Rendete a Cesare

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

‘Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, ed a Dio ciò che è di Dio’: Rendete a Cesare , ovvero all’autorità secolare, il tributo, il servizio, e l’ubbedienza nelle cose secolari, purchè essa non richieda nulla che sia contrario ai vostri doveri verso Dio; ma date a Dio quella moneta che è di Dio, ovvero la vostra anima immortale: quella moneta appartiene a Lui, poiché Lui l’ha creata, e Lui l’ha redenta, poiché su di essa ha impresso il sigillo della Sua immagine e rassomiglianza, e su di essa ha scritto il nome del Figlio Divino: il nome di Cristiano. Che la fedeltà dovuta all’autorità secolare mai vi distolga dalla fedeltà dovuta a Dio!

‘Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, ed a Dio ciò che è di Dio.’ Queste parole si possono intendere in un senso ancor più profondo dai Padri della Chiesa in rapporto ai beni terreni e quelli celesti. ‘Rendete a Cesare ciò che è di Cesare’: ovvero rendete al mondo ciò che è del mondo: le sue richezze passeggeri, i suoi beni ingannevoli, le sue gioie vane. Rendeteglieli: abbandonateglieli, poiché questo è ciò che il mondo stima e desidera. Non cercate nulla di quell’eredità di cui è geloso lui: per poter dare più completamente a Dio ciò che Lui vi richiede: la sottomissione, l’ubbedienza, l’amore.

La vostra ora suprema arriverà quando sarete felice di aver fatto quella divisione; sarà l’ora quando la vostra anima apparirà al tribunale di Dio. A quell’ora gli angeli che accompagnano il Giudice Divino saranno interrogati da Lui: ‘Di chi porta l’immagine ed il nome? Ha tenuto il sigillo della Mia rassomiglianza ed il nome di Cristiano che ho impresso su di lui il giorno del suo battesimo? Ha cancellato questa immagine per sostuirla con quella del demonio?’

Come risponderanno gli angeli? Che rispondino: ‘Signore, porta sempre la Vostra immagine! Il contatto con le cose terrene non l’ha cancellata! Si riconosce sempre l’impronta divina!’ e voi sentirete uscire dalla bocca del Giusto e Buon Giudice queste parole: ‘Rendete dunque a Dio ciò che è di Dio!’ e sarete posto tra il numero degli eletti come il caro e prezioso tesoro di Dio.  Deo gratias!

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le Vergini sagge e stolte

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

‘Il regno dei cieli è simile a dieci vergini…’ dieci vergini, che, secondo san Girolamo, rappresentano l’umanità intera. ‘Uscirono incontro allo Sposo…’: uscirono in questo mondo per preparare l’anima per lo Sposo, per renderla degna di sposare, alla fine della vita, Colui Che desidera essere il loro Sposo per l’eternità.

‘Cinque di esse erano stolte e cinque sagge, le stolte presero le lampade, ma non presero con sè olio; le sagge, invece, insieme alle lampade presero anche dell’olio in piccoli vasi… lo sposo tardava…’ Il tempo della sua venuta fu sconosciuto; il tempo si prolungava, scorreva, e lui non veniva. Le vergini stolte pensavano ad altro, si assopirono, si addormentarono e dormivano portate via dal sonno. I sensi le trascinavano, staccandole dalla ragione e dalla volontà: afferrate dalla fantasia e dall’immaginazione, entravano nel mondo dei sogni; staccate dal Vero e dal Bene, staccate dal pensiero dello Sposo celeste che dovevano aspettare. Non vegliavano: si assopirono e si addormentarano, trascinate dalla notte, dalla notte del mondo, dalla notte del peccato.

‘A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo Sposo, andateGli incontro!’ A mezzanotte, nelle profondità della notte, dice Origene, quando il sonno è più profondo, quando il peccatore è massimamente abbandonnato alla trascuratezza, e nel momento in cui è minimamente atteso, lo Sposo arriva, proclamato dal grido degli Angeli, dice san Girolamo, e dalle trombe delle Potestà che Lo precedono.

