L’autoinganno, un aspetto della superbia

Introduzione

L’articolo seguente è una piccola sintesi dell’opera dell’oratoriano Padre Frederick Faber, Self-Deceit. Qua intendiamo l’autoinganno come l’inganno di noi stessi che ci fa credere di possedere qualche buona qualità che invece non possediamo. Come tale, fa parte della superbia, che intendiamo come la nostra compiacenza in qualche nostra buona qualità (o da noi posseduta o non posseduta). Il trattato consiste dunque effettivamente in un’analisi dell’inganno inerente alla superbia, di cui l’autore apporta un’analisi profonda e psicologicamente rigorosa.

Lo scopo di questo articolo è di aiutarci ad essere veritieri con noi stessi, ed a scoprire ed ammettere le nostre mancanze: per poter lavorare su noi stessi moralmente, e per progredire sulla via dell’umiltà e della perfezione verso il Cielo.

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‘Un uomo veritiero è il più raro di tutti i fenomeni’, inizia il trattato del buon Padre Faber, ma aggiunge che sicuramente vale la pena passare due terzi della nostra vita unicamente sul lavoro di essere meno menzogneri di ciò che non siamo. Il primo passo verso l’essere veritieri è la consapevolezza che ci siamo lontani; il secondo passo ne è di fare un atto di determinazione virile per esaminarci su questo vizio fino in fondo.
Ne guarderemo nel seguente:
1) le fonti;
2) le varietà;
3) le caratteristiche; e
4) i rimedi.

I

LE FONTI DELL’AUTOINGANNO

Quali sono le fonti dell’autoinganno? Facendo parte della superbia, l’autoinganno appartiene alla ‘Carne’ o, in altre parole, alla Natura caduta. La Carne, il nemico interno dell’uomo, può motivare l’uomo in modo diretto, con i propri moti; o in modo indiretto, tramite il mondo esterno o il demonio. Guardiamo prima l’operazione diretta dell’autoinganno, poi la sua operazione indiretta.

1. Autoinganno diretto

Ci sono due motivi principali dell’autoinganno diretto: la paura di conoscerci come siamo, e l’egocentrismo.

a) L’autoconoscenza

L’autoinganno diretto opera tipicamente tramite la paura: la paura dello sconforto che ci porta la conoscenza delle proprie mancanze. Pochi uomini cercano la conoscenza di se stessi e pochi la vogliono: perché pochi desiderano il dolore (anche se è salutare), essendo l’autoconoscenza dolorosa sia nell’acquisizione, sia nel possesso.

Ci conosciamo poco, e preferiamo rimanere nell’ignoranza rispetto a noi stessi per evitare il dolore, benché conteniamo nell’anima una capacità quasi infinita per il male, come ci insegnano d’altronde le rivelazioni spiacevoli che ci sta facendo costantemente la vita quotidiana.

Ma che imprudenza ignorare queste rivelazioni, solo perché sono dolorose, quando dovremo rendere conto del male che ci rivelano sul giorno del Giudizio! E che disonestà ignorarle, sopratutto nella vita religiosa, quando tutti pretendono di amare Dio sopra ogni cosa! Una vita spirituale senza una bella porzione di inquietudine non è una vita spirituale affatto, ed una vita religiosa di cui il principio formale è il conforto e l’agio universali è del tutto risibile.

No, mentre la mancanza, o piuttosto il rigetto completo, dell’ autoconoscenza è la causa di tanti mali spirituali, un’autoconoscenza affidabile è la base di ogni principio sovrannaturale e di ogni virilità religiosa.

b) Egocentrismo

Un secondo genere di autoinganno diretto è l’egocentrismo. La vanità ne è il modo più universale. Tutti quanti apprezziamo noi stessi ad un prezzo assurdamente alto. Anche quando il buon senso ci impedisce di aprire la bocca, stiamo sempre commentando le proprie azioni tra noi e noi in maniera molto parziale, e spesso anche in maniera del tutto geniale e con enorme fantasia. Amiamo i propri progetti fino ad escludere completamente la gloria di Dio dalla sfera del nostro influsso. Niente è troppo esagerato per la vanità del nostro egocentrismo.

Ci sono tre cose, però, che la limitano: la nostra conoscenza del Mondo che si oppone alle assurdità dell’io; il senso dell’umorismo e del ridicolo, che è d’altronde un grande aiuto per la santificazione; e la Grazia stessa, che ci insegna a sopprimere questi moti smisurati di presunzione.

