere illustrata nel modo seguente: il Padre forma un’immagine mentale di Se Stesso. Questa immagine è il Figlio. Il Padre ed il Figlio si contemplano vicendevolmente, e poiché ognuno contiene in Se Stesso tutte le perfezioni: la Bontà, la Bellezza, la Gloria, la Maestà infinite, la contemplazione produce l’amore. Questo amore è lo Spirito Santo.

Che queste poche parole bastino per ora ad accennare, anche in modo molto remoto, al mistero della Santissima Trinità e quello della Paternità Divina, misteri che non riusciremo mai a penetrare che minimamente, mentre preghiamo nella frase del Catechismo Romano: “affinché accolto un giorno nei tabernacoli eterni, sia(mo) degno(i) di scorgere questa meravigliosa fecondità di Dio Padre che, intuendo e comprendendo Sé Stesso, genera suo Figlio pari ed uguale a se stesso; di contemplare come l’identico Amore di carità dei Due, che è lo Spirito Santo, procedente dal Padre e dal Figlio, stringe reciprocamente in un vincolo eterno ed indissolubile il Genitore e il Generato; come in fine si attui così nella Divina Trinità l’unità di essenza e la perfetta distinzione delle tre Persone”.

Avvento (1)

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Carissimi fedeli, oggi comincia l’Anno Liturgico della Chiesa e, allo stesso tempo, il Santo Tempo dell’Avvento in cui ci ricordiamo della venuta del Signore a Natale, preparandoci per essa, con una preparazione interna delle nostre anime. Più seria sarà la nostra preparazione in Avvento, più grande sarà il frutto spirituale per noi a Natale.

Di fatti, ogni Festa della Santa Chiesa può portarci un frutto spirituale, ogni anno che assistiamo alla celebrazione della Festa di Natale, possiamo ricevere di nuovo un frutto spirituale dal Bambino Gesù +. Prepariamoci, dunque, bene per questa Festa almeno questo anno.

Come ci possiamo preparare?

Innanzi tutto la preparazione si deve adeguare alla Festa, mentre in Quaresima ci mortifichiamo in unione alla sofferenza di Nostro Signore per godere poi della Sua Vita gloriosa a Pasqua, in Avvento ci discipliniamo piuttosto in una specie di attesa allegra del Bambino Divino. Non cerchiamo grandi piaceri in questo Tempo anticipando le gioie di Natale, ma aspettiamo la Festa natalizia per prendere in essa la nostra gioia.

Vediamo dunque che una certa disciplina, uno spirito di moderazione in tutte le cose ci conviene a questo Tempo. Inoltre come in vista di ogni grande Festa della Chiesa, la purificazione dell’anima è richiesta. Se noi viviamo nel peccato mortale, adesso è il tempo per convertirci e fare penitenza, docili agli ammonimenti di san Giovanni Battista, lo stesso vale per il peccato veniale e altrettanto per le nostre imperfezioni.

Perché perseveriamo nel peccato e nelle imperfezioni quando sappiamo che a Dio non piace? San Paolo ci dice oggi: la notte è trascorsa, il giorno è vicino, rigettiamo dunque le opere delle tenebre e vestiamoci delle armi della luce, non viviamo dei piaceri eccessivi e dei sensi, nell’immodestia, nei conflitti con altri, ma vestiamoci nel Signore Gesù Cristo +.

Noi abbiamo la Fede. Se siamo nel peccato e non sentiamo la forza, né il coraggio, né la voglia di combatterlo, preghiamo il Signore che ci dia la forza; l’ora è venuta, adesso, per svegliarci dal sonno – dice san Paolo – e per essere concreti ci chiediamo cosa è il nostro peccato o vizio dominante, riflettiamo, e quando ce ne siamo accorti tiriamone le conseguenze e combattiamolo.

In una parola, il nostro compito nell’Avvento è quello della conversione, di preparare il nostro cuore alla Sua venuta, come un Presepio degno dell’Altissimo, meditiamo spesso sulla Sua venuta imminente leggendo l’inizio del Vangelo di san Luca, e visitandoLo nel Tabernacolo.

Dom Guéranger scrive: Durante il Tempo di Avvento Nostro Signore bussa alla porta dei cuori degli uomini, talvolta forte, talvolta piano. Lui viene per chiedere se hanno un posto per Lui, perché vuole essere nato nella loro casa. La casa è comunque la Sua, perché Lui l’ha costruita e la conserva, ma si lamenta che i suoi hanno rifiutato di riceverLo, almeno la maggior parte. Preparatevi dunque a vederLo nato dentro di voi, più bello, più radiante, più potente che l’avete mai conosciuto.

Questo, dunque, il nostro compito in Avvento che proviamo a fare con tutto il cuore, con l’intercessione della Santissima Madre di Dio, come anticipo del nostro incontro definitivo con il Signore in Cielo. Amen

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo +

Avvento (2)

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Con l’Avvento, carissimi fedeli, facciamo almeno un piccolo proponimento, per prepararci più degnamente ad accogliere il Re della Gloria quando arriverà a Natale.

Invito tutti a riflettere su qualche cosa sulla quale dobbiamo migliorarci come qualche peccato troppo frequente, qualche vizio, qualche imperfezione sulla quale lavorare in questo santo Tempo.

Possiamo forse chiederci: sono impaziente? o sono forse una cattiva lingua? perdo il tempo con cose inutili? sono forse e persino in peccato mortale? Il Tempo, carissimi amici, è arrivato per lavorare su tutto questo, per superare le nostre cattiverie o imperfezioni, per la gloria di Dio.

In questa prima Domenica dell’Anno Liturgico, la Prima Domenica di Avvento, la Santa Madre Chiesa ci presenta agli occhi dello spirito lo stesso Vangelo (secondo un altro Evangelista) che la settimana scorsa, l’ultima domenica dell’Anno, ossia l’Avvento del Signore alla fine dei tempi; ci rende presente che anche la Sua nascita è la venuta di Dio Stesso sulla terra, dell’Uomo che allo stesso tempo è Dio.

‘Ci saranno segni nel sole e nella luna’. Questo sole, secondo sant’Antonio, così chiamato perché risplende solitario, è Gesù Cristo, il ‘Sole di Giustizia’ che abita una luce inaccessibile, tale che lo splendore di tutti i Santi quasi scompare paragonato al Suo splendore: cioè alla Sua Santità.

I segni che accompagnano la Sua nascita sono raccontati nel Vangelo di San Luca e di San Matteo. Nel primo Vangelo gli Angeli dicono ai Pastori: “questo sarà per voi il segno: troverete un Bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”. Nel secondo Vangelo il segno è la Stella che conduce i Magi a Betlemme.

Ma ci saranno anche segni che seguiranno la nascita del Signore: Segni nel sole, nel senso di segni nel Corpo stesso del Signore, cioè le cinque Piaghe e soprattutto la piaga del Suo Costato, secondo sant’Antonio, dalla cui apertura verrà aperta la porta del Paradiso e dalla quale rifulge a noi lo splendore della Luce Eterna.

‘Ci saranno segni nel sole e nella luna’. Se Nostro Signore Gesù Cristo + è il Sole, la Sua Santissima Madre è la Luna: la stella più brillante del firmamento del cielo, brillante del riflesso della Luce Eterna del Suo Figlio. E il segno sarà, secondo Isaia, ‘che una Vergine concepirà e partorirà un Figlio il cui nome sarà Emmanuel’.

E’ dunque ‘ormai tempo che noi ci destiamo dal sonno’, come dice San Paolo oggi, perché è raggiunta la pienezza dei tempi, in cui Dio manderà il Figlio Suo, nato da donna, nato sotto la legge’.

Svegliamoci dunque dal sonno, dice di nuovo Sant’Antonio, cioè dall’amore delle cose temporali che chiudono gli occhi del cuore alla contemplazione delle cose eterne, le vane immaginazioni sulle cose di questo mondo che illudono i dormienti nelle prime ore del giorno e vengono fugate dal sorgere del Sole. Il misero pannicello nel quale Gesù fu avvolto e l’umile luogo del Presepio nel quale fu adagiato, ci invitano a svegliarci dal sonno e scacciare le vane fantasie.

Dunque carissimi amici, stacchiamoci dal nulla di questo mondo, dal sonno e dai sogni vani e completamente inutili, per preparare il nostro cuore all’Avvento del nostro Dio.

‘La notte è passata e il giorno si è avvicinato’: la notte dell’ignoranza e del peccato deve cedere al giorno illuminato della Luce eterna di Dio, Che è Lui la pienezza e la perfezione dell’Essere in cui non ci sono tenebre  “Deus lux est et tenebrae in eo non sunt ullae”, Dio che è la Verità stessa, la Bontà stessa e la Somma di ogni perfezione.

Svegliamoci, dunque, sorgiamo e accogliamo in noi la Luce della grazia, la Luce della fede e quella della carità, per farla brillare anche noi sul mondo tenebroso, da veri figli della Luce, perché i segni sono stati visti nel sole e nella luna: i segni comunicati dagli Angeli, dalla Stella e dal Profeta Isaia, di una Vergine che partorirà e di un Bambino che nascerà e sarà adagiato in una mangiatoia; e il fico sta per dare il suo frutto, e la nostra terra (come preghiamo nella Communio) sta per dare il suo frutto – la terra che è anche una immagine della Madonna che riceve nel Suo seno immacolato il Verbo Divino, per darlo come “frutto benedetto” a noi a Natale, per tutta la vita della grazia, nella santa Comunione, e dopo questo nostro esilio nella gloria della Patria Celeste.
Amen.

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo +

Avvento (3)

 

Murillo+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Il Tempo dell’Avvento è un tempo di preparazione per l’Avvento o Venuta del Signore a Natale, come tale è un tempo di purificazione e di penitenza. La Liturgia ci ricorda dei sospiri dei Patriarchi e dei Profeti per farci desiderare con loro l’Avvento del Liberatore promesso e lo stabilire del Regno di Dio nelle nostre anime, per farci chiedere a Dio che la grazia divina, ma soprattutto il Redentore stesso, scenda su di noi. Rorate coeli desuper et nubes pluant justum, preghiamo. Una Preghiera che cresce in intensità con le grandi antifone: O Emmanuel, o Rex gloriae, o Oriens prima di Natale. In un tempo di purificazione, dunque, ma anche di penitenza la Liturgia ce ne ricorda col Vangelo sul Giudizio universale, e con il colore viola dei paramenti.