Svegliate dalla notte di questo mondo, dalla notte dell’inganno del peccato, dell’inganno portato dallo stato del peccato mortale, quando la ragione è annebbiata, la visione spirituale dell’anima è indebolita, la volontà flaccida e debole, svegliate dall sonno si alzarano: Viene lo Sposo! Colui per il Quale, per tutta la vita a loro concessa, dovevano prepararsi ad incontrare. Ecco che viene! e la vita sta per finire, si avvicinano la Morte ed il Giudizio; e lo Sposo viene loro incontro per vedere se la loro anima sia degna di unirsi a Lui in un eterno sposalizio.

‘Si destarano e prepararano le loro lampade’, ovvero, dice sant’Agostino, si prepararano per render conto dei loro atti. Ma cos’è questo? Vedono che si spengono le loro lampade: le loro buone azioni non sono durate, non emettono più luce: nelle anime delle vergini stolte non c’è più la luce della Grazia divina.

Presto! ‘dateci del vostro olio’ dicono alle sagge, ‘perchè le nostre lampade si spengono. Viene lo Sposo, e noi non siamo pronte.’ Ma le sagge rispondono: ‘No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene’ – perchè ognuno sarà ricompensato per le proprie opere: i meriti e le grazie dell’uno non si possono comunicare all’altro. …‘Andate piuttosto dai venditori e compratevene! Comprate la grazia con le vostre opere, con una vita buona. Comprate la grazia col pentimento per i vostri peccati, ricevete il perdono nel sacramento della penitenza, e riacquistate la grazia. Ormai è giunta la notte, nella quale nessuno può più lavorare: è passato il tempo dei meriti; il tempo della misericordia ha compiuto il suo corso; è arrivato il tempo della giustizia: Coloro che vendono non vendono più, perchè è giunta la notte.’

‘Ora, mentre andavano per comprare l’olio, arrivò lo Sposo, e le vergini che erano pronte entrarono con Lui alle nozze.’ Erano pronte coloro che avevano condotto una buona vita con opere piene di carità, con la luce della Grazia che brillava nel cuore, che brillava dal volto; coloro che erano la luce del mondo, destinate a brillare per sempre nel regno del Padre come il sole. Erano state vigili, avevano tenuto l’olio, oppure, se forse lo avevano perso, lo avevano ricomprato con una confessione contrita.

‘…entrarono con Lui alle nozze e la porta fu chiusa – janua clausa est.’ Il tempo dei meriti e della misericordia è finito, ed il tempo della giustizia è iniziato. La porta è chiusa con la chiave di Davide: quando apre, nessuno chiude; quando chiude , nessuno apre. Le sagge sono entrate e non usciranno; le stolte rimaranno fuori.

‘Più tardi arrivarano anche le altre vergini ed incominciarono a dire: Signore, Signore aprici – Domine, Domine, aperi nobis! In disperazione ripetono: Domine, Domine, osserva san Tommaso, facendo appello all’Onnipotente ed all’Altissimo Dio, all’ Eterna Giustizia, il Quale per tutta la vita l’avevano disprezzato, a Cui mai avevano fatto ricorso, neanche come Padre amorevole: Padre di ogni misericordia ed amore.

Domine , Domine, aperi nobis!’ ‘Dal fondo stesso della natura’, dice padre Tanquerey parlando del peccatore al momento della morte, ‘dalle aspirazioni dell’anima e del cuore, dal’intiero suo essere, si sente irresistibilmente tratto verso Colui Che è il suo primo principio ed il suo ultimo fine, l’unica fonte della sua perfezione e della sua felicità, verso quel Padre così amabile e così amante che l’aveva adottato per figlio, verso quel Redentore che lo aveva amato fino a morir sulla croce per lui; ma intanto si sente inesorabilmente respinto da una forza invincibile, che forza non è altro che il suo peccato, nel quale è ormai irremediabilmente ed eternamente fisso dalla morte.