Un altro modo di egocentrismo è il soffermarsi su se stessi. L’io, secondo una legge della propria natura, deve per forza vedersi in modo sbagliato. La madre non può vedere nessun difetto nel bambino che sta accarezzando: agli occhi suoi la creatura bruttissima nelle braccia è del tutto meravigliosa. Ma l’io che coccola l’io – neanche la madre la più devota non si avvicina che minimamente a questi eccessi di fantasticherie. Soffermarsi su se stessi è un tipo di oppio spirituale: niente può uscirne fuori se non i fantasmi. Un esempio ne è il confondere sentimenti con fatti, desideri con pratiche, così che infine né l’autoingannato né nessun altro possa discernere tra sogno e realtà.

Un terzo modo di egocentrismo è l’autoscusare il male che facciamo. Anche qua stiamo quasi sempre commentando segretamente le nostre azioni, ossia scusando quelle cattive. Siamo pronti ad ammettere che alcune nostre azioni, o più spesso omissioni, sono cattive, ma riteniamo che ci sia qualcosa del tutto particolare nelle proprie circostanze che rendono queste azioni meno cattive in noi di ciò che non sarebbero in altri. Sarà talvolta il nostro temperamento, talvolta la nostra salute, talvolta la nostra posizione, talvolta la provocazione che avremmo ricevuta. A volte ci perdoniamo con il più leggero rimprovero, perché ci sembra sfortunato che si sia manifestato una piccola nostra debolezza, quando il nostro carattere abbia pure un altro lato molto buono che non è mica da trascurare; anzi, ci sembra anche giusto di rammentarcene in questa situazione per darci conforto o qualche piccola ricompensa. E insomma chi ha un carattere integro o completamente equilibrato?

2. Persone o cose esterne

Quanto al mondo esterno, ci sono principalmente tre cose che fomentano l’autoinganno: la lode, la lettura spirituale, e la manipolazione delle guide spirituali.

a) La lode

Tutti cercano la lode. Uomini saggi, dignitosi, e seri si ammorbidiscono, uomini freddi si scongelano, uomini che si vantano di essere particolarmente al di sopra dell’opinione pubblica, si mostrano servili, bassi, permalosi, adulatori, falsi, e vanitosi; ma sono quelli silenziosi che la amano più di tutti altri. Loro sono i ‘rimuginatori’, ed il cibo che rimuginano è l’io, che, strano a dire, non trovano amaro per niente.

Come cammelli assettati nel deserto, che succhiano con gusto l’acqua la più fangosa, così siamo noi per la lode: quasi senza tener conto della sua qualità; né di quanto sia assurda, immeritata, esagerata; né da quale fonte poco critica – femminile o infantile – possa provenire. La apprezziamo, ci teniamo, ce ne nutriamo le briciole in un modo di cui ci dovremmo vergognare. Ci vuole la lode: se non viene, facciamo il muso. Com’è che non sorridiamo ad un’operazione così assurda?

Forziamo altri ad ingannarci parlando loro di noi stessi – della nostra pratica religiosa, del nostro carattere, o delle nostre particolarità. Abbiamo un scelta, però: dovremmo tenere molto più segreta la nostra vita interiore, oppure palesarla più pienamente. La via media è di mentire. Giusto sarebbe non parlare dell’io affatto. Tutto il parlare di se stessi è misero e squallido infatti, ma sarebbe difficile identificare una pratica della perfezione cristiana più dura da evitare. Se ci siamo mai sforzati di stare zitti su noi stessi per un periodo considerevole, sappiamo che ci sono delle cose che sembrano facili da fare, ma che sono in realtà quasi impossibili.

Comunque, se vogliamo parlare di noi stessi, dovremmo dire molto più di ciò che non diciamo. Se informiamo la gente quanto riscalda il cuore l’amore di Dio, dovremmo aggiungere che gli stessi cuori si riscaldano ugualmente con un buon bicchiere di vino o con un buon boccone; se palesiamo le nostre pratiche di preghiera, dovremmo palesare ugualmente il nostro attaccamento a bei vestiti e mobiletti. Altrimenti stiamo mentendo: facendo credere che siamo molto più elevati spiritualmente che non lo siamo, e suscitando lode, rispetto, ed ammirazione, che non servono a niente che non di aumentare l’autoinganno.