Bisogna dunque preparaci per il Natale non lasciando correre questo santo Tempo con una vaga idea che il Natale si stia avvicinando, bensì purificandoci per esempio con la lettura di questi testi dell’Avvento o dei capitoli iniziali del Vangelo di San Matteo e di San Luca, ed esercitando la penitenza con qualche piccola mortificazione. Non è adesso il momento di indulgerci con dolci o piaceri che convengono piuttosto a Natale.

Come immagine della purificazione tramite santi desideri e della penitenza, la Liturgia della Santa Madre Chiesa propone alla nostra attenzione la figura di San Giovanni Battista. Tutto il compito di San Giovanni Battista è di annunziare la venuta del Signore e poi di sparire davanti a Lui. In questo senso i Padri della Chiesa lo intendono come la stella mattutina che annunzia la venuta del Sole, che è il Sole di giustizia, la Luce increata che è Dio. Mentre la luce del Sole cresce, la luce della stella mattutina diminuisce e finalmente sparisce.

Il Vangelo odierno (Gv.1,19-34) esprime chiaramente questo suo compito, come spiega padre Guillerand certosino, quando i giudei gli chiedono: “chi sei tu?” – risponde: “non sono il Cristo”; quando gli chiedono che cosa egli sia, risponde: “io sono voce di uno che grida nel deserto, preparate la via del Signore”. Non si considera neanche una persona, dunque, ma solo una voce. Lui è la voce e il Signore è il Verbo; lui è la voce che parla del Verbo, soltanto uno strumento che ha funzione in rapporto a Dio; non ha altra funzione che preparare la via al Signore. Il battesimo che lui da, come spiega ai giudei, è un battesimo solo di acqua che prepara il vero Battesimo, quello dello Spirito Santo; è un battesimo di penitenza che prepara il popolo per la vita sacramentale.

Il Battista si abbassa davanti al Signore: se il Battista è, il Redentore era prima di lui; se il Battista appartiene ad un’ora passeggera del tempo, il Signore è eterno, è fuori del tempo: “prima che Abramo fosse, Io Sono” (Gv.8,58); il Battista abbassa se stesso davanti a Lui e non si ritiene neppure degno di sciogliere il laccio del suo sandalo.

Qualche versetto dopo in questo capitolo del Vangelo di San Giovanni, il Battista esprime il suo ruolo, come quello di un testimone: “io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio” (Gv. 1, 32-34).

La parola ci ricorda del Prologo dello stesso Vangelo dove leggiamo: ” Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce..” (Gv.1,6-8), il Battista dà la sua testimonianza, indica il Signore, si congeda dai propri discepoli affidandoli al Signore, presto sarà arrestato da Erode e ucciso da lui, e così sparirà davanti alla Luce eterna che aveva annunciata, alla quale ha dato non solo la sua testimonianza di fede, ma anche la propria vita.

San Giovanni Battista è modello del nostro agire nell’Avvento, ma non è solo questo. Questo uomo di cui nella parola del Signore ” non è sorto uno più grande tra i nati di donna ” (Mt. 11,11) è modello forte della santità, ci mostra nelle sue parole e nelle sue azioni ciò che è, in un certo senso, l’unica verità esistenziale per noi, cioè: Dio è tutto e noi siamo niente. Dunque ci insegna che dobbiamo assoggettarci a Dio, sottometterci a Dio, scordarci completamente di noi stessi per poi brillare della Sua increata Luce, sparendo completamente in Essa per testimoniare la Sua più grande gloria.  Amen.
+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Avvento (4)

 

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In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Abbiamo già meditato, carissimi fedeli, sulla venuta del Bambino Gesù + nelle nostre anime, a Natale, in modo spirituale, ma bisogna sapere che, questa venuta spirituale nelle nostre anime è solo l’ombra della Sua venuta Sacramentale.

Sarebbe triste, davvero, di ricevere il Signore solo spiritualmente, alla Santa Festa di Natale, quando potremmo riceverLo anche sacramentalmente. Per questo, se siamo nel peccato mortale, dobbiamo confessarci prima di Natale, ma anche se siamo solo nel peccato veniale, dobbiamo confessarci per riceverLo più degnamente, il nostro Creatore e Signore, sotto il tetto del nostro cuore.

L’importanza dell’unione sacramentale al Bambino Gesù + è già evidente nel nome del luogo della Sua nascita, Betlemme, che significa “Casa del Pane”, non è un caso che Lui è nato in questo luogo, perchè nei progetti di Dio non esiste il “caso”, ma tutto avviene proprio secondo i consigli eterni di Dio, profetizzati dai Profeti, e in questo caso dal Profeta Michea e dichiarati dai pontefici Ebrei con le parole:  “è da Betlemme che deve uscire il Capo di Israele”.

È nato, dunque, nella Casa del Pane Colui che disse di Se Stesso: “Io sono il pane vivo disceso dal Cielo”, e in un altro passo: “Questo è il pane disceso dal Cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono; chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv.6).

In questo Tempo sacro di Avvento ci prepariamo, dunque, per l’unione sacramentale con Gesù Cristo + in forma di un piccolo Bambino, presentato a noi dalla Sua tenera Madre, l’incomparabile e Santissima Vergine Maria.

Nelle parole di Dom Guéranger: “Perchè questo Mistero si compia con maggior dolcezza, il dolce Frutto di Betlemme, si dispone dapprima a penetrare in noi sotto le sembianze di un Bambino, il più bello di tutti i figli dell’uomo. Lui vuole unirsi agli uomini perchè, essendo Lui la vita stessa, vuole che tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza, e perchè vuole trasformarci in Lui, in modo che non siamo più noi a vivere ma Lui che vive in noi”.

La realtà di questa unione sacramentale a Gesù Cristo + sotto la forma del Divino Bambino viene espresso in una esperienza mistica di Santa Faustina Kowalska, il cui Diario è da raccomandare a tutti. Scrive la Santa che: una volta durante la santa Messa, a lei apparve la Madonna con il Bambino Gesù e San Giuseppe e scrisse:

“La Madonna Santissima mi disse: – Eccoti il Tesoro più prezioso – e mi diede il Bambino Gesù. Gli dissi: – Io so che Voi siete il mio Signore e Creatore benchè siate così piccolo – Il Signore allungò le Sue braccia e mi guardò sorridendo. Il mio spirito era inondato di una gioia incomparabile. Gesù scomparve all’improvviso e la Santa Messa era giunta al momento di accostarsi alla Santa Comunione. Andai subito assieme alle suore a prendere la Santa Comunione con l’anima ripiena della Sua Presenza. Dopo la Santa Comunione sentii nel mio intimo queste parole: – Io sono nel tuo cuore quello stesso che hai tenuto in braccio-”

Carissimi fedeli, sappiamo bene che lo scopo della nostra vita è l’imitazione di Gesù Cristo +. Lui è il modello di ogni virtù, imitando Lui dunque, con l’aiuto della grazia, diveniamo perfetti. A Natale si presenta a noi come un Bambino per insegnarci, tra l’altro e senza dubbio, ad imitarLo anche come era da Bambino: semplice, trasparente, innocente, docile, umile, mite, dolce, amorevole. Che questo sia il nostro atteggiamento in Avvento, a Natale e sempre: verso altrui, ma soprattutto verso di Lui, per unirci più intimamente e più perfettamente a Lui spiritualmente, sacramentalmente, e dopo questa vita in terra, definitivamente in Cielo, alla gloria del Suo Santo Nome. Amen.

La Sacra Famiglia

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+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

In questa Festa della Sacra Famiglia, facciamoci qualche reflessione sulla sua natura. Per fare ciò occorre inanzi tutto capire i suoi scopi. Gli scopi della Sacra Famiglia, come di ogni famiglia e di ogni matrimonio, sono due: il bene dei figli e il bene degli sposi.

Il bene dei figli è il primo scopo della famiglia, e consiste nella generazione ed educazione dei figli. Nel caso della Sacra Famiglia, questa generazione non fu opera di un uomo (cioè di San Giuseppe) ma di Dio Stesso. Il frutto di questa generazione non era un semplice uomo – una persona umana – bensì una Persona Divina, con la natura divina, che possiede anche la natura umana: ossia Gesù Cristo Stesso.

Questa è dunque una grande perfezione della Sacra Famiglia: che la generazione del figlio (il primo scopo della famiglia) è opera di Dio Stesso; e che il suo frutto, ugualmente, è Dio Stesso. Nel caso della Sacra Famiglia, in altre parole, il Padre è Dio ed il Figlio è Dio.

Quanto a questa generazione del Figlio, la Beatissima Vergine Maria e San Giuseppe non sono meramente passivi, bensì collaborano coi disegni eterni di Dio, in quanto il loro legame matrimoniale e la loro vita comune sono il contesto della natività e dell’educazione del figlio. Essi collaborano dunque con Dio, e collaborano non in modo carnale, bensì in modo verginale – e dunque più perfetto.

Il bene degli sposi è il secondo scopo della Sacra Famiglia: il bene degli sposi o, in altre parole, la loro assistenza reciproca. Questa assistenza reciproca tra di loro possiede anche una grande perfezione, in quanto viene indirizzata ad un fine più sublime di quello di tutte altre famiglie: cioè l’educazione e la cura di Nostro Signore Gesù Cristo Stesso.

I due scopi di qualsiasi famiglia, che sono il bene dei figli ed il bene degli sposi, hanno come ultima meta la santificazione del figlio e, poi, di tutti i membri della famiglia. La Sacra Famiglia costituisce un’eccezione a questo principio perché la santificazione non viene dai genitori ma piuttosto dal Figlio. Lui, infatti, non ha bisogno di santificazione in quanto è il Santo Stesso; ed in quanto tale costituisce Se Stesso la fonte della santificazione della Sua madre e di San Giuseppe.