‘Molti mi diranno in quel giorno ‘Signore, Signore’ dice Nostro Signore Benedetto Gesù Cristo, e poi li dirò: ‘Non vi ho mai conosciuti, andate via da Me operatori di iniquità’. ‘In Verità vi dico: non vi conosco.’

Conosco e riconosco coloro in cui vedo l’immagine di Dio, che condividono la vita divina e la luce divina di Dio, la vita vera, la luce vera, dell’uomo: la vita nell’ultimo senso e la luce increata. Il Padre conosce e riconosce il Figlio nei Suoi figli fedeli e li accoglie nella vita eterna, come i Suoi figli benamati; li accoglie nelle nozze del Suo Figlio per partecipare alle gioie eterne del Regno con tutti gli eletti.

Ed il Figlio accoglie queste anime a Se Stesso in un amore eterno: le vergini sagge illuminate dalla luce delle loro opere buone e sante. Ma le altre non le conosce. Sono tratte irresistabilmente verso di Lui per tutta l’eternità, eppure non Lo potranno mai raggiungere.

E quindi, carissimi fedeli, se qualcuno che sta sentendo queste parole, mentre aspetta lo Sposo della sua anima, si è assopito ed addormentato, e la cui lampada non contiene nessun’opera duratura, ma si è spenta; se qualcuno che sta ascoltando si è stato trascinato nel sonno del peccato, nei piaceri chimerici e passeggeri di un mondo di fantasia vano e vuoto, che si svegli, prima che sia troppo tardi: perche il giorno già volge al declino e si avvicina la notte. Che si svegli dal sonno, che si prepari all’intercessione dell’Immacolata, per andare incontro a Colui da Cui e per Cui solo è stato creato: ‘Vegliate, perchè non conoscete nè il giorno nè l’ora.’

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La pecora smarrita, la drachma persa

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

‘Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella smarrita finche non la ritrovi’. Secondo l’interpretazione dei Padri, il Pastore è Dio. Le cento pecore sono gli angeli assieme agli uomini – Adamo ed Eva – come furono creati nello stato di Grazia; il numero 100 significano l’universalità e la perfezione. La pecora smarrita è l’uomo smarrito a causa del peccato nella persona del suo capo Adamo. Il pastore lascia le altre novantanove nel deserto che sono gli angeli del Cielo abbandonati dalla Sua presenza alla Sua entrata nel mondo. Trova la pecora, si unisce a le per mezzo della Sua Incarnazione, la prende sulle spalle per mezzo della Sua Passione, sofferente ma felice di aver riconquistato ciò che fu perso: imponit in humeros suos gaudens. Revertit domum: Ritorna in Cielo che non è più un deserto ormai, bensì un dolce focolare: un dolce focolare per l’uomo che possa vivere poi là col Verbo Incarnato per sempre.

Il Pastore convoca i suoi amici che sono gli angeli e gli dice: Rallegratevi con me perché malgrado tutta la mia dolorosa Passione e Morte ho rapportato a casa un grande premio: l’uomo salvato dalla perdizione. E ci sarà più gioia in Cielo che per le novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione: ossia per gli angeli che non hanno mai peccato, ma hanno solo perseverato nel bene.

In questo modo la parabola viene intesa nel senso soteriologico, rapportandosi a tutta l’economia della salvezza, ma si può intendere anche di ogni peccatore e di ogni uomo, perché la Passione e la Morte di Nostro Signore Gesù Cristo sono la causa di salvezza, e l’unica causa, per ognuno.

*

La parabola della drachma tratta ugualmente della salvezza dell’uomo. ‘Quale donna, se ha dieci drachme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa, cerca attentamente finché non la ritrova?’ La donna è la Chiesa, Sposa Immacolata di Nostro Signore Gesù Cristo, alla quale Egli ha affidato l’universalità degli eletti. La dracma è l’uomo su cui è impresso il sigillo del suo Re: cioè l’immagine e somiglianza di Dio. Se la Chiesa viene a perdere una di queste drachme affidate a le dal suo Maestro sovrano, la cerca con sollecitudine e diligenza nella polvere della ricchezze e nel fango dei piaceri impuri: ‘Spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrovi.’