Ahimè! l’idolatria degli affetti domestici ci fa cadere in un tipo di felice ottimismo nelle nostre famiglie: un ottimismo che è meravigliosamente poco sospettoso della propria assurdità. E’ come vivere in aria saturata da lussuoso incenso che riesce quasi quasi a soffocare la voce della coscienza. Uno dei primi principi della vita spirituale è che ognuno deve essere ai propri occhi ciò che è agli occhi di Dio, ma ci sono poche donne e meno uomini che non sono ai propri occhi ciò che sono agli occhi della famiglia, ed è da temere che il punto di vista di Dio e quello della famiglia sono lungi da essere identici nella grande maggioranza dei casi.

b) La lettura spirituale

Quando un libro spirituale non ci mortifica e ci abbassa, sicuramente ci gonfia e ci rende menzogneri. Nessun’anima trama una tela più spessa attorno a sé di colei che si abitua a leggere libri spirituali che sono al di sopra della propria condizione spirituale, o che non le convengono in qualche altro modo: è un errore, sopratutto nei convertiti, considerare grazie ordinarie come quelle straordinarie; se stiamo sempre leggendo dell’amore puro e disinteressato per Dio, è facile ritenere che anche il nostro amore per Lui sia così; pensieri eroici sono infettivi, e presto noi ce ne gonfiamo, ma non portano mai ad atti eroici – anche perché non ci sforziamo a compiere tali atti. Pensieri eroici prestano un’aria di sentimentalità alla nostra religione, e tutto è là.

c) Manipolazione della direzione spirituale

Non abbiamo già deciso a metà ciò che vogliamo, ancor prima di consultare la nostra guida? Non è il nostro intento di sollecitare da lui il verdetto che ci auguriamo noi, piuttosto di non conoscere un suo giudizio calmo, raggiunto senza passione né pressione? Tutto questo è opera selvaggia, quando ci teniamo conto di Dio, dell’anima, e delle possibilità eterne.

3. Il demonio

Il demonio ci riempie di aspirazioni che non convengono né alla nostra natura, né alla grazia che abbiamo ricevuta: non convengono né alle nostre disposizioni, né alle buone qualità del nostro carattere, e non ci trasformano neppure. Anzi, sviluppano ciò che bisogna sopprimere e lasciano incustoditi i posti deboli dell’anima. Queste aspirazioni convengono ad altri, ma non a noi. L’opera di Dio è dappertutto un’opera di ordine, il quale il demonio si impegna a disturbare quanto può. Nella vita spirituale lo fa riempiendo persone devote di aspirazioni sconvenienti.

Quando il demonio riesce a trascinare tali persone a compiere le azioni a cui aspirano, lui effettivamente oppone a Dio tutto ciò che è di meglio e di meno egoista nella nostra natura: un’anima attiva che si mette a contemplare, cadrà o nell’ipocondria o nella mondanità; un contemplativo, invece, che si mette a lavorare, cadrà o nella malinconia o nell’illusione. Uno che si dedica a molta preghiera mentale quando dovrebbe stare piuttosto a casa a cucire, o con i poveri, diviene una simulazione presuntuosa, gonfia, stupefatta, della santità interiore, che disturberebbe pure il buon umore di un angelo.

In ultimo, il nostro nemico spirituale ci sta sempre spronando alla fretta: questa è la cosa più fatale di tutto ciò che è fatale. Qualcuno si lamenterà di una delicatezza di coscienza che si è indurita; del focolare freddo dove bruciavano allora le fiamme del divin amore; della vicinanza a Dio che si è ritirata ormai come la bassa marea; su cento grazie grandi a portata di mano, ma adesso solo parole. Ma la causa di tutto quanto non è proprio la fretta? Essere lenti: ecco l’insegnamento di san Francesco di Sales e di Fénélon. La fretta porta sempre alle tenebre.

Tutto il potere del regno del peccato si basa sull’autoinganno -sconcertante, lo ammetto, ma non per forza scoraggiante. Non vuoi amare Dio, ma poi ti lamenti che un predicatore ti abbia sconcertato: hai bisogno di essere sconcertato, altrimenti non crescerai; hai bisogno di un amore semplice di Gesù, come quello di un bambino: un amore che passa al di sopra di tutti questi pericoli senza quasi accorgersene. Altrimenti la vita spirituale è fin troppo malaticcia. Ci vuole un amore precipitoso, robusto, sano per Dio, un amore esteriore, pieno di aria fresca; ci vuole il pensiero di Dio, quello genuino: grave, sobrio, generoso, sincero: un esorcismo inesorabile contro ogni malaticcità.

II

LE VARIETA’ DELL’AUTOINGANNO

1) Non farsi consigliare

Le illusioni della vita spirituale sono senza numero. Uno trascura i doveri che Dio gli ha dati e passa tutta la giornata in chiesa, pensando che lui sia uno dei favoriti di Dio. Anche religiosi si possono scambiare singolarità per perfezione. C’è una falsa modestia, una falsa umiltà, una penitenza illusoria, una preghiera illusoria. L’illusione si trova dappertutto, e spesso deriva dal non farsi consigliare.