Ogni membro della Sacra Famiglia è modello delle virtù proprie al suo stato: San Giuseppe è modello di docilità alla volontà di Dio, espressa nell’ambasciata dell’ Arcangelo; modello della cura paterna nel guidare la Sacra Famiglia a Betlemme, a Gerusalemme, a Nazareth, ed in Egitto; modello della provvidenza paterna nel suo lavoro. La Madonna, invece, è modello di tutte le virtù manifestate nel racconto degli evangelisti, in particolare delle virtù materne della sottomissione, della preghiera, e della pazienza; il Signore Gesù, invece, manifesta le virtù filiali, in particolare quella di sottomissione, umiltà, obbedienza, e di onore verso Sua madre e Suo padre adottivo, malgrado il fatto che è infinitamente superiore a loro, essendo appunto il loro Creatore e Dio.

In questi modi possiamo dire in una parola che ogni membro della Sacra Famiglia, secondo il proprio ruolo dentro di essa, è modello eccelso della Carità.

Seguendo questi esempi della Sacra Famiglia proviamo noi a compiere i propri doveri verso i nostri famigliari, verso i nostri genitori e figli: con la preghiera, con l’esempio, e con la parola – quando riteniamo che sarà ascoltata; amiamoli, non con indulgenza eccessiva verso le loro debolezze eventuali, ma nella Carità e nella misericordia; chiediendo aiuto in tutto alla Sacra Famiglia, per poter un giorno, in compagnia di San Giuseppe e della Beatissima Vergine Maria, con tutti i nostri famigliari, adorare il Volto ineffabile del Bambino Gesù nel Cielo per tutti i secoli dei secoli.
Amen.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Sia Lodato Gesù Cristo.

L’Epifanìa

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Epifania, carissimi fedeli, significa manifestazione, manifestazione di Gesù Cristo al mondo, soprattutto al mondo dei gentili rappresentato dai Magi. Questa Sua manifestazione si simbolizza nella Stella apparsa nel Cielo. La Stella significa in primo luogo Cristo la Luce, Lui è la Luce nel Suo rapporto al Suo Padre, “Luce da Luce”, un riflesso della Luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della Sua bontà, come leggiamo nel Libro della Sapienza.Poi è Luce nel suo rapporto all’uomo, la Luce degli uomini, come leggiamo nel Prologo di san Giovanni, la Luce vera, quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, dobbiamo intendere la Luce, qua, come la Luce della ragione, la Luce della Fede e la Luce della Carità, perché ogni uomo gode della ragione e raggiungere alla Fede e la Carità se conduce una buona vita.

Questa Stella su Betlemme brilla nella notte come la Luce che san Giovanni descrive nel Prologo: che splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno superata, cioè, la Luce che è Cristo + non sarà soppressa dalle tenebre dell’ignoranza, né del peccato, ma diverrà una fonte di Vita soprannaturale per tutti coloro che Lo accettano.

Come dice già il padre di san Giovanni Battista, Zaccaria, quando profetizza: verrà a visitarci dall’alto un Sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte, e per dirigere i nostri passi sulla via della pace. In secondo luogo la Stella significa la Santissima Vergine Maria, come Stella o Donna di Luce, secondo due interpretazioni del Suo Nome, Lei splende al di sopra di questo mondo di tenebre dove, Piena di Grazia, accoglie in se stessa la Luce del Sole increato che è Dio, come Mediatrice di tutte le Grazie guida, con questa Luce, gli abitanti della terra verso il Sole eterno che è Dio. Di fatti il ruolo di Mediatrice, della Madonna, si vede chiaramente nel racconto dell’Epifania nelle parole: “entrati nella Casa videro il Bambino con Maria, Sua Madre”.

Ludolfo il certosino, commenta: I Magi avevano per Maestra, nella fede, quella Stella dolce e sovrana di cui l’altro non era che la figura. Come rispondono i Magi all’apparizione del Signore, alla Sua Epifania? Prostratisi Lo adorarono, poi aprirono i loro scrigni e Gli offrirono in dono oro, incenso e mirra, e dopo fecero ritorno per un’altra strada, al loro Paese.

Come risponderemo noi? Lo stesso commentatore scrive: offriremo al nostro Re l’oro della carità, al nostro Dio l’incenso delle nostre preghiere, al Redentore che soffre per noi la mirra amara della nostra compassione – e continua – e come i Magi allora, dopo aver adorato il Bambino prenderemo un’altra strada per tornare alla nostra Patria, perché la nostra Patria è l’innocenza e il Cielo. Siamo usciti per mezzo della superbia, la disubbidienza, l’attaccamento alle cose visibili, ci torneremo per mezzo dell’ubbidienza, la santa umiltà e l’indifferenza. L’amore per Dio è l’indifferenza del mondo!

Facciamo allora che soprattutto queste virtù siano rinforzate in noi da questa Festa dell’Epifania e che ci conducano, per un’altra strada, in Cielo. Amen

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia Lodato Gesù Cristo +

Il santo Nome di Gesù

 

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

“Gli fu messo nome Gesù + come era stato chiamato dall’Angelo prima di essere concepito nel grembo della Madre.” San Tommaso da Villanova spiega che questo Nome fu chiamato dall’Angelo e non fissato da lui. Non fu fissato neanche dalla Madonna, bensì dallo stesso Padre Celeste. Questo fatto viene profetizzato da Isaia quando dice: ” Ti si chiamerà con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà”.

Ora, il nome che Dio da ad una persona o ad una cosa esprime la sua natura o funzione. Cosa significa, dunque, questo nome nuovo che è “Gesù” + ? Gesù significa Salvatore, come l’Arcangelo Gabriele aveva esposto a san Giuseppe con le parole: “Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. San Tommaso da Villanova osserva che non lo chiamò “giudice, né custode, né vindice”, ma Salvatore, e questo perché lo scopo dell’Incarnazione è proprio la salvezza del genere umano.

“Signore Gesù” – prega il santo – “questo Vostro Santo Nome mi da una fiducia sconfinata; Signore, sì, Voi siete proprio Gesù! Riconoscete il Vostro Nome, quello che il Padre Vi ha imposto, siate Gesù per me! Io riconosco di essere prigioniero, irretito nei lacci dei miei peccati, incatenato dalla mia cattiveria, stretto nei ferri della mia malvagità. Riconosco ciò che sono, anche Voi, Gesù, riconoscete ciò che siete!

Di chi siete costituito il Salvatore, se non degli uomini perduti, dei prigionieri? Se non vi sono dei miseri, dei condannati da liberare, di chi sarete il Salvatore? Se io Vi ho rinnegato, Voi però Signore, siete fedele, e non potete rinnegare Voi stesso…Siete la Verità, Signore, e non potete contraddire il Vostro Nome +. Come Vi potreste chiamare il Salvatore se non Vi curaste di salvarci? Come Vi potremmo dire Misericordioso se a chi Vi chiede pietà Voi infliggeste una condanna? In Dio non c’è finzione, non è possibile l’inganno! Il Vostro Nome Signore è la Vostra Identità, Vi chiamate Gesù, perché siete Gesù + “.

Abbiamo dunque fiducia, ed invochiamo con fiducia il Suo Santo Nome, perché il Signore stesso ci ha detto: “Se chiederete qualcosa al Padre nel mio Nome, Egli ve la darà”, e “se mi chiederete qualcosa nel Mio Nome, io ve la concederò”, e san Pietro dice: “Chiunque invocherà il Nome del Signore, sarà salvato” – ad una condizione, tuttavia, aggiunge san Tommaso da Villanova: che Lo invochiamo dal profondo di un cuore sincero.

In virtù del Santo Nome di Gesù, san Pietro guarisce lo storpio presso la Porta Bella con le parole “nel Nome di Gesù Cristo + il Nazareno, cammina!” ed infatti, tutti i miracoli più grandi della Chiesa nel corso dei secoli sono stati operati in virtù del Suo Santo Nome +. Questo Nome guarisce gli ammalati, da la vista ai ciechi e la vita ai morti, mette in fuga i demoni e libera gli uomini dalle tentazioni più violente. Questo Nome fa scendere l’infinita Misericordia di Dio sul mondo nella Santa Messa, ed è il garante eterno che la Preghiera della Chiesa sarà esaudita dal Padre.

Che invochiamo questo Nome, dunque, con cuore sincero e sempre con profondo rispetto e sacro timore, ed invochiamolo costantemente. Che questo Nome, insieme al santo Nome della Madonna, sia la nostra unica speranza nella vita intera, e all’ora della nostra morte pronunciamo con grande devozione la preghiera meditata da san Tommaso da Villanova e santificata nel corso dei secoli dalla Chiesa: Gesù, sii il mio Salvatore! Jesus, sis mihi Jesus! Amen
In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo +

La Passione

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Dalla Domenica della Passione in poi, le Statue e le Croci della Chiesa sono coperte, affinché possiamo meditare dentro di noi, in modo più intimo, la Passione del Signore. Per aiutarci in questo lavoro in modo salutare voglio meditare oggi, brevemente, l’Agonia del Signore nell’orto del Getzemani.

Là Egli soffriva la Passione, che era davanti ai Suoi occhi dal momento del Suo Concepimento e lo sarebbe stato sino alla Sua morte, nel modo più forte e più intenso. Getzemani, allora, significa etimologicamente “frantoio di olive”, e spiritualmente significa il luogo dove il Suo Preziosissimo Sangue esce da Lui mediante la Sua mortale agonia come olio, con cui siamo rifatti, unti, e nutriti, come accenna la Parola nel Cantico dei Cantici  “oleum effusum nomen tuum ” (1,1).

Coepit contristari et maestus esse / cominciò a provare tristezza e angoscia” (XXVI, 37), scrive San Matteo, la tristezza ora è l’emozione che si sente davanti ad un male che non si può fuggire, questo male era quintuplice:

1. La visione della Sua Passione e della Sua morte, i singoli tormenti, le flagellazioni, gli obbrobri, schiaffi, derisioni, blasfemie, la Croce e la morte in tutta la sua estensione, profondità ed acerbità che Lo fece gemere, tremare, languire, impallidire, indebolire, gettarsi per terra e sudare sangue. E questo per espiare il compiacimento del peccato di Adamo in quell’altro orto di Eden, e di tutti gli altri peccatori.