Porta alla mano una lucerna che è la dottrina della verità, l’illuminazione dei buoni esempi, le esortazioni ardenti della Carità, oppure la lucerna è Nostro Signore Stesso brillante di uno splendore divino nell’argilla dell’umanità. Alle luce di questa lucerna, la Chiesa cerca le anime perdute e quando ne riacquista una, redenta dal Sangue del suo Maestro Divino, chiama i suoi vicini ed amici, che sono i santi del Cielo e della terra, per condividere la sua gioia e per ringraziarne il Signore.

Nella sua enciclica Haurietis Aquas sul Sacro Cuore di Gesù, papa Pio XII prende la parabola del Buon Pastore come esempio dell’amore di Nostro Signore Gesù Cristo verso gli uomini, simbolizzato dal Suo Sacro Cuore. Nostro Signore, di Cui il Nome sia sempre benedetto, va in cerca del peccatore, e lo chiama con la Sua voce dolce e grave: chiama san Giacomo e san Giovanni a seguirLo; chiama Giuda alla penitenza dopo il suo tradimento; chiama san Pietro con un guardo solo dopo i suoi rinnegamenti; chiama il giovane ricco che vuol vivere un compromesso col Mondo; chiama noi infine mediante la Sua Santa Chiesa, con la luce della Verità, dei buoni esempi, con le esortazioni alla virtù, e mediante la coscienza.

Ci chiama: ci chiama a Lui, ci chiama a lasciare le preoccupazioni, gli affari, i dolori passeggeri di questa terra e di questa vita, per avvicinarci a Lui: per avvicinarci al Suo Sacratissimo Cuore e per entrare nel Suo Sacratissimo Cuore: propiziazione per i nostri peccati, fonte di ogni consolazione, fonte di santità, in Cui abita ogni pienezza della Divinità.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il seminatore

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

‘Il seminatore uscì a seminare.’ Il seminatore, secondo i Santi Padri della Chiesa, è il Verbo uscito dalle profondità dell’Essenza Divina per manifestarSi al mondo: il Seminatore celeste che, dall’inizio della storia umana, non cessa di spargere il seme della salvezza tramite il ministero degli angeli agli patriarchi, il ministero di Mosè e dei profeti ai giudei, e in Propria Persona ai cristiani. E per questi ultimi Egli comincia con la parola e con l’esempio sulla terra, e continua dal Cielo, tramite la dottrina della Chiesa e le ispirazioni della Grazia. Ciò che semina, ossia il Suo seme, è Sè Stesso: il principio della vita spirituale quaggiù e la sostanza della vita eterna nel Cielo.

Ora una parte del seme cade sulla strada e viene divorato dagli uccelli: cioè una parte del seme viene tolta dal cuore degli uomini per mezzo del demonio. Questi cuori, in cui la parola non germoglia, sono i cuori dei figli del Mondo. Sono simbolizzati dalla strada arida ed indurita, calpestata dai piedi di tutti che passano: cioè da tutti gli errori e di tutti i vizi. I demòni dimorano in questi cuori, e mediante gli uccelli del cielo – i pensieri folli e la leggerezza incostante – divorano il seme e lo impediscono di germogliare.

Un’altra parte del seme cade in luogo sassoso. L’uomo raffigurato da questo luogo sassoso lo accoglie con gioia, ma non dà al seme una base abbastanza profonda per radicarsi. Quando viene la tribolazione e la persecuzione a causa della parola, la abbandona. Il luogo sassoso è il cuore pauroso. La parola lo tocca e lo conduce alla compunzione ed alla penitenza, ma gli manca la base della Fede e della Carità profonde, dove la parola si possa radicare. Quando il sole delle sofferenze e delle ostilità comincia a bruciarlo, cede alla paura ed abbandona tutti i suoi santi proponimenti.