Il non farsi consigliare può essere conseguenza di una tentazione di tacere. Uno fa progetti o senza consulenti o solo con coloro che rispecchiano le proprie idee. Cova progetti e travisa lunghezza di tempo per maturità di deliberazione. I progetti scintillano ed oscillano attraverso le preghiere, così che gli sembrano di brillare di una sanzione quasi divina, e infine, senza traccia di egoismo e con ogni rispettabilità possibile, pensa di procedere con prudente riserva. Questa forma di autoinganno tende di divenire incurabile.

2) Farsi troppo consigliare

Un altro è loquace, e chiede parere a molti direttori diversi, oppure a tutte le persone che incontra. La causa ne è una coscienza poco tranquilla. Ma la sua disonestà sta sempre crescendo, perché più chiede consigli, più crede di essere docile; mentre invece più pareri sente, più diviene confuso, e più segue la propria volontà. Questo genere di persona sta sempre intraprendendo iniziative e sempre fallendo.

3) Compiacenza

L’autocompiacenza, quando esiste, sembra una qualità innata, che prende la propria infallibilità come punto fisso della bussola. Se è davvero innata, sarà più difficile da vincere che non le tendenze che derivano da circostanze esterne o dal peccato abituale. Ma non bisogna disperare neanche qui. L’autofiducia di tali persone è così forte che non ammettano di essersi sbagliati in nessuna circostanza. Se qualche cosa va storto, sarà a causa di un motivo esterno che nessuno avrebbe potuto prevedere e che anche la prudenza non avrebbe impedito. Se ciò che avranno fatto non era comunque la cosa migliore in assoluto, sarebbe stato comunque la migliore nelle circostanze. Agiscono sulla base di ispirazioni, guardano tutti gli esiti delle loro azioni come provvidenziali (anche se falliscono), e si muovono in un’atmosfera del tutto sovrannaturale e miracolosa. Ascoltano consigli in uno spirito di mortificazione con mitezza ammirevole. Ma che sconveniente questo consigliare! La loro posizione, il loro nome, i loro antecedenti, avrebbero dovuto esentarli dal ricevere consigli, da persone semplici e un po’ sfacciate che loro ritengono inferiori. Ritengono che la loro biografia sarà scritta un giorno, chi sa? ma forse possiamo dire di questi signori (senza offendere la Carità), che non sono candidati molto probabili per la canonizzazione.

4) Lo spirito censorio

Ci sono uomini così convinti di aver ragione che si propongono come la misura per giudicare altri. Non farlo, secondo loro, sarebbe un atto di falsa umiltà. Giudicano gli altri tutta la giornata, come se fosse l’unico scopo della loro vita, e come se fosse fuori luogo se facessero altro. Mentre gli autoingannatori compiacenti amano riflettere che abbiano ragione, quelli censori preferiscono riflettere che gli altri abbiano torto. I secondi sono dunque meno amabili, ma comunque hanno ragione spessissime volte. Il mondo é molto cattivo e la stramaggioranza della gente ha torto; si può quindi guadagnare un tipo di reputazione, profetizzando cose cupe, spaventando altri con sarcasmo e diffamazione, pur evitando le trappole in cui cadono gli altri. Pochi, anche tra i buoni, mirano a qualcosa di alto nella vita, e qualche briciola di successo basterà per soddisfare quelle anime che sono capaci di inghiottire tutto un mare di adulazione.

I censori sono normalmente calmi e tranquilli a causa dell’incrollabile placidità della loro autofiducia. Sono anche freddi, ed opposti all’ entusiasmo; non capiscono facilmente l’anima di qualcuno che agisca per amore. Per quello, intendono la libertà di spirito come la proclamazione senza rossore di quell’infrequenza di preghiera, di quella poca coscienziosità, e quella tiepidezza nel pentimento che vivono loro, ma di nascosto. Una teologia rigorosa è un modo a buon mercato per godere della rispettabilità. Chi rappresenta come dura la strada che porta in Cielo, è sottomesso o all’autoindulgenza o al rispetto umano.

Questo tipo di autoinganno è uno dei più comuni, e difficile da sanare, perché il suo cuore è inaccessibile. Sembra richiedere il colpo di un grande peccato per fare entrare nell’anima la luce della salutare vergogna.

5) L’Ambizione

L’ambizione mira ad un oggetto lontano che si acquista solo lentamente. Ha bisogno della pazienza ma non la possiede: l’ambizione è una passione impaziente, precipitosa, impetuosa, irreale, che tende a scambiare mezzi per fini e atti singoli per abitudini. Se, con la grazia di Dio, l’ambizioso riesce a fare un atto di generosità verso di Lui, suppone di aver già acquisito un’abitudine santa. L’esperienza contraria gli da fastidio. Ha adottato pratiche di preghiera al di sopra delle sue capacità, o familiarità nella preghiera che ha sminuito la sua reverenza verso Dio. Osa a lamentarsi con Dio. Si augura di fare contemplazione senza le fatiche antecedenti della meditazione; si augura di soffrire senza aver mai mortificato il corpo; vorrebbe servire Dio con un amore puro e disinteressato, ma non si è mai particolarmente pentito dei suoi peccati. Le tappe iniziali della vita spirituale le ha trascorse con un salto solo, imitando i santi in ciò che non era da imitare, e si trova ormai in cose altissime in aporia totale sia per esse sia per gli esercizi più comuni della Fede. Finisce nello scoraggiamento e nell’abbandonare la religione del tutto. E’ una condizione incurabile e neanche molto fuori comune.