2. La visione di tutti i peccati e di ogni peccato di tutti gli uomini e di ogni uomo, da Adamo e fino alla fine del mondo; tutti i sacrilegi soprattutto verso il Santissimo Sacramento dell’Altare, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le calunnie, le blasfemie e tutti i crimini, i più enormi e i più orrendi mai commessi assieme a tutto il dolore, tutta la vergogna e la compunzione che a loro appartenevano, come se Egli stesso li avesse tutti commessi. Vedendo con perfetta chiarezza il grande grado infinito della loro offesa all’infinita Maestà di Dio e suscitando in Se un dolore che ci corrispondesse, e questo per espiare pienamente tutte quelle offese al Padre Celeste.

3. La visione di tutte le sofferenze dei Martiri, dei Confessori, Pastori e Santi che accoglieva in Se per guadagnare ai Suoi Servi fedeli la grazia, la forza e la consolazione per poter subirle per Dio.

4. La visione della dannazione di molti uomini che malgrado tutte le Sue sofferenze si sarebbero persi l’anima, in gran numero, a causa della loro negligenza, indifferenza ed ingratitudine verso di Lui.

5. La visione della afflizione della Sua Beatissima Madre, soprattutto quando stava ai piedi della Croce poiché il dolore del Figlio trafiggerà come una spada l’Anima della Madre, e tornarono poi ad affliggere la propria anima con ancor maggior intensità, Egli soffrendo nel sommo grado di vedere affliggersi la Sua Madre a causa di Lui.

San Leone Magno afferma che “la Passione del Signore si prolunga sino alla fine dei secoli”. Gli fa eco il filosofo Pascal nella sua meditazione sull’agonia del Signore: “Cristo – scrive – sarà in agonia fino alla fine del mondo. Durante questo tempo non bisogna dormire: Io pensavo a te nella Mia Agonia, quelle gocce di Sangue le ho versate per te. Vuoi costarmi sempre Sangue della mia umanità senza che tu versi neanche una lacrima? Io ti sono più amico del tale e di tal altro, perché ho fatto per te più di loro, ed essi non soffrirebbero mai quel che ho sofferto da te, non morirebbero mai per te nel tempo della tua infedeltà e delle tue crudeltà come ho fatto Io, e sono pronto a fare nei miei eletti e nel Santissimo Sacramento dell’Altare”.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

 

AVE

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Nel sacro Tempo di Avvento, un tema costante nella Santa Messa è quello della Salutazione Angelica, l’Ave Maria. Perciò volgiamo un breve sguardo su questo tema, ossia, sulla sola parola “Ave”.

Ave significa pace e gioia: pace non solo per infondere la pace nell’anima della Madonna, ma innanzi tutto perché l’Annunciazione è una ambasciata di pace mediante cui Dio e l’uomo saranno riconciliati: una ambasciata di pace mediante cui Dio si unirà all’uomo per vincere il suo nemico, per riparare i danni fatti dall’uomo, e per soggiogare il mondo intero al Regno pacifico ed eterno di Colui che è il Principe della Pace.

Pace e gioia: la gioia che viene dai beni elargiti da Dio sulla Santissima Madre di Dio, nelle parole di san Bernardo: l’estinzione della concupiscenza, il dominio e il primato di tutto l’Universo, la pienezza di tutte le grazie, di tutte le virtù, di tutti i doni, di tutte le beatitudini, di tutti i frutti dello Spirito, di tutte le scienze, della interpretazione dei sermoni, degli spiriti della profezia, dei discernimenti degli spiriti, delle operazioni delle virtù, la fecondità nella verginità, la maternità del Figlio di Dio, l’essere Stella del mare, la Porta del Cielo, e soprattutto la Regina della Misericordia.

Se era grande la gioia della Madonna che derivò dal possesso di tutti questi beni, infinitamente più grande era la gioia che derivò dal possesso di quel bene che è il Sommo Bene: Dio stesso. Perché con l’Incarnazione la Santissima Vergine Maria ha preso possesso in modo perfetto (in quanto era possibile ad un essere umano) di Dio stesso, la Seconda Persona della Santissima Trinità fatta Uomo. Ha preso possesso di Lui in modo perfetto sia fisicamente, sia spiritualmente: fisicamente in quanto l’ha contenuto nel Suo corpo stesso, nel paradiso terrestre del Suo grembo immacolato, secondo la parola di Geremia: “la donna cingerà l’uomo”. L’ha posseduto in modo perfetto spiritualmente in quanto la sua anima, per questo scopo, fu fornita di tutte le grazie, le virtù, e di tutti i doni di cui abbiamo già parlato.

Ma siccome l’Arcangelo san Gabriele annuncia la pace non solo alla Madonna, ma anche a tutto il genere umano, così anche la gioia, perché con la nascita del Suo Figlio, come recitiamo nel Prefazio della Madonna: “versò sul mondo la luce eterna”, quella Luce eterna che è Gesù, che nelle parole dell’inno è “l’allegria dei cuori, il gaudio delle lagrime, e il dolce premio della vita”.

E questa gioia celeste siamo capaci di possederla anche noi, non come un oggetto qualsiasi però, ma come la Madonna stessa (anche se in grado inferiore), possederla in noi. Perché il Signore stesso ha detto: “affinché la Mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena”, e possiamo possederla in noi nella inabitazione sostanziale della Santissima Trinità, quando siamo nello stato di grazia, e nella Santa Comunione.

Ma c’è un altro significato della parola Ave che è “viva”, che si riferisce ad Eva madre dei viventi. Chiamando la Madonna “viva”, l’Arcangelo la dichiara dunque “vera Madre dei viventi”: vera madre dei viventi perché vera Madre della vera Vita che è Dio stesso, e perché vera Madre della vera vita degli uomini che è la vita della Grazia, la Vita Eterna. E se la Madonna è la vera Madre della Vita, Eva non è la vera madre della vita, bensì la madre della morte, perché la vita terrestre è la morte in confronto alla Vita di Grazia, e perché lei, in conseguenza del Peccato Originale, è la causa della morte fisica di tutti i suoi discendenti, tranne la Madonna, e della morte spirituale dell’Inferno.

Questo contrasto tra la Madonna ed Eva la Chiesa lo vede espresso nel fatto che la parola Ave è l’inversione della parola Eva, come cantiamo nell’Inno Ave Maris StellaSumens illud ave (…) Mutans Hevae nomen/ Accogliendo quell’ “Ave” (…) trasformando il nome di Eva… E la Chiesa considera che come Ave è l’inversione di Eva, la Madonna converte in benedizione tutte le maledizioni di Eva.

Questo contrasto tra la Madonna ed Eva, la Patristica lo espone in oltre come contrasto tra una vergine sciocca ed una vergine prudente, una donna superba ed una donna umile: la prima che fa assaporare dell’albero della morte, la seconda che fa assaporare dell’albero della vita; la prima l’amarezza di un cibo velenoso, la seconda la dolcezza di un Frutto Eterno.

Ora, la dolcezza di questo Frutto Eterno è il Frutto del Seno della Santissima Vergine Maria, che desideriamo gustare a Natale, che desideriamo gustare e guardare con i propri occhi dopo questo nostro esilio, mostratoci dalla Sua tenerissima Madre: Lui che è l’allegria dei cuori, il gaudio delle lacrime, il dolce premio della vita. Amen.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen
Sia lodato Gesù Cristo

L’IMMACOLATA CONCEZIONE

Murillo_immaculate_conception+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

“La Santissima Vergine Maria, nel primo istante della Sua Concezione, per singolare Grazia e privilegio di Dio Onnipotente, e in vista dei meriti di Cristo Gesù + Salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia del Peccato Originale”. Questo è il Dogma dell’Immacolata Concezione proclamato nella Bolla Ineffabilis Deus del beato Pio IX nell’anno 1854.

Cosa era questa macchia del Peccato Originale? Gli effetti del Peccato Originale erano i seguenti: l’entrata della morte e della sofferenza nel genere umano; la perdita della Grazia santificante per loro, e la sua mancanza per tutta la loro discendenza dal concepimento in poi; la perdita della chiarezza dell’intelletto e della forza della volontà; la perdita del dominio completo della ragione sulle passioni; una certa soggezione al demonio. Ciò che viene descritto come ‘ogni macchia del Peccato Originale’ nel caso della Madonna si riferisce alla mancanza della Grazia santificante dal concepimento in poi. In altre parole la Madonna fu concepita nella Grazia santificante.

Ma la Santissima Vergine  fu preservata non solo dal Peccato Originale, ma anche dal peccato personale, come dichiara il sacro Concilio di Trento nelle seguenti parole: “La Chiesa mantiene che la Beata Vergine mediante un privilegio speciale di Dio, poteva evitare tutti i peccati, anche veniali, durante tutta la Sua vita. Così che può essere applicata a Lei la frase del Cantico dei Cantici: Tutta bella sei tu, o mia diletta, e macchia non è in te (Ct.4,7)”.

Sant’Alfonso M. de Liguori commenta: “Da che Ella ebbe uso della ragione, cioè, dal primo istante della sua immacolata concezione nell’utero della Santa Anna, sin da allora cominciò con tutte le Sue forze ad amare il Suo Dio, e così seguì a far sempre più avanzandosi nella perfezione, nell’amore, in tutta la Sua vita. Tutti i Suoi pensieri, i desideri, gli affetti, non furono che di Dio, non disse parola, non fece torto, non diede occhiata, non un respiro che non fosse per Dio e per la Sua gloria, senza mai storcere un passo, senza mai distaccarsi un momento dall’amore Divino”.

La preservazione della Madonna dal Peccato Originale e personale sono le condizioni della purezza della Madonna, della purezza sublime richiesta dal Suo rapporto ineffabile con Dio. Nelle parole di san Bernardo: “Con ragione si presenta Maria ammantata di Sole; Lei  che ha penetrato oltre ogni nostra immaginazione l’abisso profondissimo della Divina Sapienza, così che per quanto lo consente la condizione di una creatura, Ella appare come immersa in quella Luce inaccessibile”.