Il seme seminato tra le spine, nella parola del Signore, ‘è colui che ascolta la parola, ma le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la parola, ed essa non dà frutto.’ Le preoccupazioni del mondo e l’inganno delle ricchezza soffocano la parola in quanto si presentano come degli assoluti. La preoccupazione del mondo si presenta come l’unico nostro compito su questa terra e la ricchezza come l’unico nostro bene. La ricchezza ci inganna , travestendosi come il bene assoluto e stabile che è la beatitudine celeste. Invece, nella parola di san Bernardo, i beni terreni ‘posseduti pesano, amati inquinano, e persi tormentano.’ Siccome la pecora perde sempre una parte del suo vello sugli arbusti vicini alla strada, così il cristiano perde sempre qualcosa delle sue ricchezze spirituali su i cardi dei possessi terreni.

‘Quello seminato nella terra buona’, conclude il Signore, ‘sono coloro che , dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro pazienza.’

Ora il seme è lo stesso per tutti: la dottrina della Santa Madre Chiesa e le ispirazioni della Grazia, ma guai a lui, dice Teofilo, che si rende un terreno sterile, sassoso, o spinoso; e beato lui, invece, che riceve il seme e lo porta a maturità: che resiste alle tentazioni del mondo, della carne , e del demonio; che non cede alla paura; che non si lascia superare dalle preoccupazioni o dalle concupiscenze; e che sopporta l’ardore del sole della tribolazioni e persecuzioni, e con un cuore buono e perfetto produce frutto in pazienza: ‘Fructum afferunt in patientia.’

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il Buon Samaritano

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

San Luca è stato chiamato l’evangelista della Misericordia di Dio, in gran parte a causa delle Parabole che si trovano nel suo Vangelo come quella del Buon Samaritano e del Figliol Prodigo. Ora, quando leggiamo la Parabola del Buon Samaritano nella luce dei Padri della Chiesa, vediamo che questa Parabola parla della Misericordia di Dio nel contesto di tutta la storia della Salvezza, come adesso vedremo insieme.

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico qui Gerusalemme, che significa “visione di pace” rappresenta, secondo i Padri, il Paradiso terreno, il Giardino di Eden, e Gerico che significa “Luna” rappresenta il mondo in cui tutto è mutabile, è instabile come la Luna stessa, l’uomo rappresenta Adamo e la discesa da Gerusalemme a Gerico è la caduta di Adamo all’occasione del Peccato Originale, e incappò nei briganti che lo spogliano e lo feriscono e lo lasciano tramortito.

Questi briganti sono, nelle parole di sant’Ambrogio, gli “angeli della notte e delle tenebre” che dopo il Peccato Originale hanno spogliato Adamo dei doni sovrannaturali che aveva ricevuti da Dio e l’hanno lasciato nello stato della natura caduta, dove è difficile conoscere la verità, agire bene, compiere i nostri doveri, dove è facile essere attratti e sedotti dalle nostre emozioni.

Cosa succede adesso nella Parabola?

Un sacerdote lo vede e passa, un levita lo vede e passa. San Giovanni Crisostomo interpreta il sacerdote come il sacrificio dell’Antico Testamento, il levita come la Legge dell’Antico Testamento, ne l’uno ne l’altro poteva guarire l’uomo caduto e dunque, nella storia, tutti e due passano senza fermarsi.

Un samaritano che percorreva la medesima strada si avvicinò a lui e vedendolo provò una compassione per lui, questo samaritano è nessun altro che Cristo stesso, anch’Egli scende da Gerusalemme a Gerico, ossia, dal Paradiso a questo mondo e porta con se il rimedio di cui l’uomo caduto ha bisogno, che nessuno prima di Lui nell’Antico Testamento poteva dargli: avvicinandosi gli ha fasciato le ferite, cosparso olio e vino e mettendolo sul suo cavallo, lo condusse all’albergo ed ebbe cura di lui.

Questa frase ci parla del rimedio portato dal Signore: l’olio e il vino sono i Sacramenti, l’olio simbolizza il Battesimo, la Cresima, il Sacerdozio e l’Estrema Unzione, il vino simbolizza la Santa Eucaristia, il fasciare simbolizza i Comandamenti, il cavallo, secondo tutti i Padri, è la sacra umanità di Nostro Signore + mediante la quale siamo salvati.