6) La scrupolosità

Continenti vasti della presunzione la più puerile si stanno scoprendo ogni anno nelle anime dei scrupolosi. Sono consumati dallo spirito censorio, che esercitano unicamente su cose irrilevanti, mentre senza scrupolo alcuno danno scandalo, non resistono né alla loro passione dominante né alla tentazione abituale, e non cercano di evitare le occasioni del peccato. Non si interessano al comportamento degli altri, né alla loro sensibilità. Sono acerbi, poco affabili, difficili da trattare. Gli sciocchi lo interpretano come santità. Nella scrupolosità c’è un pozzo profondo di tranquilla autoesaltazione; sulla superficie l’agitazione religiosa.

7) La falsa umiltà

L’autoinganno della falsa umiltà è vicino a quello della scrupolosità, ma è forse ancora meno facile da sanare. L’autoinganno è segno della debolezza, sia intellettuale che morale, e quasi tutti hanno almeno un punto in cui sono deboli in tutti e due questi sensi. Non dovremmo essere dunque sorpresi se troviamo alcune persone, apparentemente forti e trasparenti, che non siano vittime anche di questa forma di autoinganno.

Tutti sentono che l’umiltà sia la virtù santa per eccellenza, e perciò tutti cercano di acquisirla. Ma è straordinariamente difficile da acquisire, in quanto pare quasi impossibile alla natura di credersi così poco buona che si lo deve credere se si crede di non essere umili. Bisogna quindi raccorciare i tempi necessari per acquisirla.

Sfortunatamente alcuni santi hanno parlato male di se stessi. Dunque dobbiamo fare lo stesso noi, anche se non crediamo ciò che diciamo, e non concediamo minimamente il diritto ad altri di crederlo. Ognuno ha il suo piccolo cerchio di adulatori come un insetto ha i parassiti. Questi sono o troppo sciocchi o troppo poco sinceri per essere contenti del nostro inganno, mentre noi, trovandolo un eroismo a basso prezzo, non ci tiriamo indietro. Ma questo inganno porta alla cecità spirituale. Perché il falso umile ignora ciò che nella vita spirituale è la cosa più necessaria da sapere: cioè la propria mancanza di coraggio. Il motivo ne è che non si è mai messi veramente alla prova. Ritiene nella sua abiezione artificiale, che ormai è divenuta reale (senza divenire vera), che deve mirare solo alle cose basse per Dio. E così fa ciò che è al di sotto delle sue forze, senza mai mirare ciò che è o sul suo livello oppure al di sopra di esso. Inoltre, malgrado la sua mancanza particolarmente odiosa di generosità, non è comunque esente di una certa superbia nella sua sicurezza in sé e nella sua pretesa discrezione.

III

LE CARATTERISTICHE DELL’INGANNO

La prima caratteristica è il suo potere quasi illimitato. L’autoinganno è una tentazione, anzi, più di un tentazione: è una legge della debolezza dell’ anima, una caricatura della grazia: anticipa e segue l’azione, la propone, la sostiene, la accompagna, si scioglie in essa, la loda nel suo amor proprio, la biasima nella sua falsa umiltà; ci illumina e ci acceca; opera sia nell’azione che nel riposo; si nasconde e si rivela. Compagno intollerabile! Mai affaticato, indifferente alle condizioni della strada, imitatore dell’angelo custode, sempre trionfante, sempre deridente, approfittando pure della Grazia per acquisire nuove opportunità e nuovi teatri d’azione.

Una seconda caratteristica è che è inveterato. Né vittorie ripetute lo vincono, né mortificazioni. Anzi, tutti mezzi contro di esso sembrano di fortificarlo. E’ onnipresente, non si può afferrare, né fermare, né staccare dalle circostanze della vita. Non ci aiuta esperienza, né vigilanza, essendo l’autoinganno sempre diverso. Agisce in modo passivo, pacifico, vuole vivere con noi, in noi, anzi, vuol essere una sorta di anima per noi: per questo motivo è così inveterato.
Poi, si assume l’apparenza del bene, come si aspetterebbe d’altronde dal primo ministro del demonio. Ma sarebbe più preciso dire non che assume l’apparenza del bene, bensì che la porta sempre, travestendosi sempre in un’infinità di modi. Così ci fa compiere l’opera del demonio, facendoci credere (non sempre con una fede interamente buona) che sia l’opera di Dio.