Questa sublime purezza della Beatissima Vergine fu rivelata all’anima del Sommo Pontefice Beato Pio IX.  Egli raccontò che: “mentre Dio proclamava il Dogma per la bocca del Suo Vicario, Dio stesso dette al mio spirito un conoscimento sì chiaro e sì largo dell’incomparabile purezza della Santissima Vergine che, inabissato nella profondità di questa conoscenza, cui nessun linguaggio potrebbe descrivere, l’anima mia restò inondata di delizie inenarrabili, di delizie che non sono terrene, nè potrebbero provarsi che in Cielo. Nessuna prosperità, nessuna gioia di questo mondo potrebbe dare di quelle delizie la minima idea, ed io non temo affermare che, il Vicario di Cristo, ebbe bisogno di una grazia speciale per non morire di dolcezza sotto l’impressione di cotesta cognizione, di cotesto sentimento della bellezza incomparabile di Maria Immacolata”.

Proviamo, carissimi fedeli, a crescere ogni giorno nella nostra devozione all’Immacolata Concezione, che a causa della Sua vicinanza a Dio e del Suo profondo Amore materno verso ognuno di noi,  è l’Avvocata più potente che ci sia per noi presso l’Altissimo. AffidiamoLe i nostri affanni, onoriamoLa con la preghiera del Santo Rosario, amiamoLa nei nostri cuori.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il Santo Rosario: la festa

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Nell’Enciclica Octobri Mense il Papa Leone XIII afferma che è stata la stessa Regina del Cielo ad annettere una grande efficacia alla preghiera del Santo Rosario poichè è per ispirazione di Lei che il Rosario è stato istituito e propagato da san Domenico in tempi molto dolorosi per la Chiesa, non tanto dissimili da quelli attuali, quasi strumento di guerra, scrive il Papa, molto adatto a vincere i nemici della fede, nella forma degli eretici Albigesi, e così, continua il Papa, col favore della Vergine Gloriosa, debellatrice di tutte le eresie, hanno annullato e distrutto le forze degli empi e salvato la fede di tanti.

Un’altra vittoria del Santo Rosario che festeggiamo in questa prima Domenica di ottobre è quella di Lepanto che è successa in risposta alla recita del Santo Rosario da parte dei fedeli di tutta l’Europa e soprattutto di Roma, si racconta come prova dell’intercessione della Madonna, la Sua immagine miracolosamente formata nel fumo dei fucili proprio all’inizio della battaglia, determinante contro l’Islam.

Il Santo Rosario è dunque una preghiera molto potente che, possiamo dire inoltre, conserva la fede, mette il fedele sotto la protezione della Madonna e lo inizia alla meditazione del Volto adorabile di Cristo +.

+ In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Sia lodato Gesù Cristo.

La Mediatrice di tutte le grazie

 

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In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Oggi è la solennità del Santo Rosario in cui si celebra la gloriosa vittoria di Lepanto sull’Islam: una vittoria guadagnata soprattutto per la recita del Santo Rosario. Siccome la vittoria di Lepanto, così anche la preghiera stessa del Rosario, ci mostra chiaramente il ruolo di Mediatrice della Madonna.

Nell’Ave Maria ci rivolgiamo a Lei a causa della sua vicinanza a Dio: Lei che è piena di grazia perché il Signore è con Lei; benedetta fra le donne perché è benedetto il frutto del suo seno Gesù; e Santa perché è Madre di Dio. E preghiamo a Lei che Lei preghi per noi adesso e nell’ora della nostra morte: cioè, in tutte le nostre necessità. Lei è la Mediatrice dunque: sta tra noi e Dio e raggiungiamo Dio per mezzo di Lei.

La stessa verità viene espressa nei Misteri del Santo Rosario: nel primo Mistero Gaudioso contempliamo prima Lei e poi il Signore concepito nel suo santo seno, in un crescendo che è proprio della Rivelazione. Nel secondo Mistero contempliamo prima Lei di nuovo da sola, andando alla casa di Santa Elisabetta, e poi Nostro Signore nel Suo primo atto pubblico: quello della santificazione di San Giovanni Battista. Nel terzo Mistero la meditiamo con il suo Figlio Divino che possiamo adorare ormai con gli occhi dello spirito. Nel quarto e nel quinto Mistero Gaudioso la vediamo sempre inchinata e protesa verso il suo Figlio Divino: offrendoLo e poi trovandoLo nel tempio.

Lei è la Mediatrice, andiamo per mezzo di Lei al Signore: per Mariam ad Jesum. Questo è vero della Preghiera Ave Maria e dei Misteri Gaudiosi, ma anche dei Misteri Dolorosi, perché i Misteri dove il Signore viene offerto e trovato nel tempio sono allo stesso tempo Dolori della Vergine Maria (il primo e il terzo) che anticipano e preparano ai dolori del Suo Figlio.
Nei Misteri Dolorosi la Madonna si ritira per mettere in luce il Signore, anche se le Rivelazioni di Santa Brigida, per esempio, attestano la sua presenza alla flagellazione; e la Tradizione della Chiesa La presenta vedendo il Suo Figlio incoronato e portando la Croce; e il Vangelo ci parla della Sua presenza sotto la Croce.

La Madonna dunque ci conduce al Suo Figlio nei Misteri Gaudiosi e Dolorosi, che poi contempliamo Risorto e asceso al Cielo. I Misteri si concludono con la visione della Madonna glorificata per il suo ruolo nella Redenzione.

Il principio “per Mariam ad Jesum” si manifesta di nuovo con la Preghiera che conclude il Santo Rosario, “Salve Regina”. Dopo aver invocato la Regina del Cielo e della Terra in questa Preghiera con grande devozione nel fervore, Le chiediamo di mostrarci nel Cielo il frutto del suo seno Gesù.
Se questa Preghiera conclude tutto il Rosario, conclude anche in un certo senso la Preghiera dell’Ave Maria stessa. Perché mentre nell’Ave Maria chiamiamo “benedetto” il frutto del suo seno Gesù e chiediamo alla Madonna di pregare per noi; nella Salve Regina chiediamo che Lei ci mostri il frutto del suo seno Gesù. Chiediamo esplicitamente, dunque, ciò che non avevamo ancora osato chiedere che cioè, in ultima analisi, il fine ultimo e il culmine di ogni Preghiera: la visione beatifica di Dio in Cielo.

La Santa Chiesa Cattolica insegna che la Madonna è Mediatrice di tutte le grazie e questo in due sensi. Il primo senso è che ha donato al mondo il Redentore Che è la fonte di tutte le grazie; il secondo senso è che tutte le grazie che vengono elargite sugli uomini, vengono concesse per la Sua intercessione.
Leone XIII dichiara nella sua Enciclica sul Rosario Octobri mense: ” Per questo, è lecito affermare, a piena ragione, che dell’immenso tesoro di ogni grazia che il Signore ci ha procacciato, poiché “la grazia e la verità provengono da Cristo” (Gv. 1,17), nulla ci viene dato direttamente se non attraverso Maria, per volere di Dio. Dato che nessuno può andare al Sommo Padre se non per mezzo del Figlio, così, di regola, nessuno può avvicinarsi a Cristo se non attraverso la Madre”.

Come possiamo caratterizzare la mediazione della Madonna?
Innanzitutto come collaborazione, perché occorre distinguere la mediazione del Figlio da quella della Madre. La mediazione del Figlio è perfetta, perché Lui solo ha riconciliato l’uomo con Dio tramite la Sua morte in Croce, mentre la mediazione della Madre è piuttosto una collaborazione. E’ una collaborazione dove opera in modo preparatorio o ministeriale ed in modo indiretto e remoto quando disse, ad esempio, all’Incarnazione “Ecce ancilla Domini”, e quando stava sotto la Croce ad offrire tutta la sua vita e sofferenza a servizio del Divin Redentore.
La mediazione della Madonna è anche una mediazione materna, e questo in un doppio senso. Perché ha donato il Redentore agli uomini sia come Madre del Redentore sia come Madre degli uomini; ed anche perché intercede presso Dio a favore degli uomini sia come Madre di Dio sia come Madre degli uomini.

Poiché la Madonna è la Mediatrice di tutte le grazie, conviene che affidiamo sempre più fervorosamente, ed intensamente noi stessi a questa nostra Madre tenerissima e potentissima per poter vincere i nostri nemici: il Mondo, la Carne e il Diavolo o, in una parola, per vincere noi stessi: per adorare poi con Lei, in Cielo, il frutto benedetto del suo seno, Gesù.

Sia lodato Gesù Cristo +
In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

La santità

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+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Carissimi fedeli, l’unico scopo della vita umana è la nostra santificazione, per questo siamo stati creati, per nient’altro che questo.

Il Signore ci da ottanta o novanta anni di vita, normalmente, solo per questo. Se noi arriviamo alla fine dei nostri giorni e non siamo ancora santi, abbiamo fallito.

Cosa è la Santità?

La santità è la perfezione della Carità, ossia, la perfezione dell’Amore sovrannaturale, nel senso assoluto dei termini la santità, la perfezione della Carità, la perfezione dell’Amore sovrannaturale è solo Dio stesso, Dio è la santità, Dio è la Carità, e Dio Che è la santità e la Carità ci comanda di essere Santi anche noi: “siate Santi, perchè Io sono Santo”, dice il Signore quattro volte nel Libro del Levitico.

Ma cosa è la santità per noi? Cosa è la perfezione della Carità per gli uomini? Nostro Signore Gesù Cristo + risponde: “nessun uomo ha un amore più grande di questo, di dare la sua vita per i suoi amici”. Parla della santità, parla della perfezione dell’amore per un uomo, per noi, esprime la santità in termini di quell’atto che Lui ha compiuto da uomo per salvare il mondo. Questa è dunque la santità per noi: dare la nostra vita per i nostri amici.

Per quali amici? Per Dio stesso, perché Dio è il nostro più grande, più caro e amorevole Amico, è in un certo senso il nostro unico Amico, perché Lui ci ha creati, ci conserva in esistenza, ci ha dato e ci dà tutto ciò che siamo e che abbiamo; ci ha redenti con la Sua Passione e la Sua Morte e vuol dare tutto a noi, cioè Se Stesso e per sempre.