Beda il Venerabile, commenta: “fu conveniente che egli lo pose sul suo cavallo e lo guidava così, poichè nessuno che non sia unito a Cristo tramite il Battesimo entrerà nella Chiesa”.

L’albergo, dunque, simbolizza la Chiesa e san Giovanni Crisostomo spiega: “l’albergo è la Chiesa che accoglie i viaggiatori, che son stanchi del loro viaggio attraverso il mondo e oppressi dal peso dei loro peccati, dove il viaggiatore stanco viene sollevato quando depone il peso dei suoi peccati e viene ristorato con nutrimento salutare, e questo significano le parole “quando ebbe cura di lui” perchè tutto ciò che è fuori è conflittuale, dannoso e male mentre, dentro dell’albergo c’è tutta pace e salute”.

Quanto ai due danari questi possono significare i Comandamenti della Carità verso Dio e verso il prossimo, o la promessa della vita presente e la vita futura, da altre interpretazioni.

In breve allora, Nostro Signore Gesù Cristo + ci descrive in questa Parabola tutta la storia della nostra Salvezza: Adamo ha peccato ed è caduto, e con lui tutta l’umanità, Iddio alla vista della sua miseria fu commosso dalla Misericordia, scende dal Cielo e assume la nostra umanità che diviene il mezzo della nostra salvezza, Ci dona i Comandamenti e i Sacramenti, Ci conduce nella Chiesa che ci darà il rifugio fin quando Egli tornerà. Tutta la Parabola parla della Misericordia di Dio e la nostra reazione dovrebbe essere quella della gratitudine verso Dio e il desiderio di amare Dio e il nostro prossimo come Dio ci ha amati.

Ma chi è il mio Prossimo? chiede lo scriba. La parabola ci insegna che il nostro Prossimo è colui che incontriamo sulla strada della nostra vita e che soffre.

Riflettiamo un attimo, ognuno di noi, c’è qualcuno a cui sono vicino che ho incontrato e che soffre, che ha bisogno di me, che ci ha chiesto soccorso che non abbiamo ancora dato, soccorso fisico, spirituale, consiglio, preghiera, o semplicemente tempo per ascoltare le sue sofferenze? Questa persona è il nostro Prossimo, non lo trascuriamo!

C’è un’altro livello ancor più profondo nella Parabola, perchè la persona sofferente è Cristo stesso. Stiamo quindi ben attenti ai nostri doveri perchè, come Nostro Signore ci dice nel Vangelo di san Matteo: “in quanto hai fatto questo buon atto ad uno dei più piccoli dei miei fratelli, lo hai fatto a me”

+ In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo!

La vigna

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

“Mi circondarono flutti di morte, mi avvolgevano i lacci degli inferi, nell’angoscia gridai al mio Dio”, così preghiamo al Signore della nostra salute nell’Introito adesso che, avendo percorso il primo ciclo dell’Anno Liturgico, quello di Natale, iniziamo oggi il secondo ciclo che ci condurrà, attraverso le sofferenze di Cristo + espresse nei paramenti viola, sino alla Sua gloriosa Risurrezione di Pasqua.

Un’eco lontano delle Sue sofferenze sono le nostre sofferenze in questa vita rappresentate nel Vangelo dal peso del giorno e dal gran calore del lavoro nella vigna.

Cos’è questa vigna? Secondo i Padri della Chiesa, questa vigna è la Chiesa, il Padrone della vigna è nostro Signore Gesù Cristo + che ci chiama alla Chiesa; la giornata passata nella vigna è la nostra vita nella Chiesa; le ore diverse, quando gli operai entrano nella vigna, rappresentano le tappe diverse della vita, quando ognuno entra nella Chiesa, o si converte: l’infanzia, una età più avanzata;o la vecchiaia; la sera quando il Padrone fa distribuire la ricompensa, è la fine della vita, e il denaro è la beatitudine eterna, ricompensa del nostro lavoro nella Chiesa in collaborazione con la grazia divina.