Il punto debole dell’autoinganno è che sia doloroso da toccare (quando si riesce comunque a toccarlo). Siamo tutti sensibili ad alcune critiche del nostro comportamento, delle nostre pratiche o abitudini, dei nostri atteggiamenti: ad altre critiche, invece no. Perché questo? Non lo sappiamo, ma è una scoperta che dovremmo indagare senza esitare; è un dono della Provvidenza che ci avrebbe potuto aiutare ad evitare tanti danni.

Un’altra caratteristica è la sua coesistenza col bene. Si sceglie il migliore di tutto, e si attacca a ciò che è del più eccellente. Una sola goccia di questo veleno disturba la quantità più grande del bene, e una quantità moderata ne neutralizza una quantità sproporzionata. Ipocrisia non vive a lungo se non in compagnia di un pochino di pietà; così anche l’autoinganno prende dimora presso il bene, per nutrirsene e riscaldarsene.

L’autoinganno cresce con l’età. Alcune erbacce crescono nell’anima quasi per caso; altre muoiono se non vengono nutrite; alcune si impiantano con un solo atto di peccato e non crescono affatto; mentre l’autoinganno cresce inevitabilmente. Più si allarga la vita, più si allargano le facoltà per l’inganno. L’unica cosa che è fatale per l’autoinganno è la semplicità. Se potessimo essere perfettamente semplici, potremmo infliggere un colpo mortale su questo mostro. Ma la vita moltiplica le cose, imbroglia i nostri motivi, ci distrae l’attenzione, ci complica l’agire, ci confonde con la sua rapidità, versatilità, contraddittorietà, imperiosità, fertilità. E tutto questo apre la porta all’autoinganno: dove entra in silenzio se ha il tempo, o con rumore se non ce l’ha. Una cosa è certa, però: La fonte corre più copiosamente ogni anno, e se la Grazia non facesse evaporare le acque proprio mentre saltano, saremmo rovinati.

L’autoinganno cresce anche nella misura in cui l’anima progredisce nella vita spirituale. Eccezione fatta per le grazie le più alte che riguardano l’unione mistica a Dio (che sono comunque raggiunte solo da pochi), le operazioni delle grazie intermediarie sono soggette ad illusioni più di quelle basse.

Come esempio prendiamo la preghiera. L’autoinganno si nutrisce dalla preghiera e dalla contemplazione. La preghiera ci conduce in un mondo nuovo, dove si parla una lingua diversa, dove il paesaggio e i colori sono diversi. Nella natura ciò che più inganna è la luce: ci inganna su distanza e grandezza; scambiamo fantasia per realtà, vediamo cose a rovescio: così anche nel mondo della preghiera. Un altro punto comune ai due mondi è il principio che la luce acquista colori solo brillando attraverso il buio. Nella preghiera ci sono colori che difficilmente sono da attribuire all’oggetto o all’atmosfera; luci possono abbagliare e confondere. L’abitudine è l’unica sicurezza nelle cose sovrannaturali, ma la grazia ci ruba di quella sicurezza, spostandoci sempre più in alto.

L’autoinganno si distingue anche per il modo eccellente in cui si serve del tempo. Afferra le nuove grazie subito quando appaiano, e le svia per i propri scopi. La forza di una tentazione sta soprattutto nella sua opportunità. La natura umana, debole e incapace di sostenere sorprese, cede quasi sempre a ciò che è opportuno, sia per il bene che per il male. Il nostro guadagno annuale di grazie è grande, ma l’autoinganno ne prende molte tasse. Sappiamo che siamo molto più poveri di ciò che possa sembrare, ma non sappiamo mai quanto. Gestire la grazia con discrezione è uno degli oggetti più difficili della vita spirituale.

L’autoinganno infesta talvolta la natura, talvolta la grazia. Sfrutta dei nostri momenti di debolezza, dei nostri punti deboli; diviene quasi indistinguibile dal carattere naturale, già indebolito, scardinato, e sconvolto dal peccato. E poi cediamo al nostro carattere, dispensandoci di questo e quello, ritenendo che abbiamo il diritto di agire come ci pare, e la barca affonda nel mare. Non abbiamo potuto distinguere tra sfiducia in natura e sfiducia in grazia; tra sfiducia in sé e sfiducia in Dio.

L ’autoinganno si insinua poi nelle parti del carattere che abbiamo deciso di privilegiare, e diviene la legge della vita: mentiamo a noi stessi e facciamo della menzogna una legge.