Dobbiamo, dunque, dare la nostra vita per Lui in primo luogo e in assoluto, e poi dobbiamo dare la nostra vita per il nostro prossimo, questo in secondo luogo e in modo relativo, perchè amiamo il prossimo solo in Dio e a causa di Dio, questo difatti è il soggetto del Comandamento nuovo del Signore: che vi amiate gli uni e gli altri, come Io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Questa stessa perfezione dell’amore viene insegnata in due altri testi particolari della Sacra Scrittura, il primo testo è: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze e il prossimo come te stesso”, il secondo testo è quello dei Dieci Comandamenti di cui i primi tre stabiliscono l’amore per Dio e gli altri sette stabiliscono l’amore per il prossimo: chi mi ama – dice il Signore – tiene i miei Comandamenti. Per spiegare meglio ciò che sono i Dieci Comandamenti bisogna sapere che non solo vietano ciò che è peccato, ma che anche ci incitano alla perfezione della Carità.

E difatti lo scopo della vita umana non è solo di evitare il peccato, soprattutto il peccato mortale per poter raggiungere il Cielo, bensì di perfezionarci, come ho detto all’inizio di questa omelia, per raggiungere quel grado di gloria in Cielo che Dio ha stabilito per noi prima della creazione del mondo.

Guardiamo un attimo il lato positivo dei Comandamenti:
– i primi tre stabiliscono l’adorazione e l’onore dovuto a Dio, tanto in privato quanto in pubblico, nonché la Fede, la Speranza e la Carità verso di Lui;
– il quarto stabilisce l’onore per i Genitori e per i Superiori,
– il quinto (con le parole del Catechismo di Trento) ci ingiunge, anche, di estendere la nostra concordia e caritatevole amicizia verso i nemici per avere pace con tutti, sia pure affrontando con pazienza, ogni contrarietà;
– il sesto ci ingiunge alla purezza dell’amore, alla castità ed alla modestia;
– il settimo ci impone di essere benevoli e generosi verso il prossimo;
– gli ultimi tre, l’ottavo, il nono e il decimo ci insegnano di non parlare male del prossimo, di pregare per ciò che ci conviene di possedere, di apprezzare i nostri beni e di ringraziarne il Signore.

Per tenere i Comandamenti e per perfezionarci occorre la pratica delle virtù, soprattutto le virtù Cardinali della prudenza, della giustizia, della temperanza e fortezza, occorre anche un lavoro assiduo contro le nostre imperfezioni di carattere o di abitudine, forse siamo approssimativi nelle azioni e nelle nostre parole, siamo rozzi, maleducati un pò, indifferenti al prossimo, un pò liberi nelle parole, un pò maliziosi, aspri, amari, suscettibili, permalosi, distratti, disordinati, inaffidabili, inclini al risentimento, pensieri contro la Carità, all’eccesso di tristezza, di ira, di paura o persino di gioia. Questo lavoro sul nostro carattere, sulle nostre abitudini, anche quasi più del lavoro contro il peccato è il lavoro più difficile che ci sia, si chiama “il lavoro dei Santi”, nelle parole di santa Teresina che provengono dalla Sacra Scrittura: “il lavoro fra tutti più penoso è quello che si intraprende sopra se stessi per arrivare a vincersi”.

Una parola sulla Preghiera.

Stiamo aspettando la Vita Eterna qua, dove vogliamo essere con Dio per sempre, se non pensiamo, se non parliamo, se non preghiamo mai a Lui, quale tipo di preparazione è questa per la Vita Eterna? Una mezza Ave Maria mentre mi addormento non basta! Devo afferrare del tempo, la mattina e la sera, per la Preghiera anzi, devo provare a vivere sempre nella presenza di Dio con l’attenzione della mente, verso di Lui, che non dimentichi mai che Lui è il mio più grande Amico Che occorre adorare, lodare, ringraziare, di Cui occorre chiedere favori, a Cui devo dare e dedicare tutta la mia vita.

Ho parlato del lato attivo della santificazione, ma c’è anche il lato passivo. La vita, dopo la caduta, è dura, siamo qua per lavorare e soffrire, per portare la nostra croce dietro a Lui, e questa sofferenza ci santifica più di tutte le azioni che potremmo compiere. Lui ha dato la Sua vita per i suoi amici, cioè a noi, nella sofferenza, quella sofferenza che ha manifestato il Suo Amore, così anche noi dobbiamo dare la nostra vita a Lui, con tutta la nostra sofferenza, perché questa manifesterà anche il nostro amore. Ci saranno sempre sofferenze e difficoltà, ma queste possiamo accettarle per amore di Lui ed offrirGliele come i nostri più preziosi tesori, uniti con le Sue sofferenze in Croce. Per la Sua gloria, per la salvezza del mondo, e per la santificazione della nostra anima.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Sia lodato Gesu’ Cristo.

Lo Spirito Santo

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Professiamo nel Credo: “credo nello Spirito Santo + che procede dal Padre + e dal Figlio +” e la Chiesa spiega che questo è un procedere, una processio, dall’Amore reciproco del Padre e del Figlio. Il Catechismo di Trento dichiara: che lo Spirito Santo procede della Divina Volontà come infiammata dall’Amore “a Divinae Voluntate veluti amore inflammata”.

Quanto all’operazione dello Spirito Santo nel mondo, citiamo la parola di sant’Agostino nella sua Opera De Trinitate (a cui il Papa Leone XIII si riferisce nella sua Enciclica Divinum Illud Munus, sulla Santissima Trinità), “come le Tre Persone Divine sono inseparabili, così operano inseparabilmente”.

Ma anche se ogni operazione di Dio nel mondo è operazione comune delle Tre Persone, viene attribuita ad una Persona particolare, secondo la proprietà particolare di queste Persone. Così l’opera di creazione viene attribuita al Padre, le opere di saggezza vengono attribuite al Figlio e le opere di Amore vengono attribuite allo Spirito Santo.

Ora, ci sono tre opere principali di Amore che vengono attribuite allo Spirito Santo:
1- l’Incarnazione; 2- la Chiesa; 3- e la santificazione delle Anime.
In questa piccola sintesi della dottrina cattolica ci appoggiamo sulla stessa Enciclica Divinum Illud Munus.

Primo punto: l’Incarnazione.

L’Incarnazione è l’opera di Amore di Dio verso gli uomini per eccellenza, un’opera completamente gratuita, un’opera della pura Grazia, per questo viene nominata “un’opera dello Spirito Santo”. Nel Credo professiamo: incarnatus est de Spiritu Sancto, come anche leggiamo nel Vangelo di san Matteo: “Sua Madre, Maria, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”, il versetto 20, “un Angelo disse quel che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo”, ma l’opera dello Spirito Santo non solo effettua l’Incarnazione ma anche accompagna ogni azione del Signore.

San Basilio il grande, dice che “ogni azione Sua fu compiuta nella presenza dello Spirito”, ciò che è particolarmente vero del Suo Sacrificio di Sè, nelle parole di san Paolo nella sua Lettera agli Ebrei: tramite lo Spirito Santo offrì Se stesso senza macchia, a Dio.

Secondo punto: la Chiesa.

La Chiesa è opera dello Spirito Santo, questo fatto viene espresso da sant’Agostino con le parole: “Quod est in corpore nostro anima, id est Spiritus Sanctus in corpore Christi quod est Ecclesia – ciò che è l’anima nel nostro corpo è lo Spirito Santo nel corpo di Cristo che è la Chiesa”. In altre parole lo Spirito Santo è l’Anima della Chiesa, cioè il principio della natura e della vita della Chiesa.

Questo fatto si manifesta in tre rispecchi:
1. lo Spirito Santo collega i membri della Chiesa, tra di loro, e con Cristo il loro Capo;
2. lo Spirito Santo conduce e accompagna con la Sua Grazia ogni operazione salvifica nelle membra del Corpo Mistico e promuove tutta la sua vita e crescita;
3. lo Spirito Santo sostiene la Gerarchia con la Sua assistenza nell’esercizio legittimo dei suoi tre Uffici di insegnare, di governare e di santificare, in particolare sostiene la Gerarchia nel Suo Ufficio di insegnare “munus docendi” come lo Spirito di Verità, in quanto procede dall’Eterno vero Dio e dalla Verità che è il Figlio +.

Questi benefici lo Spirito Santo ha cominciato ad elargire sulla Chiesa il giorno stesso di Pentecoste.

Terzo punto: la santificazione delle Anime.

Lo Spirito Santo abita ora nelle Anime dei giusti, questo avviene per mezzo di una infusione così ricca che il Signore dice nel Vangelo di san Giovanni: chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno, questo Egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in Lui.

Questa infusione dello Spirito Santo comincia con il Battesimo e continua con la Cresima, effettua una nuova creazione, rende l’anima simile a se, rende la persona figlio di Dio. “Lo Spirito Santo entrando nell’anima porta con se i Suoi Doni e le Sue ispirazioni che sono come il soffio di una brezza che viene, i moti di un cuore completamente nascosto, porta con se altrettanto i suoi frutti dolci e ricchi di gioia, Lui, che nella Santissima Trinità è la dolcezza del Padre e del Figlio e che elargisce a tutte le creature con una infinita pienezza”, nelle parole di sant’Agostino.

Ma il bene più grande che lo Spirito Santo porta è Se stesso, che si dona ai fedeli, Lui che procedendo dall’Amore reciproco del Padre e del Figlio viene giustamente considerato e nominato “il Dono dell’Altissimo Dio – Altissimi, Dominum Dei”.

Lo Spirito Santo donandosi dunque ai fedeli abita nelle loro anime dove Lui, come l’Amore stesso, li perfeziona nell’Amore e se la potenza e la saggezza di Dio si manifesta anche nelle anime degli ingiusti l’Amore, la Carità, si manifesta solo nelle anime dei giusti perchè è il segno proprio dello Spirito Santo al quale nessun altro, che il giusto, partecipa.