Questa parabola ci parla chiaramente della misericordia di Dio: Dio è il Padrone della vigna, che e descritto come padre di famiglia, Pater Familias: è il nostro Padre, ci tratta come suoi figli, e ci chiama nel Suo Amore paterno, alla Sua vigna, vinea sua, la Sua Chiesa. La Chiesa è la Sua, non abbiamo diritto nessuno, ad appartenerci, ma il Padre ci chiama ad Essa perchè ci ama. Ed infatti chiama cinque volte gli operai alla Sua Chiesa: molto presto, alle nove, a mezzogiorno, alle tre, e alle cinque di sera; e coloro che non hanno lavorato che per l’ultima parte della giornata, ricevono tanto quanto coloro che hanno lavorato dall’inizio.

Carissimi fedeli tutto, si può dire, è misericordia; la nostra creazione, la nostra fede, la nostra salvezza, il perdono dei nostri peggiori peccati, la ricompensa del nostro lavoro che è la Vita Eterna. E noi dobbiamo ringraziare il Signore per questo, dobbiamo guardare la nostra miseria, malizia, e la nostra indegnità di tutto ciò che Egli ci dà, e vedere che tutto è gratuito, è tutto misericordia.

Se conduciamo una vita abbastanza buona da qualche tempo, non siamo invidiosi, non abbiamo un occhio cattivo dicendo “questi non ha condotto una buona vita, io ho meritato molto di più”, poichè questo Vangelo ci dice esplicitamente che non è la lunghezza del nostro servizio che conta! Cosa conta? la collaborazione nostra con la Sua misericordia, la nostra fedeltà alla Sua grazia, il nostro cuore: conta il cuore, l’intensità del cuore, l’intensità dell’amore, così coloro che sono entrati nella vigna alle cinque di sera, coloro che si sono convertiti alla fine della loro vita, sono forse coloro che l’amano più intensamente, che lavorano per Lui con tutto il cuore e tutte le forze del loro animo, e Dio che è sia misericordioso, sia giusto, gli darà la loro ricompensa giusta, come darà la loro ricompensa giusta a coloro che hanno lavorato più a lungo ma forse con meno amore: “quello che è giusto, ve lo darò”, Ci dice.

Proviamo, dunque, a lavorare per Lui con tutto il cuore e con tutte le forze della nostra anima, e questo lavoro comprende tutte le faccende, azioni, e tutti i doveri della nostra vita. Facciamo questo senza guardare gli altri, ma solo Lui, nostro Padrone, nostro Padre e la nostra ricompensa eterna.

Consapevoli della Sua predilezione per gli ultimi, siamo noi gli ultimi, nel senso che cominciamo questo stesso giorno a applicarci bene al nostro lavoro nella Chiesa e per la Chiesa, anche se l’ora è tardiva; siamo gli ultimi nella scelta dell’ultimo posto alla tavola nella nostra umiltà; siamo ultimi nel prepararci per essere scherniti e considerati come gli ultimi per amore di Lui, e siamo ultimi nel perseverare sino alla fine, sino alla sera della nostra vita quando il Padrone tornerà e ci darà la nostra ricompensa, la Vita Eterna che Egli stesso è, Nostro Signore Gesù Cristo + Iddio Trino ed Uno a Cui sia ogni lode, gloria ed onore, nei secoli dei secoli.
Amen!

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

La vigna (2)