L’autoinganno infine è umiliante, ciò che è il motivo principale per chi cerca di evitare l’autoconoscenza. Gli inizianti ne sono esempi tipici. Scatenati nei campi larghi dell’ascetismo e nei boschi grandi della meditazione, cadono nella gola spirituale, scoprono l’inganno, e poi rinunziano a tutto, preferendo condurre ormai vite confortevoli.

IV

RIMEDI DELL’AUTOINGANNO

C’è qualche cosa di sostanziale nel creato? C’è qualcuno di reale? C’è vita spirituale affatto? Tali domande ci facciamo, con la nostra irritazione quasi scusabile, quando ci si presenta in ogni chiarezza davanti gli occhi il tema dell’inganno spirituale. L’io è miserabilmente petulante, come ce ne possiamo accorgere quando l’io si introverte su se stesso: toglie la freschezza pure dalla nostra adorazione, e getta una luce malaticcia sulle nostre pratiche di devozione che dovrebbero giacere nella luce tranquilla dell’amore disinteressato.

Dovremmo smettere di coltivare uno spirito interiore, per paura dell’ autoinganno, della lebbra introvertita e marcia dell’auto contemplazione, dell’indegna schiavitù di una vita pia? Ma quale sarebbe l’alternativa?
– Dedicarci solo alla devozione esterna, come quella del tutto consumata dai pregiudizi triviali, dalle singolarità, dalle gelosie, dalla golosità, dall’ ipocondria, dall’egocentrismo: consumata infine da qualcosa peggiore dalla vile scrupolosità, dalla preghiera pignola, dall’introversione soffocante, dalla permalosità, dalla mortificazione fino all’amarezza ed allo spirito critico: solo perché la grazia non ha potuto superare la loro incapacità per essere dolci.
– Oppure dedicarci solo all’azione, come quegli uomini intellettuali, robusti di corpo e di carattere, che sembrano riuscire in tutto? Ma scappare via da una vita pia non tutta sana, non vuol dire scappare via da se stessi.

Meglio sarebbe sanare la vita spirituale: adottando un odio saggio di se stessi, esercitandosi nella pazienza, esaminando la coscienza in modo serio. Coloro che nutriscono un’avversione per la vita spirituale stanno facendo l’opera del demonio anche senza esserne consapevoli.

Perché sto dicendo ciò? Perché non troveremo rimedi all’autoinganno tanto specifici né definiti quanto ci potremmo augurare. L’autoinganno è una roba cattiva, quasi irreparabile. Bisogna considerare la sua riparazione come un male necessario ed indispensabile; e quando qualcosa è indispensabile per Dio, bisogna iniziare quanto prima e anche con uno spirito allegro: Nella misura, infatti, in cui ci abbassiamo sempre più profondamente nella nostra falsità, ci avviciniamo sempre di più al grande Veritiero Che è Dio. E l’auto abbassamento ci fa coraggio. E’ strano, ma è comunque così.

In genere possiamo dire che la conoscenza del proprio autoinganno costituisce quasi quasi la sua guarigione. Per quello mi son soffermato così a lungo su di esso. Una volta che ce ne accorgiamo, l’occasione e le circostanze ci indicheranno le armi con cui si deve combattere. Non gli piace essere conosciuto: si traveste e fiorisce nel nascondimento; quando viene visto invece, lo fa tremare un senso di colpa; quando una luce forte lo rivela, si perde la testa e fa un gesto involontario. Conoscere questo nostro nemico, ci facilita mirarlo, dunque, ma anche lo rende codardo spogliandogli la forza.

Poi, più semplice è il nostro comportamento, più debole l’autoinganno, e meno frequenti le sue occasioni. La semplicità nel mondo spirituale è come la luce nel mondo naturale: la luce cambia tutto ciò che tocca: privo della luce ogni tipo di vita languisce; simile è la semplicità. E’ il nemico particolare dell’autoinganno.

Quando uno fa una serie di scoperte, cioè che sia vittima costante dell’ autoinganno e che la base della vita interiore sia stata un’illusione, gli sarà spesso prudente rimodellare e semplificare il suo sistema spirituale, facendo atti di purezza d’intenzione, cioè rendendo attuale la pia intenzione delle sue azioni, piuttosto che virtuale o abituale.

Non converrà a tutti, agli scrupolosi per esempio: e se non converrà, non li renderà felici. Se ci rendiamo infelici, ci rendiamo incapaci di servire Dio. Che serviamo Dio mentre brilla il sole: così, quando manderà le tenebre, Lo serviremo meglio. Intanto, le tenebre false sono peggiori della luce falsa, così che se, attualizzando le nostre intenzioni per la gloria di Dio, ci ottenebreremo lo spirito piuttosto che illuminarlo, potremo essere sicuri che questa non sia la strada per noi.

Non cerchiamo di combattere l’autoinganno esaminando eccessivamente la coscienza nè i motivi per tutto ciò che facciamo. Tutto deve procedere pian piano nella vita spirituale, anche le nostre cadute. Se non troviamo subito ciò che cerchiamo tra i motivi profondi del nostro agire, alziamo la testa e guardiamo il cielo.

Non dimentichiamo che la guarigione dell’autoinganno dura tutta una vita. Per questo richiede la perseveranza, e nell’ultima analisi la speranza: la speranza che tiene chiaro è fermo l’occhio della Fede. Lo scoraggiamento gli è dunque fatale. Più a lungo deve durare uno sforzo, meno sopporterà lo scoraggiamento. Ma è proprio questo che vuol produrre in noi l’autoinganno: imbrogliando, complicando, confondendo, inventando stratagemmi, moltiplicando attacchi, trascurando le convenzioni della guerra, logorando la speranza. Una volta che ci mettiamo a sedere ed a disperare, sarà improbabile che ci sarà permesso di rialzarci.

Non bisogna essere superbi o cercare la gloria nelle battaglie contro l’autoinganno. Ci sono battaglie che non diano grande onore, o che lascino i vincitori sporchi e sfigurati. Non entreremo mai nelle città morali che avremo vinte in marcia di trionfo: torneremo a casa abbattuti. Piuttosto ci dovremo accontentare delle vittorie piccole e dei successi modesti: con buon umore e con grande pazienza.

Meditazione sugli attributi di Dio è un’altra difesa contro l’autoinganno: per poter meglio imitarLo; per farci impregnare dallo spirito della Verità, Che è Lui; per uscire da noi stessi verso gli oggetti della Fede; per contemplare Lui piuttosto che noi stessi; per acquisire un santo timore di Lui, reverenza, adorazione che abbassa se stessa davanti a Dio. Aggiungiamo che un effetto particolare e positivo della reverenza è di rendere l’uomo naturale e semplice verso il prossimo.

Bisogna coltivare una devozione così interiore che renda possibile, essere moderati nel parlare, evitando sopratutto i temi della propria vita spirituale e del carattere di altri.

Cerchiamo di camminare solo con la Fede: deve essere per noi strada, luce, circostanze, atmosfera, tutto: ecco la nostra sicurezza, ecco anche tutta la nostra perfezione. Non cerchiamo segni provvidenziali esterni come guida di condotta; non lasciamoci trascinare da un consiglio casuale, da una parola attribuita a qualche religioso santo, oppure a qualche nostro penitente.

Occorre un grande fiducia in Dio come abitudine di mente ed emozione di cuore, per non accusare Dio del male che facciamo noi: Quando le illusioni e le complicazioni della vita spirituale ci conducono a situazioni che ci sembrano quasi senza uscita, siamo tentati a pensare che chi ci abbia ingannati fosse Dio piuttosto che noi stessi.

Cosa ci farà reale, quindi? il Volto di Dio. Il prima tocca regale dell’ Eternità non solo ci sveglierà, ma anche ci guarirà in fondo: dell’inganno ci potrà guarire solo il Re.

Chiaramente, dunque, la difesa più efficace contro questo male in terra sarà ciò che più si avvicina al suo rimedio in cielo: ossia servire Dio con un amore personale. L’amore per Dio ha questa proprietà: di renderci reali. La comunione con Dio scoglie la nostra irrealtà. L’amore imita ciò che ama: amiamo Gesù ed imitiamo la Sua semplicità. Quando guardiamo fuori di noi stessi in Fede amorevole, si diminuiscono i processi interni e si semplificano parecchio; e poi semplificandosi crescono in maestà. Quando la vita interiore si reduce ad una sola operazione della Grazia, siamo più al sicuro; quando molte cose avvengono in noi simultaneamente, c’è poca crescita e molto inganno.

Bisogna guardare fuori di noi verso Dio; passare verso di Lui; appoggiarci su di Lui; imparare ad essere una sola cosa con Lui; far sì che l’amore per Lui bruci l’amor proprio, fin quando esso non esista più, fin quando ci uniamo completamente a Lui. Fuori Dio tutto è irreale, tutto falso. La falsità è una condizione della creatura. E quanto è doloroso per noi, ma anche per coloro che sono molto meglio di noi, scoprire che non siamo altro che irrealtà ed ipocrisie indeliberate ed irrimediabilmente pretenziose! E’ un pensiero sobrio, ma anche confortante, che il tempo verrà per tutti quando non giocheremo più ruoli: né con altri né con noi, neppure con Dio.