Preghiamo e amiamo lo Spirito Santo che è Dio, che occorre amare con tutto il cuore che è Dio Amore. AmiamoLo con una vita pura e santa che conviene al Suo tempio che siamo noi, invochiamoLo per poter amare e per perdonare gli altri, Lui che è il perdono di tutti i peccati, invochiamoLo con le parole “venite Padre dei poveri, venite datore dei doni, venite luce dei cuori, Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo”.
Amen.
+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

L’amore crocifisso di Cristo

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

San Paolo, nella lettera agli Efesini (3. 14-19), scrive che lui piega le ginocchia davanti al Dio Padre affinché i fedeli possano essere ‘potentemente rafforzati dal Suo Spirito nell’uomo interiore’, che ‘Cristo abiti per la Fede nei (loro) cuori e così, radicati e fondati nella Carità’, possano ‘conoscere l’amore di Cristo’ per poter essere ‘ricolmi di tutta la pienezza di Dio.’

Con queste parole l’Apostolo indica per l’uomo un cammino spirituale che comincia con la preghiera allo Spirito Santo per essere forte contro tutti gli attacchi che gli possano venire dai suoi nemici, cioè il Mondo, la Carne, ed il Demonio. In seguito a questo consolidamento dell’uomo interiore, san Paolo prega che Cristo abiti per la Fede nel suo cuore: cioè che l’uomo conosca Cristo per la Fede, e così che Lo accolga nella mente come Verità, ma anche nel cuore come oggetto del suo amore. Poi, radicato e fondato nella Carità, cioè amando Cristo ed il prossimo in Lui, potrà conoscere l’amore di Cristo in tutta la sua estensione: nel senso di amare Cristo ed essere amato da Lui fin quanto è possibile; e finalmente di essere persino ricolmi di Lui, essendo ricolmi della conoscenza di Lui e del Suo amore verso l’uomo, come anche amando Lui ed il prossimo, fino all’unione definitiva dell’uomo a Dio.

In sintesi, dunque, il cammino procede dall’ascesi cristiana ad una Fede ferma, e poi alla Carità, sia ricevuta da Dio, sia data a Dio ed al prossimo, fino all’unione mistica con Dio.

Osserviamo come san Paolo parla in estremi apparentemente contradditori: prega che i fedeli possano ‘conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza’, cioè che possano comprendere l’incomprensibile; prega che siano ‘ricolmi di tutta la pienezza di Dio’, cioè che, pur essendo finiti, possano ricevere in sé l’infinito, che è Dio.

La parole ci ricordano il brano sul suo rapimento al terzo Cielo (2. Cor.12) dove sentiva ‘parole indicibili’ (hreta ahrreta). In questi tre passi ci porta, per così dire, fino all’orlo dell’infinità, all’orlo della Divinità: ad un luogo dove il nostro intelletto e le nostre capacità non sono più in grado di operare nel modo che operano in questa vita, ma saranno rese capaci per poter comprendere e ricevere qualcosa che è più grande di questa vita: e l’occhio vedrà, l’orecchio udirà, e la mente conoscerà ciò che l’occhio non ha mai visto, né l’orecchio udito, né è venuto nella mente umana di concepire: cioè qualcosa di Dio Stesso.

Chiaramente sarà dato a noi di comprendere la pienezza di Dio: di conoscerLo ed amarLo come il Vero ed il Bene infiniti, solo in Cielo: quando tramite facoltà glorificate e trasformate, potremo finalmente conoscerLo revelata facie, vederLo come lo è, sicuti est, eppure amarLo come tale, anche se questa comprensione non sarà mai completa, ma crescerà e si aumenterà sempre di più nel corso infinito dei secoli, mentre ci avviciniamo gradualmente, e senza mai raggiugerLo, verso la pienezza dell’Essere infinito di Dio.

Ora, ‘l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza’ viene esposto in termini della sua ‘ampiezza, lunghezza, altezza, e profondità’: in altre parole, viene raffigurato come la croce, paradigma del Suo Divin amore per l’uomo: l’ampiezza nell’abbracciare tutta la terra e tutti gli uomini; la lunghezza nel’abbracciare tutti i tempi, dall’eternità all’eternità; l’altezza nell’abbracciare il Paradiso, e nel suo orientamento verso il nostro ultimo destino; la profondità nell’abbracciare lo stesso Inferno nel Suo Divin amore.

‘Elevata sulle cime dei monti,’ scrive san Lorenzo Giustiniani, ‘sicura da tutte le tempeste, da tutti i turbini, da tutte le bufere, nessun nemico le si può avvicinare per il folgoreggiare delle saette che da essa promanano, vigilata tutt’intorno dagli angeli, sicurissima per la sua sublimità, inaccessibile per la sua misteriosità, ben salda per la sua incomparabile lunghezza, immensamente capace per la sua sconfinata vastità che attinge alle vette stesse del cielo e che si protende fino ai vertici dell’empireo, con la sua altezza incommensurabile, con la sua grandezza divinamente eccelsa, e penetra con la sua profondità gli abissi della terra e discende con la sua potenza fino alle carceri tenebrose dell’Inferno, mentre per la sua bontà, per la sua longanimità, ogni dolore diventa sopportabile, ogni affanno diventa consolabile. Che cosa dire anche della sua larghezza se è capace di accogliere nel suo infinito abbraccio tutti gli eletti?’

Come si potrebbe mai conoscere o comprendere questo amore crocefisso che è del tutto infinito, come l’infinità indicata dalle braccia della croce? Come si potrebbe mai comprenderlo nella sua estensione, o molto meno nella sua intensità, costituendo un amore sacrificale di un dolore e di una sofferenza sufficienti di redimere un’infinità di mondi?

La Chiesa ci insegna che una ragione per la Passione e della Morte del Signore fu di manifestarci il Suo amore per noi e di chiamarci a riamarLo. I santi insegnano che nessun’altra devozione è così efficace per instillare nei nostri cuori questo amore per Lui, che non la meditazione sulla Sua Passione. L’amore con cui Lo dobbiamo riamare è dunque l’amore sacrificale: Vivere per Lui, lavorare per Lui, offrire tutte le nostre gioie e sofferenze a Lui. Così, coll’aiuto della Spirito Santo saremo potentemente rafforzati nell’uomo interiore; così ci potremo consolidarci nella Fede e accoglierLo nei nostri cuori; e così, radicati e fondati nella Carità, potremo comprendere, infine, con tutti i santi, l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio. Amen.

I misteri dolorosi

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+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

     Per il primo Mistero Doloroso, voglio leggervi un passo scritto dal Beato cardinal Newman:

“Ecco quel che ci narra di Gesù san Marco, il quale pare abbia scritto quanto udì dalla voce di san Pietro, uno dei testimoni oculari della Passione. Arrivano al luogo chiamato Getsemani, ed Egli disse ai suoi Discepoli: “Fermatevi qui, mentre io faccio orazione”. E prese con se Pietro, Giacomo e Giovanni e li incominciò ad allibire e ad angosciarsi.

Osservate come Egli agisce deliberatamente: si reca in un luogo determinato e poi, data la parola d’ordine, sottrae quasi l’anima sua al sostegno della divinità, la lascia preda della desolazione, al dolore, allo sgomento che tutta la sommergono. Continua in questo modo in una agonia di spirito, così ben determinata, come se si trattasse di qualche tormento fisico, il fuoco o la ruota del supplizio.

E che cosa, dunque, dovette sopportare quando lasciò irrompere nell’anima Sua questo torrente di predestinato dolore? Ahimè! Ebbe a sopportare ciò che a noi è ben noto, anzi familiare, ma che per Lui fu sofferenza inaudita. Cosa facile per noi e tanto naturale che non sappiamo neppur concepirla come una grande pena, ma per Lui fu come il soffio e il veleno della Morte, dovette sopportare il peso del peccato, dei nostri peccati, di quelli del mondo intero.

In quell’ora terribile l’Innocente stese le braccia e offerse il petto agli assalti del Suo mortale nemico, un nemico spirante veleno pestifero e il cui abbraccio era la morte.

Rimase prostrato immobile e silenzioso, mentre il nemico orribile inabissava l’anima Sua in tutto l’orrore e l’atrocità dell’umano peccato, penetrandogli Cuore e coscienza, invadendoGli sensi e pensieri e coprendoLo come di una lebbra morale. Quale terrore quando i Suoi occhi, le Sue mani, i Suoi piedi, le Sue labbra, il Suo Cuore gli sembrarono membra del nemico e non dell’Uomo-Dio, era proprio quello l’Agnello Immacolato prima innocente, ma ora macchiato del sangue di migliaia di crimini”.

     Per il secondo Mistero Doloroso citiamo un brano da santa Brigida di Svezia, parole ricevute dalla Madonna:

“Nel momento in cui si avvicinava il tempo della Passione di Mio Figlio, tutti i Suoi nemici lo trascinarono via con percosse sulle guancie e sul collo, e dopo averGli sputato addosso si presero beffa di Lui, poi Lo condussero alla colonna, qui si tolse gli abiti da solo e si avvicinò alla colonna con le proprie mani che i nemici legarono senza misericordia. I Suoi amici erano fuggiti e i Suoi nemici sollevandolo Lo circondarono da ogni parte e frustarono il Suo Corpo puro con ogni corruzione e ogni peccato. Vidi il Suo Corpo flagellato e straziato fino alle ossa, tanto che gli si scorgevano le costole e la cosa più amara fu che quando smisero di flagellarLo ne scavarono e straziarono le carni. Così il Mio Figlio si rimise gli abiti e allora vidi che i Suoi piedi erano in una pozza di sangue, i Suoi nemici non tolleravano che si vestisse e Lo spinsero obbligandoLo a camminare. Ecco figlia mia, cosa ha sofferto Mio Figlio per voi”.

     Per il terzo Mistero Doloroso cito il padre Luis di Palma, dalle sue Meditazioni sulla Passione:

“Dopo intrecciarono una corona di spine, la intrecciarono con molta attenzione per non pungersi, avvalendosi probabilmente di tenaglia o di qualche strumento affine. La corona era a forma di ghirlanda o con maggior probabilità a forma di caschetto che così veniva a coprire tutta la testa. Alcune spine erano lunghe e aguzze, altre corte e ricurve, non si sa bene quali spine abbiano usato perchè in Israele ve ne sono di molte varietà, ed anche a Gerusalemme. Composta la corona Gliela conficcarono sul Capo con forza, a colpi di tenaglia e bastoni per non ferirsi. Il dolore fu atroce, il sangue cominciò a scorrerGli sul volto, fu allora che cominciarono gli scherni al finto re, il Signore lasciò ai suoi amici incastonate nella Sua corona regale due gemme preziose di inestimabile valore: il dolore e il dileggio.