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

“Mi circondarono flutti di morte, mi avvolgevano i lacci degli inferi, nell’angoscia gridai al mio Dio”, così preghiamo al Signore della nostra salute nell’Introito adesso che, avendo percorso il primo ciclo dell’Anno Liturgico, quello di Natale, iniziamo oggi il secondo ciclo che ci condurrà, attraverso le sofferenze di Cristo + espresse nei paramenti viola, sino alla Sua gloriosa Risurrezione di Pasqua.
Un’eco lontano delle Sue sofferenze sono le nostre sofferenze in questa vita rappresentate nel Vangelo dal peso del giorno e dal gran calore del lavoro nella vigna.
Cos’è questa vigna? Secondo i Padri della Chiesa, questa vigna è la Chiesa, il Padrone della vigna è nostro Signore Gesù Cristo + che ci chiama alla Chiesa; la giornata passata nella vigna è la nostra vita nella Chiesa; le ore diverse, quando gli operai entrano nella vigna, rappresentano le tappe diverse della vita, quando ognuno entra nella Chiesa, o si converte: l’infanzia, una età più avanzata; o la vecchiaia; la sera quando il Padrone fa distribuire la ricompensa, è la fine della vita, e il denaro è la beatitudine eterna, ricompensa del nostro lavoro nella Chiesa in collaborazione con la grazia divina.
Questa parabola ci parla chiaramente della misericordia di Dio: Dio è il Padrone della vigna, che e descritto come padre di famiglia, Pater Familias: è il nostro Padre, ci tratta come suoi figli, e ci chiama nel Suo Amore paterno, alla Sua vigna, vinea sua, la Sua Chiesa. La Chiesa è la Sua, non abbiamo diritto nessuno, ad appartenerci, ma il Padre ci chiama ad Essa perchè ci ama. Ed infatti chiama cinque volte gli operai alla Sua Chiesa: molto presto, alle nove, a mezzogiorno, alle tre, e alle cinque di sera; e coloro che non hanno lavorato che per l’ultima parte della giornata, ricevono tanto quanto coloro che hanno lavorato dall’inizio.
Carissimi fedeli tutto, si può dire, è misericordia; la nostra creazione, la nostra fede, la nostra salvezza, il perdono dei nostri peggiori peccati, la ricompensa del nostro lavoro che è la Vita Eterna. E noi dobbiamo ringraziare il Signore per questo, dobbiamo guardare la nostra miseria, malizia, e la nostra indegnità di tutto ciò che Egli ci dà, e vedere che tutto è gratuito, è tutto misericordia. E se conduciamo una vita abbastanza buona da qualche tempo, non siamo invidiosi, non abbiamo un occhio cattivo dicendo “questi non ha condotto una buona vita, io ho meritato molto di più”, poichè questo Vangelo ci dice esplicitamente che non è la lunghezza del nostro servizio che conta! Cosa conta? la collaborazione nostra con la Sua misericordia, la nostra fedeltà alla Sua grazia, il nostro cuore: conta il cuore, l’intensità del cuore, l’intensità dell’amore, così coloro che sono entrati nella vigna alle cinque di sera, coloro che si sono convertiti alla fine della loro vita, sono forse coloro che l’amano più intensamente, che lavorano per Lui con tutto il cuore e tutte le forze del loro animo, e Dio che è sia misericordioso, sia giusto, gli darà la loro ricompensa giusta, come darà la loro ricompensa giusta a coloro che hanno lavorato più a lungo ma forse con meno amore: “quello che è giusto, ve lo darò”, Ci dice.
Proviamo, dunque, a lavorare per Lui con tutto il cuore e con tutte le forze della nostra anima, e questo lavoro comprende tutte le faccende, azioni, e tutti i doveri della nostra vita. Facciamo questo senza guardare gli altri, ma solo Lui, nostro Padrone, nostro Padre e la nostra ricompensa eterna. E consapevoli della Sua predilezione per gli ultimi, siamo noi gli ultimi, nel senso che cominciamo questo stesso giorno a applicarci bene al nostro lavoro nella Chiesa e per la Chiesa, anche se l’ora è tardiva; siamo gli ultimi nella scelta dell’ultimo posto alla tavola nella nostra umiltà; siamo ultimi nel prepararci per essere scherniti e considerati come gli ultimi per amore di Lui, e siamo ultimi nel perseverare sino alla fine, sino alla sera della nostra vita quando il Padrone tornerà e ci darà la nostra ricompensa, la Vita Eterna che Egli stesso è, Nostro Signore Gesù Cristo + Iddio Trino ed Uno a Cui sia ogni lode, gloria ed onore, nei secoli dei secoli.
Amen!

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.