Poi Gli misero una canna nella mano destra perchè fungesse da scettro, giudicavano Cristo un uomo vuoto e oscillante come la canna e altrettanto pensavano del Suo Regno, fragile e senza stabilità come la canna, ne risero, s’inginocchiavano porgendoGli le congratulazioni per il Suo Regno e dicendogli: – Salve, re dei Giudei! – e fingevano di adorarLo come un re. Gli sputavano in faccia e la loro sudicia saliva si mescolava con il prezioso Sangue del Signore che gocciolava dalla testa. Questo ferì molto profondamente il Signore che l’aveva raccontato ai discepoli prima che avvenisse, un giorno in cui andarono a Gerusalemme: – rideranno di me e mi sputacchieranno -.

Gli diedero molti schiaffi, Gli venivano davanti e Gli dicevano: – Salve re dei Giudei! – e gli davano schiaffi. Si avvicinavano uno dopo l’altro a salutarLo, si inginocchiavano, fingevano di baciarGli la mano e poi tendendo il braccio Gli davano uno schiaffo con tutta la forza. Altri nell’atto di inginocchiarsi gli afferravano la canna battendogliela poi in testa, si che le spine si conficcavano più in profondità. Gli tolsero di mano la canna e Lo percuotevano sul capo”.

     Per il quarto Mistero Doloroso, dal padre Faber:

“Riguardo ai Dolori della Santissima Vergine, la lealtà superò di molto la più terribile attesa. Un’altro aggravamento dell’afflizione di Maria nel Suo Quarto Dolore era causato dal conoscere che la Sua vista aumentava le sofferenze di Nostro Signore. La vista del Viso addolorato di Maria, fu per Gesù più penosa della terribile flagellazione alla colonna. Era necessario per completare il ciclo dei Dolori della Madonna che Ella si assoggettasse anche a questo straziante incontro, tale era la volontà di Dio, volontà sempre dolce anche nel più estremo rigore, sempre amabile anche quando la carne, il sangue e lo spirito fuggono atterriti per evitare l’amplesso designato. Questa volontà guidava il triste corteo del Calvario, questa volontà restava sul Golgota come una luminosa nube ed era come un’altra corona di spine attorno al Capo del Signore, un’altra croce sulle Sue spalle, una spada nel Cuor della Sua Madre, Essa cambiava questo Cuore materno, quasi in una spada infissa nel Cuore del Figlio.

Qual santo dimostrò mai tale sommissione alla volontà Divina come la Regina dei Martiri, Maria ascese il Calvario con coraggiosa calma per aiutare a sacrificare il Suo caro Figlio. L’Addolorata vedeva Gesù in balìa degli altri che potevano toccarLo e avvicinarLo mentre Ella, Sua Madre, ne era trattenuta lontano. Nei giorni di Betlemme e dell’Egitto la gioia di Maria consisteva nello stringersi Gesù al Cuore, quando Ella si occupava dei Suoi doveri materni, il Suo amore per Lui era divenuto così’ grande da non potersi esprimere che per mezzo di una timorosa venerazione. Il ricordo di quei felici istanti si presentava allora, alla memoria della Vergine, e le onde del dolore si precipitavano contro il Suo Cuore, quasi per strapparGlielo. Durante tutto il Venerdì Santo Maria si aperse un varco attraverso a quegli orrori, reprimendo i sentimenti della Sua natura, Ella non avrebbe voluto neppure per tutto il mondo che Le fosse risparmiato uno solo di quegli orrori”.

     Torniamo alle Rivelazioni di santa Brigida per meditare l’ultimo Mistero Doloroso:

“Vidi i Suoi occhi tramortiti, le gote bagnate, il viso dolente e la bocca aperta con la lingua rossa di sangue. Il ventre aderiva al dorso, tutti i liquidi erano fuoriusciti come se non ci fossero più le viscere. Vidi il Suo Corpo pallido e sfinito a causa del sangue che aveva perso, con le mani e i piedi rigidi e tesi sulla Croce, con la basra e i capelli intrisi di sangue.  La Sua pelle era così morbida e delicata che bastava colpirla leggermente per farne sgorgare il sangue. Il Suo Sangue era così vivo che lo si vedeva scorrere sotto la pelle. Essendo Mio Figlio di natura forte, la vita lottava contro la morte in un Corpo lacerato; quando il dolore saliva dalle membra e dai nervi trafitti dal Corpo al Cuore, la parte più sensibile più pura in Lui, il Cuore provava una sofferenza incredibile, e quando il dolore scendeva dal Cuore alle membra lacere, Egli ritardava con amarezza la Sua morte. La Morte si avvicinava e poichè il Cuore di Mio Figlio si spezzò per l’intensità del dolore, tutte le membra ebbero un sussulto, Egli protese un poco il Capo e poi lo reclinò.

Vedevo la Sua bocca aperta e la Sua lingua coperta di sangue, le Sue mani si erano scostate lievemente dal foro della Croce, per questo i piedi sostenevano un carico maggiore; le dita e le braccia si distesero e la schiena aderì al tronco. Venne poi un soldato e affondò a tal punto la lancia nel costato di Mio Figlio che quasi usciva dall’altro lato, e non appena ebbe ritratto la lancia, il petto si coprì di Sangue. Allora vedendo che il Cuore del Mio amato Figlio era stato lacerato, mi parve che lo fossi anche Io. Poi Egli venne calato dalla Croce ed Io lo posi sulle mie ginocchia, come un lebbroso, completamente livido e straziato, poichè i Suoi occhi erano morti e pieni di sangue, la bocca era fredda come la neve, la barba sembrava corta e il volto era contratto”.

+ In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Cristo Re e il trionfo

Pantokrator+In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.

Talvolta qualcuno chiamerà la Chiesa “trionfalista” come se fosse una società mediocre, puramente umana, centrata sul mero uomo, una società che non abbia niente su cui gloriarsi, come se dovesse prendere un posto modesto vicino alle altre religioni e, modestamente, tacere.

La realtà carissimi fedeli, però, è ben diversa: la Chiesa è una società perfetta animata dallo stesso Spirito Santo, santificante, infallibile, tutta pura, l’immacolata Sposa di Cristo.

Le altre religioni sono tutte false, i loro seguaci devono convertirsi, devono essere evangelizzati, catechizzati, battezzati e santificati, sottomessi al dominio di Cristo Re, Re di tutti gli uomini, non c’è un altra via di salvezza perché Cristo è Dio, l’unico Dio, “uno simile a Figlio d’uomo – dice san Giovanni – con occhi fiammeggianti come fuoco, la voce simile al fragore di grandi acque, che nella destra teneva sette stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio, il Suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza e mi disse: – Io sono l’Alfa e l’Omega, il Vivente, Io ero morto ma ora vivo per sempre ed ho potere sopra la morte e sopra gli inferi”.

Dunque, il Nostro Signore Gesù Cristo + che è già Re dell’Universo, Pantocrator, sia da Dio sia da Uomo in virtù dell’unione ipostatica fra la Sua divinità e la Sua umanità, è anche Re di tutti gli uomini in virtù della Sua Passione e Morte in Croce.

La Santa Chiesa Cattolica non si vergogna di Lui, dunque, che altrimenti si vergognerà di Lei davanti al Suo Padre e ai Suoi Angeli, bensì esulta soprattutto oggi nella Festa di Cristo Re, quando ricorda il Suo trionfo su Satana, sul peccato e sulla morte, esulta per Lui ed anche per se stessa, perché sa con certezza assoluta che seguendo il suo Re sul campo di battaglia di questo mondo, trionferà anche Lei.

Quaggiù facciamo parte della Chiesa Militante, militante contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti, e ci gloriamo di combattere sotto i vessilli di Cristo Re, per poter regnare con Lui dopo come Chiesa Trionfante in Cielo, per sempre.

La parola “trionfalista” come la parola “tradizionalista” sono parole moderne invitate da persone moderne per presentare come falso e male ciò che è vero e bene.

La Chiesa ha sempre visto la nostra vita terrena come una lotta dura contro i nemici della nostra salvezza, cioè, il mondo, la carne, il diavolo.

Il mondo, tutto ciò che ci circonda che sia male, le cattive compagnie, le pubblicità, i fiori del male sparsi attraverso i tratti interminabili del computer, la carne, tutti i desideri, gli istinti, le emozioni che lottano contro la ragione, e il diavolo, lui che aumenta i nostri disagi in tutto, obnubilando la nostra fede e la nostra fiducia in Dio insinuando pensieri cattivi, negativi, meschini nella mente, ingannandoci e seducendoci.

Contro questi nemici noi lottiamo in collaborazione con Nostro Signore Gesù Cristo + una collaborazione che culminerà nella Sua gloriosa vittoria sul mondo.

Questa è la visione della Chiesa, la visione tradizionale che, come tutto ciò che è tradizionale nella Chiesa è da accettare da noi come pienamente cattolica.

Gloriamoci, dunque, di combattere sotto i vessilli di questo Re vestito di una Corona e di una Porpora più gloriose di quelle di tutti i re che abbiano mai vissuto su questa terra, essendo gli strumenti dell’opera del Suo Divin Amore; gloriamoci nel Nostro Re, per cui saremo onorati di versare la nostra vita, come Lui ha versato la Sua per noi fino all’ultima goccia del Suo preziosissimo Sangue; gloriamoci di seguirLo in questa vita non con l’arroganza e la superbia, però, bensì nella profondissima umiltà portando la nostra croce dietro a Lui, consapevoli solo della Sua infinita maestà e della nostra iniquità e della nostra nullità, la nostra iniquità che l’ha messo in Croce, e seguendoLo così nell’umiltà, rinnegandoci, e portando la nostra croce vinceremo nella battaglia contro i nostri nemici, e trionferemo e regneremo con Lui per sempre nella gloria della Patria Celeste.

Amen

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo +