Evitare il Purgatorio (2)

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

« Credi tu », dichiara il nostro Signore Benedetto a santa Gertrude la Grande, « che il Mio Corpo Immacolato ed il Mio Sangue Preziosissimo qui sull’altare non siano sufficientemente potenti per condurre coloro che sono sulla via della perdizione ad un migliore corso di vita? » Santa Gertrude, incoraggiata e rincuorata da queste parole, implorò l’Onnipotente Salvatore tramite il Suo Sacratissimo Corpo e il Suo Preziosissimo Sangue durante la Santa Messa allora in via di essere offerta dalla Sua eterna oblazione di Sé sull’Altare per la salvezza dei peccatori, di riportare allo stato di grazia almeno una parte di coloro che furono sulla via di perdizione, e Nostro Signore le ha gentilmente rassicurato che così sarebbe.

Chiediamo dunque per l’intercessione di santa Gertrude e della Beatissima Vergine Maria, Rifugio dei peccatori, la conversione dei peccatori mortali durante la Santa Messa con fiducia e profonda devozione. Chiediamo la propria conversione. Chiediamo la remissione dei propri peccati, la diminuzione o anche la cancellazione totale, di tutto ciò che avremmo meritato nelle fiamme divoratrici del Purgatorio, perché « le nostre iniquità (come leggiamo nel Salmo 39) si sono moltiplicate sopra i capelli del capo », e come leggiamo altrove nelle Sacre Scritture, « Le nostre trasgressioni… sono più numerose delle sabbie del mare » – le nostre trasgressioni che ci sono conosciute, che ci sono conosciute ma dimenticate, le trasgressioni che non ci sono conosciute: per « attingere acque con gioia dalle Fonti del Salvatore » (Is 12), cioè dalle sue piaghe gloriosissime, le acque che « si aprono alla casa di Davide e agli abitanti di Gerusalemme » ( Zac 13 ), « le fonti d’acqua che zampillano per la vita eterna » (Gv 4). « Corriamo alle acque, noi che abbiamo sete e non abbiamo denaro » (Is 55). Perché Nostro Signore Gesù Cristo ci dice: « Chi ha sete , venga » ( Ap 22), e « chi vuole, attinga gratuitamente l’acqua della vita ».

Perché questa sorgente d’acqua è così vasta ed abbondante che basta a lavare i peccati di innumerevoli mondi. Quest’acqua di grazia Egli ci dona in tutti i Santi Sacramenti e nella Santa Comunione, ma mai con maggiore generosità che nella Santa Messa, afferma padre Martin von Cochem, dal cui libro deriva la materia che abbiamo presentata sopra, poiché come dichiara il Concilio di Trento: « I frutti di quella oblazione cruenta sono ricevuti in abbondanza in questa oblazione incruenta. »

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Evitare il Purgatorio (1)

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Continuiamo guardando il carattere espiatorio della Santa Messa. Per comprendere la necessità dell’espiazione, ricordiamo che la conseguenza di ogni peccato è duplice: la colpa e la pena del peccato. La colpa è rimessa con la contrizione e la confessione; la pena (o punizione temporale) è rimessa con la contrizione in confessione e la penitenza data in confessione, che normalmente, però, rimetteranno la pena solo in parte. Quanto più profonda la contrizione, quanto più sincera la confessione, quanto più severa la penitenza: tanto più largamente sarà rimessa questa pena. Ma che dire del resto della sanzione? Deve essere pagato con lagrime, preghiere, veglie, digiuni, elemosine, confessioni, sante Comunioni, sante Messe e Indulgenze qui sulla Terra; e ciò che non sarà stato pagato prima della morte sarà pagato dalle fiamme del Purgatorio dopo la morte. Il venerabile Luigi da Grenada, il dotto e santo domenicano del XVI secolo, sostiene che l’adulto medio trascorre dai trenta ai cinquanta anni in Purgatorio.

Ma se vogliamo, come è del tutto naturale, come Dio desidera nella sua economia di salvezza, e come Gli è proprio appropriato nella Sua infinita bontà e nel Suo infinito amore verso di noi, che noi evitiamo le fiamme del Purgatorio e che usiamo la nostra vita per santificarci, affinché alla morte passiamo subito nella Visione dell’Eterna e Santissima Trinità, allora che cosa possiamo fare? A parte le pratiche a cui abbiamo appena accennato, bisogna assistere alla Messa in ispirito di penitenza, in ispirito di riparazione per i nostri peccati.

Il Concilio di Trento dichiara dogmaticamente: « Se qualcuno dice che il Sacrificio della Messa non è un sacrificio propiziatorio Anathema Sit »; dichiara inoltre che otteniamo la misericordia e troviamo la grazia: «… se ci avviciniamo a Dio contriti e pentiti, con cuore sincero, retta fede, timore e riverenza. Poiché il Signore è placato dalla sua oblazione, concedendo la grazia ed il dono del pentimento, perdonando anche i delitti ed i peccati efferati… ». Quanto ai peccati veniali aggiunge: « Cristo ha istituito la Santa Messa nell’Ultima Cena affinché la sua virtù salutare si applichi alla remissione di quei peccati che quotidianamente commettiamo ». Il metodo con cui la colpa e la pena del peccato saranno rimesse è, come abbiamo detto sopra, mediante la Santa Messa che risveglia la contrizione nel nostro cuore.

Assistere poi alla Santa Messa in spirito di riparazione con piena fiducia nella misericordia di Dio ha l’effetto di ridurre in misura grande il nostro debito verso Dio, come i debiti di quelle persone verso il loro padrone nella parabola, che l’amministratore del padrone riduce incommensurabilmente in un solo atto di misericordia. Si narra infatti che, assistendo con le opportune disposizioni alla Santa Messa in suffragio delle anime sante del Purgatorio, i quattro anni di purgatorio ai quali una determinata anima era stata condannata per giusta ira di Dio, furono commutati in due anni e mezzo.

Scrive un dotto commentatore: « ammesso che i fedeli assistano alla Messa per ottenere questa remissione, essa è concessa immediatamente ed in pieno vigore ». « Tale è la potenza della Santa Messa », afferma un altro pio autore, « che i nostri peccati si sciolgono davanti ad essa come la cera davanti al fuoco, e le pene che abbiamo guadagnate sono allontanate da noi ». L’Infinita Misericordia di Dio ci concede di offrire spiritualmente il Sacrificio della Messa proprio come il nostro sacrificio: « Pregate, fratelli, che il mio e il vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre Onnipotente… ». Anche se come peccatori ci siamo fatti nemici di Lui fino ad un grado maggiore o minore, tuttavia la nostra offerta del Sacrificio dell’Immacolato e Divino Agnello di Dio al Padre attira sulle nostre anime il Divin Favore, per la remissione di tutte le nostre offese, anche se, come insegna il Concilio di Trento, i nostri peccati fossero dei più gravi.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il Ringraziamento

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Oggi concludiamo le nostre meditazioni sulle quattro finalità della santa Messa, che sono l’Adorazione, l’Espiazione, la Petizione, ed il Ringraziamento. Osorio dice: « Se qualcuno ti ha conferito un grande dono, sei tenuto a manifestare ampia riconoscenza per non sembrare ingrato al tuo benefattore. Ciò è particolarmente vero se abbiamo richiesto il dono. Se l’abbiamo chiesto e l’abbiamo ricevuto, è giusto che dovremo esserne grati ».

Ma cosa abbiamo effettivamente ricevuto da Dio? Quale vantaggio? Tutto ciò che abbiamo – la famiglia, gli amici, i beni, la salute, la conoscenza, la vita, l’essere e tutto ciò che siamo, ma soprattutto la vita soprannaturale attraverso il Battesimo, con la promessa della vita eterna. Ma non è pur vero che Dio si è dato a me morendo per me sulla croce, affinché Lo possedessi per sempre in Cielo? E non è vero che L’ho ricevuto personalmente, e Lo ricevo personalmente nel Santissimo Sacramento dell’Altare? Allora come non ringraziarLo per questo, per i beni finiti che mi dà, per avermi elevato alla vita soprannaturale ed eterna, e per il Bene infinito che è Lui stesso?

La più grande forma di ringraziamento è la santa Messa. La Messa è il ringraziamento per eccellenza: per questo è chiamata la santa Eucaristia, che significa ringraziamento. I testi della santa Messa offrono una espressione sublime di ringraziamento. Nel Gloria preghiamo: Noi Vi lodiamo, Vi benediciamo, Vi adoriamo, Vi glorifichiamo, Vi rendiamo grazie per la Vostra gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre Onnipotente.

Qui rendiamo grazie a Dio come al Signore di tutti, come al Padre divino, il Principio senza principio, non per i benefici che ci ha dato, ma per un fine ancora più nobile e sublime, per un fine che è del tutto trascendente, e questo per la Sua Stessa gloria. Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam. Ci annientiamo, per così dire, davanti a Sua Maestà infinita; e, come una mera partecipazione lontana al Suo proprio Essere e alla Sua propria Gloria, Lo ringraziamo per Sé Stesso.

Al Prefazio preghiamo: « Rendiamo grazie al Signore nostro Dio: È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Vi rendiamo grazie… ». Qui ancora enumeriamo gli attributi del Dio assolutamente trascendente: il Signore Santo, il Padre, Iddio Onnipotente ed Eterno.

Tale è dunque l’espressione del nostro ringraziamento verso Dio. Ma basta esprimerGli il nostro ringraziamento? Basterebbe passare tutta la vita in ginocchio ringraziandoLo? Basterebbe offrire ogni nostra azione in ringraziamento a Dio per ogni benedizione che ci ha elargito nella vita e che ci promette per tutta l’eternità, culminando nel dono stesso di Sé? È davvero una pratica eccellente fare tutto ciò che facciamo con una santa intenzione come il ringraziamento, la riparazione o l’amore di Dio. Ma è sufficiente per rendere grazie per ciò che è Infinito?

Solo l’Infinito può confrontarsi con l’Infinito. Questo vale per tutte le finalità della Messa. Possiamo adorare Dio adeguatamente solo unendoci all’atto di adorazione che Egli compie nel santo Sacrificio sul monte Calvario perpetuato nella santa Messa. Possiamo adorarLo adeguatamente solo unendo la nostra offerta di noi stessi alla Sua offerta di Sé a Dio Padre in quell’atto di adorazione. Possiamo solo espiare i nostri peccati con i quali abbiamo infinitamente offeso il Dio Infinito unendoci all’infinito atto di espiazione compiuto da Dio stesso. Possiamo chiederGli adeguatamente benefici e soprattutto quelli della nostra eterna salvezza e quella degli altri unendoci all’infinito atto di supplica che Egli fa a Dio Padre nel Santo Sacrificio della Messa, con cui Dio dona Dio a noi, come solo Dio può. Lo stesso vale per il ringraziamento: « che cosa renderò al Signore per tutte le cose che mi ha reso? » (Sal 115,12); « offri a Dio un sacrificio di lode e rendi i tuoi voti all’Altissimo ». (Sal 49,14). Dice sant’Ireneo: « Perché questa santa Messa è stata istituita affinché non appariamo ingrati verso il nostro Dio ». Vale a dire, come spiega padre Martin von Cochem: « Se non fosse per il sacrificio della Messa, non avremmo nulla al mondo intiero con cui rendere adeguatamente grazie a Dio per i benefici che da Lui abbiamo ricevuto ».

La preghiera prima che il celebrante riceva la santa Comunione esprime il sentimento di ringraziamento che dovrebbe essere nostro per tutto ciò che abbiamo ricevuto, culminando nel dono che Dio ci fa di Sé Stesso. « Cosa posso offrirVi in cambio di tutto ciò che ho ricevuto? » In ringraziamento per aver ricevuto Dio, offriamo Dio a Dio: Dio viene offerto in ringraziamento a Dio.

Scrive Segneri: « Fu l’abbondanza del Suo amore che Lo indusse non solo a caricarci di benefici, ma a mettere alla nostra portata i mezzi migliori per ringraziarLo di quei benefici. Apprezziamo dunque i nostri privilegi e avvantaggiamocene! Quando ascoltiamo la Messa, Cristo, immolatoSi per noi a Dio Padre, diviene nostro, e con Lui otteniamo il possesso dei suoi infiniti meriti e siamo in grado di offrirli a Dio Padre per alleggerire il pesante carico che grava su di noi ».

Concludiamo con la preghiera dello stesso padre Martin von Cochem, sulla cui opera si basa questa serie di articoli: « Lode e grazie a Voi, o Signore Gesù Cristo, da me stesso e da tutte le cose create, che per il Vostro purissimo amore per noi avete istituito la santa Messa e ne avete fatto per noi un canale di innumerevoli misericordie e grazie. Come doveroso riconoscimento dei Vostri favori, offro a Voi e per Voi alla Santissima Trinità tutta la lode e il ringraziamento a Voi resi in tutte le sante Messe fino alla fine dei tempi. Prego ed imploro i cori degli Angeli e tutta la compagnia dei redenti di lodare e magnificare il Vostro Santissimo Nome insieme a noi per tutta l’eternità. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

L’ Espiazione in genere

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Stiamo esaminando le quattro finalità della Santa Messa: lode, espiazione, petizione, e ringraziamento. Presentata la prima, quella della lode, procediamo a presentare la seconda, quella dell’espiazione.

Il Concilio di Trento afferma che Nostro Signore ha istituito la Messa: « …affinché lasciasse alla Chiesa un sacrificio visibile, per cui si renda presente quel sacrificio cruento e se ne applichi la virtù salutare ai peccati quotidiani che commettiamo ». In un altro passo si afferma: « Questo sacrificio è veramente propiziatorio. E se uno si avvicina a Dio contrito e pentito, sarà placato dalla sua offerta e, concedendo la grazia e il dono della penitenza, perdonerà anche i crimini ed i peccati efferati ».

Tale è l’insegnamento costante della Chiesa. Viene espresso dall’apostolo san Giacomo nella sua liturgia: « Vi offriamo questo sacrificio incruento, o Signore, per i nostri peccati e per l’ignoranza del popolo ». Egualmente viene espresso da sant’Atanasio nelle parole: « L’offerta del sacrificio incruento è l’ espiazione dei nostri delitti ». Papa Alessandro I dichiara: « Con l’offerta di questa vittima, il Signore si placa, e perdona tutti, anche i peccati più gravi », e papa san Giulio: « Tutti i peccati e le iniquità sono cancellati dall’offerta di questa oblazione ».

Le parole di san Giacomo ci ricordano che i nostri peccati possono essere di due tipi diversi: i peccati di cui possiamo essere consapevoli e i peccati che ignoriamo di aver commesso. Il re Davide esprime questa verità nel Salmo 24 con la preghiera: « I peccati della mia giovinezza e della mia ignoranza non ricordate » e ancora nel Salmo 18: « Chi può comprendere i peccati? Dai miei segreti purificatemi, o Signore, e da quelli degli altri risparmiate il Vostro servo ».

Il commentatore Marchantio afferma: « Il Santo Sacrificio della Messa offerto a Dio Onnipotente serve ad espiare i peccati mortali, ma preminentemente i peccati segreti, quelli cioè che, dopo un attento esame di coscienza, non possiamo ricordare alla mente. » Dice san Gregorio: « La principale causa di timore per il giusto sta nei peccati di cui non è cosciente, come dice san Paolo: perché, anche se non sono consapevole di colpa alcuna, non per questo sono giustificato. Il mio Giudice è il Signore ». (1 Cor. 4) San Gregorio aggiunge: « Il Signore ha occhi più acuti di me ».

Carissimi fedeli, noi che cerchiamo di condurre una vita buona, che esaminiamo la coscienza ogni giorno, che talvolta possiamo pensare che le cose ci vadano bene moralmente o spiritualmente, soprattutto se siamo lodati, non lasciamoci cullare da un falso senso di sicurezza. Penso che sappiamo tutti quanto grande possa essere la sorpresa lo scoprire (forse perché qualcuno ce lo fa notare) che ci siamo comportati in un modo non cristiano in un campo o nell’altro, e che non abbiamo mai pensato di esaminare.

In vista del fatto dei peccati sconosciuti o dimenticati, è salutare includere tutti questi peccati, almeno implicitamente, nella confessione, ma anche assistere alla Santa Messa con l’intenzione di espiarli – non solo i peccati di cui siamo consapevoli, principalmente mortali, ma anche questi.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

3. L’Intercessione degli Angeli per Noi

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Gli Angeli pregano Dio e offrono al Padre il sacrificio del Figlio diletto; lo fanno anche per noi. Scrive san Giovanni Crisostomo: “Quando il sacerdote all’altare offre il Sacrificio Stupendo e Sublime, gli angeli stanno accanto a lui, e tutt’intorno all’altare sono schierati cori di spiriti celesti che alzano la voce in onore della Vittima immolata. Così non sono solo gli umili mortali che invocano Dio: gli angeli si inginocchiano davanti a Lui, gli arcangeli supplicano a favore degli uomini. È il loro tempo più propizio, si può dire, quando la sacra Vittima è a loro disposizione. Per mezzo di Lui sollecitano le loro petizioni. Possiamo immaginarli parlare così: «Preghiamo, o Signore Dio, per coloro che Vostro Figlio ha tanto amato da morire per loro; supplichiamo per coloro per i quali Egli versò il Suo Preziosissimo Sangue; imploriamo la grazia per coloro per i quali ha offerto il Suo Sacratissimo Corpo in Croce».

Gli angeli offrono il sacrificio per noi; offrono anche le nostre preghiere a Dio. Ricordiamo il passo dell’Apocalisse: “Un angelo venne e si fermò davanti all’altare con un turibolo d’oro e gli fu dato molto incenso perché offrisse delle preghiere di tutti i santi sull’altare d’oro che è davanti al trono di Dio. E il fumo dell’incenso delle preghiere dei santi salì davanti a Dio dalla mano dell’angelo».

Ora l’angelo in questione può essere san Michele che è particolarmente incaricato di portare a Dio le preghiere dei fedeli; può invece simboleggiare una moltitudine di angeli, come tutti quelli che sono presenti; o addirittura può significare Nostro Signore Stesso, il Grande e Divino Angelo – “angelo” significando colui che è inviato da Dio, il che è particolarmente vero per Nostro Signore Benedetto. Infatti è Nostro Signore Stesso che offre il Sacrificio della Messa nella propria Persona per la salvezza e per il bene del popolo; ma è sufficientemente attestato che gli angeli che sono presenti ed offrono il sacrificio, offrono con esso le preghiere del popolo a Dio. Il testo della Messa che ricorda questo passo dell’Apocalisse recita: “Ti preghiamo umilmente, Dio onnipotente: ordina che [queste offerte] siano portate per le mani del Vostro angelo santo al Vostro sublime altare, al cospetto della Vostra Divina Maestà.”

P. Martin di Cochem commenta; «Facciamo dunque ciò che è in noi nell’ascoltare ogni giorno la Messa, affinché le nostre preghiere siano portate in Cielo nelle mani pure degli angeli, e supplichiamo l’Altissimo che le accolga benevolmente perdonando la nostre tante mancanze per la devozione degli spiriti celesti ai quali ci associamo”. San Leonardo da Porto Maurizio ci esorta: “Perché non imitate gli angeli che, nella celebrazione della Messa, scendono a migliaia dal Cielo e si accostano in adorazione ai nostri altari per intercedere per noi?” Deo Gratias!

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

2. Come gli Angeli Assistono il Signore

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Ma non è infatti sorprendente che gli angeli accompagnino e assistano nostro Signore qui sulla terra, quando ricordiamo i principali eventi della sua vita terrena: All’incarnazione venne l’arcangelo Gabriele; alla Sua nascita apparve nel cielo una grande moltitudine di angeli; altri parlavano ai pastori. Allo stesso modo, gli angeli Lo servirono all’inizio del Suo ministero pubblico; un angelo venne da Lui nell’orto di Getsemani; altri erano presenti nella Tomba e all’Ascensione. Sicuramente molti furono presenti anche alla Sua morte, come grandi artisti hanno rappresentato nei loro quadri, sebbene ciò non sia raccontato nei Vangeli. Quindi non dobbiamo stupirci di sentire nella liturgia dell’apostolo san Giacomo: “Tutti tacciano e tremino di timore, e ritraggano i pensieri dalle cose terrene, perché il Re dei re, il Signore dei signori sta per venire per essere immolato sull’altare e per essere dato in pasto ai fedeli. I cori degli angeli gli vanno davanti con maestà e potenza, coprendosi il volto e cantando cantici di gioia e di esultanza».

Ma se così adorano Nostro Signore quando entra nella chiesa, come Lo adoreranno nel momento della sua immolazione? Leggiamo della loro azione durante la Santa Messa come di “concelebrazione”, tanto intimamente assistono e si uniscono ai sacri misteri che si compiono sull’altare. Tremunt potestates: le potenze del cielo tremano. Santa Brigida ebbe il privilegio di assistere in ispirito a ciò che avvenne nell’alto dei Cieli durante la consacrazione. Ella narra come vide l’Ostia Santissima, sotto le sembianze di un Agnello, avvolta dalle fiamme e circondata da angeli innumerevoli come particelle di polvere in un raggio di sole, adorarLo e servirLo come facevano anche una moltitudine innumerevole di Beati. Udì le stelle del firmamento e tutte le potenze del Cielo che facevano dolce melodia mentre si muovevano sui loro percorsi prestabiliti… l’armonia risuonava in lungo e in largo: con essa si mescolavano le voci di innumerevoli spiriti celesti, cantando in toni di ineffabile dolcezza. I cori angelici rendevano umile riverenza al sacerdote; i diavoli tremavano di paura e fuggivano sgomenti. P. Martin von Cochem annota nel suo libro sulla Santa Messa, da cui queste considerazioni sono principalmente tratte: «Come i nemici di Cristo caddero a terra quando pronunciò le parole: “Sono io”, così quando le parole sono pronunciate: “Questo è il Mio Corpo” i demòni si voltano e fuggono.” Deo Gratias!

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

1. La Presenza degli Angeli alla santa Messa

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Innanzitutto dovremmo notare che gli angeli ci osservano mentre ci dirigiamo verso la Messa e mentre la assistiamo. Dice sant’Agostino: “Ogni passo che facciamo sulla strada per la Santa Messa è contato da un angelo e riceverà da Dio la più alta ricompensa sia in questa vita che nell’eternità”. Santa Gertrude la Grande vide come gli angeli osservavano e annotavano la devozione con cui i fedeli assistevano alla liturgia.

Gli angeli ci osservano nel cammino verso la Messa e nella Messa, ma sono presenti alla Messa principalmente per pregare Dio e per presentarGli le nostre preghiere. Scrive san Paolo (Ebrei 12,22-29) «Voi vi siete invece accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste ed a miriadi di angeli, adunanza festosa… al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione…” Il testo si applica bene alla Santa Messa dove il Sangue del Salvatore viene asperso sui fedeli, circondati come sono da molte migliaia di angeli. Possiamo quindi pregare con le parole del Re Davide: “Vi canterò lodi, o Signore, davanti agli angeli. Adorerò il Vostro santo tempio e darò gloria al Vostro Nome” (salmo 137).

Santa Mechtilde scrive che 3.000 angeli dal 7 ° coro (i Troni) sono sempre in devota presenza intorno ad ogni tabernacolo dove è custodito il Santissimo Sacramento. Senza dubbio molti di più sono presenti al Santo Sacrificio. “Non dimenticare, o uomo, dice San Giovanni Crisostomo, in quale compagnia sei al momento di questo solenne sacrificio. Stai in mezzo a Serafini, Cherubini e altri alti spiriti di alto rango.” Lo stesso santo ci ammonisce ad imitare questi spiriti eterei con le seguenti parole: “Dal profondo, dal cuore, trai una voce, fa mistero della tua preghiera. Non vedi che anche nelle case dei Re ogni tumulto è posto lontano, e grande da tutte le parti è il silenzio? Anche tu dunque, entrando come in un palazzo, non quello della terra, ma ciò che è molto più terribile, quello del Cielo, mostra grande decoro. Sì, perché sei unito ai cori ed in comunione con gli arcangeli e canti con i serafini e tutte queste tribù mostrano molto buon ordine cantando con grande soggezione quel canto mistico ed i loro sacri inni a Dio, il Re di tutti. Con questi, poi, ti associa quando preghi ed emula il loro ordine mistico». Deo Gratias!

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

il frutto della santa Messa

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Tre sono le categorie di persone che approfittano del santo sacrificio della Messa: inanzitutto la santa Chiesa cattolica. Prima dunque la Chiesa trionfante, ovvero gli angeli ed i santi del Paradiso, come prega il celebrante nell’offertorio: ‘anzitutto la gloriosa sempre vergine Maria, Madre del medesimo nostro Dio e Signore Gesù Cristo… e Vostri Apostoli e martiri… e tutti i Vostri santi…’; poi la Chiesa militante, ovvero noi battezzati sulla terra: ‘degnateVi in ogni parte del mondo di donarle pace, di proteggerla, di adunarla nell’unità e di governarla assieme al Vostro servo e nostro Papa…; in fine la Chiesa purgante, ovvero ‘i Vostri servi e serve che ci hanno preceduti con il segno della fede e che dormono il sonno della pace… ad essi concedete, Ve ne preghiamo un luogo di refrigerio, di luce e di pace.’

Bisogna però aggiungere che la santa Messa, essendo un sole spirituale così ricco e sovrabbondante di bontà, versa i raggi anche su di coloro che sono solo potenzialmente membri della Chiesa per beneficarli, soprattutto attirandoli all’unica arca di salvezza che è essa stessa.

La seconda categoria di persone che approfittano della santa Messa è quella prevista nell’intenzione del celebrante, la quale al solito viene da lui in modo specifico nominata nel memento dei vivi e dei defunti – la salvezza di un peccatore particolare ad esempio; o la consolazione, oppure la liberazione dal Purgatorio di una determinata anima.

La terza categoria è lo stesso celebrante con i fedeli che assistono, a cui si riferiscono le parole: ‘tutti i circostanti’, e ‘nobis quoque peccatoribus.’ Su tutte queste persone saranno elargite in abbondanza le grazie di Dio guadagnate dal santo sacrificio del monte Calvario.

Ora, le grazie ed i beni elargiti sui vivi sono in primo luogo di ordine sovrannaturale, tendendo alla santificazione ed alla salvezza delle anime; in secondo luogo sono di ordine naturale e temporale, purchè siano compatibili con quelli sovrannaturali. Difatti non c’è dono nè grazia così grande che non si possa chiedere mediante la santa Messa, essendo ciò che chiediamo creato e finito, e ciò che offriamo divino. Dice padre Martin von Cochem: ‘È impossibile che Iddio, Che vuole riccamente ricompensare anche un bicchiere di acqua fredda, non ci lascierà senza compenso, se Gli offriamo con riverenza il calice del Sangue di Suo Figlio Divino.’

Avendo parlato del frutto del santo sacrificio della Messa, vogliamo guardare adesso il frutto del Sacramento in particolare, ovvero della santa Comunione. Facciamo notare intanto che solo i fedeli nello stato di grazia possono riceverla, e riceverla con frutto.

Un primo frutto della santa Comunione è che ci unisce a Cristo, e che dunque ci aumenta la Grazia divina, le grazie infuse ed i doni dello Spirito Santo, come dichiara il sacro concilio di Firenze (1439): ‘…nutrendo, sostenendo, aumentando, riparando e dilettandoci in modo spirituale.’ Il sacro concilio di Trento descrive la santa Comunione inoltre come ‘cibo delle anime con cui siamo nutriti e confortati, vivendo della vita di Colui Che disse: ‘Chi mangia di Me, vivrà per Me.’’

Un secondo frutto del Sacramento è che ci fa ottenere la gloria eterna. Il concilio di Trento dichiara: ‘Egli voleva che fosse un pegno della nostra futura gloria e perpetua felicità’. Possiamo citare nuovamente san Giovanni capitolo VI a riguardo: ‘Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno’. Il motivo per cui la santa Comunione ci fa ottenere la gloria eterna è che contiene nostro Signore Gesù Cristo Che ci dona la gloria: la santa Comunione è un cibo che conforta l’anima affinchè possa perseverare fin quando ottenga questa gloria. Uno dei modi nei quali conforta l’anima è che la rende forte contro le tentazioni. San Giovanni Crisostomo scrive che la Comunione, essendo un segno della Passione, respinge gli attacchi dei diavoli che sono stati vinti dalla Passione.

Un terzo frutto della santa Comunione è che rimette vari peccati veniali e la pena per essi dovuta, come dichiara papa Benedetto XII con il suo libello agli Armeni, ed il sacro concilio di Trento. La santa Comunione ha questi effetti in quanto aumenta in noi la Carità.

La pienezza del frutto che verrà ricevuto dalla santa Messa e dalla santa Comunione dipende dalle disposizioni del soggetto che lo riceve: del celebrante, dei fedeli che assistono e comunicano, delle persone per le quali il frutto viene richiesto; dipende cioè dal grado della devozione e dall’apertura alla grazia divina: più grande la devozione, più grande sarà il beneficio.

*

Concludiamo queste considerazioni con una citazione dall’Imitazione di Cristo, libro quarto, inizio del capitolo 17, che esprime con parole toccanti la santa devozione di un fedele accostandosi alla santa Comunione.

“Con devozione grandissima e con ardente amore, con tutto lo slancio di un cuore appassionato, io desidero riceverVi, o Signore, come Vi desiderarono nella Comunione molti santi e molti devoti, a Voi massimamente graditi per la santità della loro vita e per la loro infiammata pietà.

O mio Dio , amore eterno, che Siete tutto il mio bene, la mia felicità senza fine, io bramo riceverVi con intenso desiderio e con venerazione grandissima, quale mai potè avere o sentire santo alcuno. Anche se non son degno di sentire tutta quella devozione, tuttavia Vi offro tutto lo slancio del mio cuore, come se io solo avessi tutti quegli accesi desideri, che tanto Vi sono graditi. Chè anzi, tutto quel che un animo devoto può capire e desiderare: tutto questo io lo porgo e lo offro a Voi, con estrema venerazione, in pio raccoglimento. Nulla voglio tenere per me , ma voglio immolarVi me stesso e tutto quello che ho con scelta libera ed altamente gioiosa.”

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

L’educazione

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+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La procreazione assieme all’ educazione dei figli è la prima finalità del matrimonio. I genitori hanno, dunque, un dovere grave di fornirli, o se stessi o tramite altri, una educazione sana.

Osserviamo però che la mentalità moderna, concretizzata nelle leggi contemporanee degli stati, nei programmi educativi delle scuole, e ormai largamente estesa tra il popolo, si oppone violentamente ai princìpi sani dell’educazione.

Procediamo esponendo prima lo stato attuale dell’educazione nelle scuole di oggi, e poi i princìpi cattolici che devono determinarla. La nostra breve esposizione ci mostrerà che gli unici modi di educare figli nell’Italia di oggi che sono compatibili sia con la Fede che con i doveri dei genitori, sono lo ‘Homeschooling’ e le scuole parentali.

I   L’educazione nelle scuole di oggi

Ora ci sono chiaramente due campi in cui opera l’educazione: il campo scolastico e quello morale, i quali sono divenuti tutti e due campi di battaglia invasi ormai dallo spirito del Mondo, anche nelle scuole che ancora si dicono cattoliche.

Quanto all’educazione scolastica, ci sono due materie che sono maggiormente bersagliate dallo spirito del Mondo: quella della filosofia, e quella della storia. Nella filosofia testimoniamo una tendenza verso l’ateismo, il relativismo, l’umanesimo, l’edonismo ed il comunismo, con l’esaltazione di figure come Charles Darwin, Emanuel Kant, David Hume, e Karl Marx. Nella storia, invece, si testimonia l’ostilità contro Dio, la Chiesa, e la Monarchia, con l’esaltazione di figure come Martin Lutero e di avvenimenti come la Rivoluzione francese.

Quanto all’educazione morale, si insegna nelle scuole di oggi un edonismo tanto superficiale quanto irrazionale. Tale edonismo si manifesta innanzitutto nell’educazione sessuale, introdotta sotto il titolo eufemistico di ‘Affettività e corpo’ o sotto il titolo pseudo-intellettuale del ‘Gender’ (cfr. il libretto ‘Educazione sessuale nelle scuole di oggi’ reperibile su questo sito); si manifesta altrettanto nell’accettazione ufficiale del libertinaggio da parte degli insegnanti, e nella pornografia seminata qua e là nella materia scolastica, ad esempio persino nei libri di grammatica latina.
II   I princìpi dell’educazione cattolica

Conviene ai genitori, ai giovani che riflettono di sposarsi, e più generalmente a tutti, inquanto membri di una società invasa dal male, di meditare seriamente sui princìpi dell’educazione cattolica. Questa sezione dell’articolo consisterà principalmente in una sintesi del sermone di Sant’Alfonso (per la domenica settima dopo Pentecoste) attorno alla parola del Signore: ‘Non può l’albero buono dare frutti cattivi, nè l’albero cattivo dar frutti buoni’ (Mt 7.18).

Scrive San Giovanni Crisostomo: ‘Abbiamo un grande deposito: i figli; conserviamolo con grande cura’, e fa notare che normalmente abbiamo maggiore cura degli asini e dei cavalli che non dei figli. Sant’Alfonso osserva: ‘I figli non sono un dono fatto ai genitori, sì che ne possano disporre come vogliono; ma un deposito, che se per loro negligenza si perde, essi dovranno darne conto a Dio’. Origene dice che di tutti i peccati dei figli, i padri ne hanno da render conto nel giorno del loro giudizio. San Paolo scrive persino che: ‘Se uno non pensa ai suoi, e specialmente a quelli di casa, ha rinnegata la fede ed è peggiore di un infedele’ (1 Tim 2.15).

Come elementi essenziali dell’educazione si possono enumerare:
1) la disciplina;
2) l’insegnamento della Fede, della preghiera, e di massime cristiane;
3) l’esempio.

1. La disciplina

‘Allevateli nella disciplina e negli ammonimenti del Signore’ scrive
San Paolo (Ef 6.4), e il Re Salomone ci insegna: ‘Chi risparmia la verga odia il suo figliolo’ (Prv 13.24). ‘Se ami quel figlio’, commenta Sant’Alfonso, ‘riprendilo e castigalo anche colla sferza, se bisogna, quando è già grandetto’. Ammonisce il padre di non batterlo quando sta in collera, perchè allora è facile eccedere, e il figlio penserà che la punizione non sia per emendarlo ma è solo effetto di ira. L’ideale è punirlo levandogli il mangiare, privandogli di una veste, chiudendolo in camera.

Il padre deve impedire ai figli le occasioni di peccare: indagando il portamento dei figli, informandosi dove va quando esce di casa; vietandogli di frequentare compagni cattivi; licenziando serve giovani di casa; proibendo giuochi pericolosi, letteratura cattiva ed oscena, immagini scandalose; proibendo che le figlie parlino da solo a solo con uomini.

Aggiunge santa Teresa d’Avila (Vita c.2): ‘… vorrei caldamente inculcare ai genitori, di fare molta attenzione alle persone che trattano con i loro figliuoli ancora in tenera età, perchè vi può essere gran pericolo, essendo la nostra natura più inclinata al male che al bene’.

Un gran male è l’indulgenza da parte dei genitori che, quando i figli si infangano in cattive amicizie, in risse e bagordi, invece di sgridarli e castigarli, dicono soltanto: ‘Che si ha da fare? Sono giovani, hanno da fare il corso loro.’ Un altro male è semplicemente tacere per non disgustare i figli. Ma di questi comportamenti sarà da rendere un conto rigoroso al giorno del Giudizio.

‘Procurate che sin da fanciulli facciano il buon abito…’ dice santo Alfonso, ‘perchè così poi facilmente le praticherano quando sono grandi.’ ‘Quanto è facile ai figli apprendere il bene quando sono piccoli, tanto poi è difficile’, aggiunge, ‘se hanno appreso il male, ad emendarsi quando sono grandi.’ ‘Il giovanetto, preso che abbia la sua strada, non se ne allontanerà neppure da vecchio’ (Prv 22.6).

2. L’insegnamento

Si legge nella Sacra Scrittura (Eccl 7.25): ‘Istruiscili e piegali alla sottomissione fin dall’infanzia.’ Il primo obbligo dei genitori è quello di istruire i figli nei rudimenti della Fede. Questi si trovano nel Simbolo apostolico: cioè l’esistenza di Dio, Creatore e Signore di tutte le cose; il mistero della Santissima Trinità; il mistero dell’Incarnazione del Verbo divino, Che è il Figlio di Dio ed allo stesso tempo vero Dio, fatto Uomo nel grembo della Madonna; Che patì e morì per la nostra salvezza; Che ci giudicherà e infine ci manderà per sempre o al Paradiso o all’Inferno. Con questo insegnamento i genitori inculcheranno ai figli non solo la Fede ma anche il timor di Dio che li tratterrà dal peccato: ‘Sin dall’infanzia insegnava il timor di Dio, e di asternersi da ogni peccato’ (Tob 1.10). Se i genitori non conoscono queste dottrine, devono mandare i loro figli al catechismo.

Inoltre devono istruirli come pregare il Credo, il Pater noster e l’Ave Maria, cose che ogni cristiano è tenuto a sapere sotto colpa grave; di recitare il Rosario; di fare la preghiera di mattina: ringraziando Dio di averli fatti alzare vivi, offrendoGli tutte le azioni buone della giornata e i patimenti che avranno da soffrire, pregando il Signore e la Madonna di custodirli da ogni peccato; di pregare la sera: esaminando la coscienza e facendo l’atto di pentimento; in più di visitare il Santissimo e fare atti di Fede, Speranza, e Carità. Alcuni padri di famiglia fanno fare ancora in casa ogni giorno la meditazione comune per mezz’ora, aggiunge sant’ Alfonso. I genitori sono tenuti altrettanto di farli confessarsi quando compiono 7 anni, comunicarsi quando ne compiono 10, e cresimarsi quando raggiungono l’uso della ragione.

Le buone massime sono anch’esse un grande aiuto per i figli. La regina Bianca, madre di san Luigi di Francia gli diceva: ‘Figlio, prima vorrei vederti morto fra le mia braccia, che stare in peccato’. Sant’Alfonso aggiunge le massime: ‘Ogni cosa finisce, l’eternità non finisce mai’; ‘Si perda tutto, e non si perda Dio’; e la parola del Vangelo: ‘A che serve avere tutto il mondo, e perdere l’anima?’ Commenta che una di queste massime che si imprime nella mente del figlio lo conserverà sempre in grazia di Dio.

3. L’esempio

‘Frequenta tu i Sacramenti’, ammonisce lo stesso santo, ‘senti le prediche che si fanno, di’ogni giorno il Rosario, non parlare immodesto, non mormorare, fuggi le risse, e vedrai che il tuo figlio si confesserà spesso, sentirà le prediche, reciterà il Rosario, parlerà modesto, non mormorerà, e non farà risse’.

Se i genitori non danno il buon esempio, invece, le loro parole di correzione avranno poco peso presso i figli: gli uomini credono più agli occhi che non alle orecchie. San Tommaso dice che padri che danno un cattivo esempio ai loro figli li obbligano in un certo modo a fare cattiva vita, e san Bernardo li descrive non come padri, bensì come uccisori dei figli. Infatti figli non nascono cattivi ma lo divengono tramite il cattivo esempio dei genitori.

Scrive santa Teresa d’Avila (Vita c. 2): ‘Spesso considero quale grave mancanza commettano quei genitori i quali non procurano in tutti i modi che i loro figli abbiano sempre innanzi agli occhi esempi di virtù. Infatti, sebbene, come dissi, mia madre fosse così virtuosa, giunta che fui all’uso della ragione, poco o nulla di buono appresi da essa; molto male invece imparai da una sua imperfezione’.

*

Come abbiamo fatto notare sopra, la prima finalità del matrimonio è la procreazione e l’educazione dei figli. Essendo il fine ultimo dell’uomo di raggiungere il Paradiso, possiamo dedurre che lo scopo ulteriore dell’ educazione è proprio questo: di formare i figli per il Paradiso: un dovere da parte dei genitori altrettanto pesante che nobile.

Come si possono, dunque, giustificare i genitori a far educare la loro prole in una visione contorta della realtà, ed in una visione pervertita della morale? Quale scuola in Italia rimane ormai a cui si può più affidare? Quale altra scelta responsabile rimane per i genitori che non di educare i loro figli a casa, o nell’ambito delle scuole parentali? Bisogna scegliere sub specie Aeternitatis: si tratta infatti della vita eterna dei figli e pure dei genitori. Quanto ai genitori concludiamo con le parole di sant’Alfonso: ‘… nell’altra vita avrà un grande castigo chi ha educati male i figli, ed avrà un grande premio chi li ha educati bene’.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

L’antichità del Rito Romano

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+ In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

L’origine della Santa Messa risale, come sappiamo bene, al Giovedì Santoquando fu istituito il Sacramento dell’Eucaristia. Ma a dove risale l’origine delrito della Santa Messa? Con ogni probabilità risale alle disposizioni del Signorestesso. Già nel primo secolo il Papa San Clemente, morto nell’Anno 99, scriveai Corinzi che dobbiamo “fare con ordine tutto quello che il Signore ci comandadi compiere nei tempi fissati” e parla degli “uffici liturgici” del Vescovo,dell’incarico del Sacerdote dei leviti, e dei laici.

San Giustino martire, morto nell’Anno 164, descrive poco tempo dopo nella sua Apologia, lo svolgimento della Santa Messa, in cui si possono già trovare tutti i suoi elementi essenziali che conosciamo ancora oggi.

San Giustino e poi il Testamentum Domini del V secolo asseriscono che il Signore stesso stabilì la Santa Messa in questa forma proprio il giorno della Sua Risurrezione. San Leone Magno e poi Papa Sisto V affermano in termini più generali che nel periodo tra la Risurrezione e l’Ascensione di nostro Signore Gesù Cristo + Lui ha confermato i Sacramenti ed ha insegnato quella Norma di credere e di pregare.

Sulla base dunque di queste autorità non c’è dubbio che lo svolgimento e dei testi principali della Santa Messa siano stati stabiliti da nostro Signore stesso. Cosa, di fatti, sarebbe stato più importante che il Signore determinasse per la Santa Chiesa durante i suoi incontri con gli Apostoli, menzionati negli Atti degli Apostoli, che il Santo e perpetuo Sacrificio della Messa, mezzo dell’applicazione delle infinite grazie della Sua Passione e della Sua Morte sul mondo intero.

La forma in cui la Santa Messa fu stabilita era la forma originaria del Rito Romano, anche se non subito in lingua latina. Tra tutti i riti cattolici, compresi i riti bizantini, mozarabi, ecc… il rito Romano è quello originario e più antico. Nel Concilio di Trento questo Rito fu solo ripristinato e codificato, ma non composto (come il nome “rito tridentino” suggerirebbe, ed alcuni suoi nemici odierni pretendono).

Dopo queste considerazioni generali ci vogliamo rivolgere ora al Canone della Santa Messa, che ne rappresenta proprio il cuore. Il Canone comprende la Consacrazione: tutta quella parte della Santa Messa che si estende dal Sanctus al Pater Noster esclusivi, di cui l’essenza viene citata già da sant’Ambrogio nel IV secolo.

Con certezza possiamo dire che il Canone Romano ha le sue radici nella Tradizione Apostolica e quindi nel Cuore stesso di Gesù Cristo. Il liturgista Padre Gihr scrive: “Le origini del Canone, la sua antichità veneranda ed il suo uso, ne fanno un’arca santa, veneranda ed inviolabile. Se mai una preghiera della Chiesa è stata composta sotto l’influenza particolare e l’ispirazione dello Spirito Santo, certamente è il Canone. Esso è penetrato dallo spirito di fede, profumato di pietà, pieno di forza e di azione, il suo linguaggio semplice ha un carattere vivo, un’impronta antica e biblica; commuove colui che lo pronuncia con una impressione simile a quella che è prodotta sull’anima dall’oscurità misteriosa delle Basiliche della Città eterna. Quanta delizia il poter ripetere all’Altare le medesime parole con le quali tanti Sacerdoti ferventi e pii hanno celebrato il Santo Sacrificio durante tanti secoli in tutta la Chiesa. Queste parole del Canone sono già state consacrate nell’era dei Martiri e nelle Cappelle funerarie delle Catacombe…” Quanta elevazione e quanta dolcezza si trova in questi pensieri.

Le parole del Canone Romano e di tutto il rito Romano sono state pronunziate di fatti da tutti i Sacerdoti ferventi, santi e pii che ci hanno preceduto nella Tradizione latina fin dalle origini, come per esempio sant’Ambrogio, sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino. Lo stesso San Francesco d’Assisi ci avrebbe assistito da Diacono.

Queste parole sono state seguite con attenzione da tutti i Santi e da tutti i fedeli della Santa Tradizione: San Ludovico di Francia nel suo regno e durante la Crociata in Terra Santa, il martire re San Venceslao, la regina Santa Margherita, tutti i fedeli sia di condizione alta o bassa nel corso di tutti i secoli. Per mezzo di queste parole tutti i Santi del Paradiso e tutti gli Angeli sono stati e sono e saranno sempre inondati delle più grandi, eccelse gioie, le Anime del Purgatorio indicibilmente sollevate, e la Chiesa militante elargita di infinite grazie e santificata.

Questo più antico rito della Chiesa Cattolica è, per così dire, immutabile come la Verità stessa, come la Fede, come l’unico Sacrificio della Croce che rende presente quell’eterno ed immutabile Sacrificio della Croce a cui da accesso e a cui apre le porte di questo mondo mutabile e passeggero, affinché l’eternità di Dio si renda presente quaggiù, l’eternità del Suo Amore sacrificale per le sue creature, l’eternità della Sua Misericordia.

E questo rito per di più rende il Sacrificio di Dio in modo degno delle Sue infinite perfezioni, in un modo stabilito dalla più antica Tradizione della Chiesa e, come crediamo, da nostro Signore Gesù Cristo stesso cui, assieme a tutti gli Angeli e i Santi del Cielo, tutti gli abitanti del Purgatorio e la Chiesa intera ringraziamo che ci ha eletti per conoscerLo, amarLo e per servirLo qua alla Santa Messa e nella nostra vita; per godere della Sua infinita Misericordia quaggiù e nel Cielo.
Amen.

+ In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Il Matrimonio: l’intento di Dio, l’intento del demonio

+ In nomine Patris et Filii et Spritus Sancti. Amen

1. L’intento di Dio

Il fine ultimo di tutto ciò che c’è è la gloria di Dio Uno e Trino: della Santissima Trinità: le cose materiali glorificano Dio con la loro mera esistenza, con il loro ordine, la loro bellezza, e, se vivono, con la loro vita: imitando e riflettendo in questi modi qualcosa delle infinite perfezioni di Dio. Gli esseri razionali, invece, glorificano Dio con la loro razionalità: con la loro conoscenza, e soprattutto con il loro amore per Dio che si colma nella santità: modi in cui imitano e riflettono la conoscenza e l’amore di Dio per Sé Stesso.

Ora, Dio avrebbe potuto creare gli uomini ad un’età adulta già in piena conoscenza di Lui e in pieno amore per Lui, come ha fatto nel caso di Adamo ed Eva. Invece ha stabilito che gli uomini venissero a conoscere ed amare Lui gradualmente, cominciando con la loro nascita ed educazione in famiglia: il luogo della loro formazione iniziale per la vita eterna.

Vediamo chiaramente che la prima finalità del matrimonio deve essere la procreazione ed educazione dei figli, anzi di figli numerosi, per orientarli verso la santità.

Dato questo, la sua seconda finalità è ovviamente l’assistenza reciproca (ed amorevole) degli sposi: occorre cioè una collaborazione tra di loro per far crescere i figli, ed un amore tra di loro e verso i figli, affinché i figli possano non solo crescere, ma crescere felici e ben equilibrati. Questa collaborazione deve portare in secondo luogo alla santificazione degli sposi stessi, essendo questo il fine ultimo di tutti.

La terza finalità, conseguenza del Peccato Originale che ha (tra l’altro) disordinato la sessualità umana, consiste nel ‘rimedio della concupiscenza’, che significa che la sessualità trova nel matrimonio un contesto onesto per il suo esercizio (moderato e modesto, naturalmente).

2. L’intento del demonio

Nel mondo contemporaneo, invece, testimoniamo un attacco smisurato contro il matrimonio. La sessualità viene distolto dal matrimonio e considerata come intrinsecamente buono e come fine in sé: o dentro del matrimonio (o sacramentale o ‘civile’) o fuori di esso all’interno di convivenze o di rapporti promiscui. Viene negato che la sessualità si orienti verso la procreazione: anzi, viene usata per esprimere l’amore dei sensi o per il solo piacere, prescindendo persino dal sesso di coloro che la usano. Se c’è rischio di procreazione, si ha ricorso ai contraccettivi, o, se è già troppo tardi per impedire una nuova vita, all’aborto, secondo l’atteggiamento di base che sia meglio uccidere i bambini che non di amarli.

Quanto all’educazione di quelli figli che, malgrado tutti i pericoli che li minacciano, riescono a nascere, non si tratta più di genitori che collaborano in modo disciplinato, ed in un focolare stabile informato dall’amore, per formarli moralmente, e soprattutto religiosamente e spiritualmente. Piuttosto, si tratta di consorzi amorfi e promiscui senza disciplina e con poco amore, e ancor meno senso morale e spirituale, dove i genitori, o coloro che prendono le loro veci, piuttosto di reggere i figli, si lasciano, in un tipo di aporia e fiacchezza morali, reggere da loro, nonché dai programmi educativi statali che mirano meno alla loro educazione che alla loro perversione: ispirati come sono dai nemici della Chiesa e di Dio, ed infine dallo stesso principe delle tenebre.

*

In questo contesto ci rallegriamo sempre di vedere una coppia intraprendere un matrimonio autenticamente cattolico: fedeli a se stessi ed al sacramento, modesti ed innocenti; che desiderano la propria santificazione e quella dei figli; che desiderano orientarne numerosi al Cielo: un cammino sempre più insolito in questi tempi di buio, ignoranza, confusione, ed egocentrismo quasi universali, dove anche gli uomini della Chiesa si compiacciono di tendere una mano verso le massime vuote e mortifere del Mondo.

Preghiamo che la Madonna aiuti tali coppie a far nascere molti figli, ad educarli con disciplina e bontà per osservare i comandamenti di Dio, e per amarLo con tutto il cuore; a far regnare nelle loro famiglie l’amore, la felicità, e la pace; ed a santificare loro e se stessi per poter godere, dopo questo nostro esilio, le gioie eterne del Paradiso: nella conoscenza e nell’amore della Santissima ed Adorabilissima Trinità. Amen.

La Santa Messa: cosa avviene?

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Forse qualcuno seduto ozioso per strada ha visto qualcuno di voi passare stamattina verso la chiesa, e poi ti rivedrà tornare a casa tra circa un’ora. E si dirà: Avrebbe avuto una commissione, un impegno, un incontro, avrebbe fatto una passeggiata, sarebbe andato alla Messa. Non penserà per forza che ci sarebbe successo un granché: in fondo per lui niente sarebbe cambiato: un’ora è passata, la luce si è in qualche modo cambiata, le persone e le barche si sarebbero un pochino spostate, e la giornata procederà sul suo corso e, con la giornata, la vita.

Ma per noi cosa sarebbe successo davanti a noi in questa chiesa? Cosa sarebbe cambiato? Solo questo:

Nostro Signore Gesù Cristo sarà nato sull’altare come lo è nella Gloria del Cielo: nato come è nato a Betlemme, ma in un modo nuovo. Sarà reso presente tramite le parole di un mero uomo, un peccatore, in forma di pane e di vino: il Suo Corpo, Sangue, la Sua Anima e Divinità in forma di pane; il Suo Corpo, Sangue, la Sua Anima e Divinità in forma di vino. Sarà nato sull’altare, scenderà sull’altare, Lui il Verbo Incarnato, l’Agnello Immacolato, per essere sacrificato per noi.

L’uno e l’unico sacrificio del Monte Calvario, tramite cui Dio muore per salvare l’uomo, verrà reso presente sull’altare davanti agli occhi dello spirito. La Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo, la Presenza Reale del Suo Sacrificio del Monte Calvario, apparirà qua in questa chiesa tra qualche minuto. Tutto il dramma della morte di Dio avverrà in questa chiesa, benché velato ai nostri occhi.

L’avvenimento più grande, più grave, e più glorioso che si è mai successo, e che potrebbe mai succedere, nella storia della Creazione non sarebbe dunque successo una volta solo, bensì viene prolungato tramite sante Messe successive fino alla consumazione dei secoli. E lo scopo sarà questo: che il mondo intiero non cada nel nulla in conseguenza dei peccati degli uomini, bensì che esso sia conservato in esistenza tramite tutte le sante Messe offerte ad ogni momento del giorno e della notte in ogni parte del mondo, affinché i disegni ineffabili di Dio per la salvezza degli uomini siano realizzati nel corso dei secoli.

Questo sacrificio è la fonte di tutte grazie, soprattutto del perdono che viene trasmesso nel Battesimo (per il Peccato Originale) e nella Confessione (per il peccato personale). Il Sacrificio elargisce grazie sul mondo intiero, ma soprattutto sulla Chiesa: sulla anime dei beati in Cielo e sugli angeli, aumentando la loro beatitudine; sulla anime sofferenti del Purgatorio, diminuendo le loro pene; e sugli uomini in questo mondo, aiutandoli a lottare fedelmente sino alla fine della vita. Queste grazie vengono elargite in modo particolare sui fedeli che partecipano alla santa Messa, e più devotamente partecipano, più largamente saranno elargiti: il Divinissimo Sangue sgorgherà dalle gloriose Ferite sulle nostre teste e nelle nostre anime, per illuminarci e fortificarci per la battaglia.

E dopo che Dio sia nato sull’altare e muoia là per amore di noi, Egli entrerà nel più intimo del nostro essere: ‘Domine non sum dignus: Signore non sono degno che entriate sotto il mio tetto, ma dite soltanto la parola è sarà salvata la mia anima.’ Egli entra sotto il tetto della mia anima nella forma di cibo, affinché Si possa unire a me nel modo in cui si unisce a noi il cibo: cioè nel modo il più intimo possibile su questa terra. Qua Egli rimane per 15-20 minuti – per il quale motivo è altamente desiderabile, carissimi fedeli, di trattenerci in chiesa dopo la santa Comunione almeno per una quarta d’ora per adorarLo e per parlare intimamente con Lui. Non è il momento di chiacchierare fuori o, molto meno, dentro la chiesa. Questa preghiera è una pratica che dà Gloria a Dio, e che ci aiuta molto a progredire verso la perfezione cristiana: l’unico scopo della nostra vita.

E così, carissimi fedeli, se qualcuno vi vede tornare a casa da dove siete venuti oggi, anche se non sa cosa stavate facendo durante questa ora, qualcosa davvero sarà successo, e qualcosa davvero sarà cambiato: la cosa più grande che possa succedere: Dio Si è sacrificato per noi davanti ai nostri occhi; Si è unito a noi per promuovere i Suoi disegni ineffabili per il mondo: la Sua eterna gloria e la nostra eterna beatitudine. Qualcosa sarà cambiato. Il fedele torna a casa riempito di Grazia, nutrito del cibo degli angeli, divinizzato dal Verbo Incarnato, e l’universo con i suoi infiniti pianete sarà mantenuto in esistenza e continuerà sul suo corso attraverso i secoli, fin quando il numero degli eletti sarà completo; il creato intiero sarà trasformato in un nuovo cielo ed in una nuova terra; la Missione del Divin Figlio sarà compiuta; e tutto potere sarà restituito al Padre.

Chiamo tutti i non-praticanti presenti a tornare alla pratica della Fede; tutti i praticanti (ed in primo luogo me stesso) di prendere più sul serio la Fede; chiamo i bambini che riceveranno la santa Comunione oggi per la prima volta di essere sempre fedeli ai Comandamenti di Dio, evitando sempre il peccato mortale, ed amando Dio ed il prossimo sempre di più: per l’intercessione della Madre nostra tenerissima Maria, ed alla Gloria della Santissima Trinità. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen. 

La Santa Eucaristia: il dovuto atteggiamento

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Nella Santa Messa il pane ed il vino vengono trasformati mediante le parole del Sacerdote sacramentale nel Corpo, Sangue, Anima , e Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo. Scortato da legioni innumerevoli di angeli, in silenzio ed invisibilmente, il Re dei rei e Signore dei signori, Cristo nostro Dio, viene sull’Altare per essere sacrificato per noi. In istato d’immolazione del Corpo privo di sangue, del Sangue privo del corpo, nella separazione del Suo Sacratissimo Corpo e del Suo preziosissimo Sangue, Egli, la Vittima pura, la Vittima santa, la Vittima Immacolata, il Santo Pane della vita eterna ed il calice di salvezza perpetua rende presente sull’Altare la Sua morte del Monte Calvario per la salvezza del mondo.

In istato d’Immolazione, il Corpo privo di sangue, dimora poi nei nostri tabernacoli, consegnato di nuovo al potere degli uomini. Come dunque bisogna trattarLo? Lo adoreremo e Lo ameremo come san Giovanni e santa Maria Maddalena ai piedi della Croce? o Lo tradiremo con la Comunione sacrilega come Giuda? o col rispetto umano come Pilato? Lo trascureremo, non visitandoLo mai o non accordandoGli il dovuto rispetto quando siamo davanti alla Sua presenza? A questo riguardo citiamo le parole di sant’Antonio apparso ad una suora per guidarla nella vita spirituale: ‘In presenza di Gesù Sacramentato, sottrare all’Augusta Trinità l’onore che Le è dovuto? Ah le irreverenze, come si espiano nell’altro mondo!’

Quali dunque devono essere i nostri sentimenti quando visitiamo Nostro Signore Benedetto nelle Sue chiese, se non quelli della più profonda devozione, per rispondere agli ammonimenti del Signore secondo un pio autore: ‘Ero nudo nel Santissimo Sacramento, spogliato della Mia gloria, e la tua Fede, riverenza, e devozione supplissero ciò che mancava alla Mia Maestà; ero prigioniero nel tabernacolo e ammalato di amore per te, e tu amorevolmente sei venuto a visitarMi e rinfrescarMi; ero forestiero, sconosciuto alla grande parte dell’umanità e Mi hai dato il tuo cuore per la Mia dimora; Io ho avuto fame e sete consumato dal desiderio di possedere interamente i tuoi affetti e hai saziato al massimo grado il Mio desiderio. Venite dunque benedetti del Padre Mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo’.

Quale deve essere il nostro atteggiamento quando il Nostro Signore Gesù scende sull’altare, se non quello della profondissima umiltà, abbassamento, ed annichilimento di sé? Quale deve esserlo quando si immola sull’Altare per amore di noi, se non quello dell’immolazione e dell’oblazione di noi in unione al Suo sacrificio gloriosissimo?

E quando riceviamo la santa Comunione, quali sentimenti devono essere i nostri? quando accogliamo in noi ciò che è più grande, più glorioso e più bello del creato intiero – più grande del cielo stellato, dell’oceano e di tutta la vita che contiene, di tutti gli uomini che sono mai vissuti e che mai vivranno, assieme a tutte le loro opere più gloriose: più grande, più glorioso, più bello, anche nel più piccolo frammento della Particola, perché ciò che riceviamo per la Sua infinita Grazia è nient’altro che Gesù Cristo Stesso, il Signore, sopra ogni cosa Benedetto. Amen.

Iniziative recenti del Vaticano

+ In nomine Patris  et Filii et Spiritus Sancti. Amen

L’analisi di numerose dichiarazioni di Papa Francesco rivela che siamo in presenza di un’eterodossia tale da non poter più avere dubbi nel dire che non vi è continuità con la Tradizione o, in altre parole, che tali dichiarazioni non sono proferite alla luce della Fede cattolica. L’intento dottrinale di tali esternazioni non può essere sminuito affermando che si riferiscono ad un ordine prettamente pastorale, dal momento che anche una dottrina pastorale è comunque una dottrina.

I tre munera, o uffici, della Chiesa sono: l’insegnare, il reggere, ed il santificare. Questi uffici vanno esercitati dai ministri della Chiesa per la salvezza delle anime. In quanto si tratta della salvezza delle loro anime, i fedeli hanno l’obbligo di vigilare, per assicurarsi che questi uffici siano esercitati in modo adeguato. Se non lo sono, hanno il diritto di palesarne il fatto. Allo stesso tempo, se un ministro inferiore della Chiesa vede che un prelato abusa del suo munus docendi (non insegnando la Fede o insegnando dottrine ad essa contrarie), ha l’obbligo di esercitare lo stesso munus per rivelarne l’abuso e per comunicare la verità.

Scrive San Tommaso d’Aquino (ad Gal.2.14): “Essendovi un pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere ripresi, perfino pubblicamente, da parte di quelli che sono loro soggetti. Così San Paolo, che era soggetto a San Pietro, lo riprese pubblicamente, in ragione di un pericolo imminente di scandalo in materia di fede”.

E Sant’Agostino commenta: “Lo stesso San Pietro dette esempio a coloro che governano, affinché essi, allontanandosi qualche volta dalla buona strada, non rifiutino come indebita una correzione venuta anche dal loro soggetti”.

Riferendosi di nuovo alla critica pubblica di San Paolo a San Pietro, scrive ancora San Tommaso: “La riprensione fu giusta ed utile, ed il suo motivo non fu di poco conto: si trattava di fatti di un pericolo per la preservazione della verità evangelica… il modo della riprensione fu conveniente, perché fu pubblico e manifesto. Perciò San Paolo scrive: ‘Parlai a Cefa’ cioè a Pietro ‘di fronte a tutti’ perché la simulazione operata da san Pietro comportava un pericolo per tutti.”

Questo è lo spirito dunque in cui sarà intrapresa la critica delle dottrine o dei gesti che seguono, con la pietà dovuta di un figlio verso il proprio padre spirituale, capo visibile della santa Chiesa di Dio. Le dichiarazioni (o i gesti) trattati riguarderanno solo tre punti determinati: 1) l’Ecumenismo, 2) l’Eroticismo, e 3) l’Adulterio.

1. Ecumenismo

Un video

Durante la ricorrenza della Festa dell’Epifania 2016, il Papa ha emanato un video ecumenico che metteva sullo stesso livello la religione cristiana, quella ebrea, quella musulmana, e quella buddhista con immagini del Bambino Gesù, del Buddha, del candelabro ebraico, e della coroncina musulmana; gli aderenti di tutte e quattro quelle religioni hanno poi pronunciato la frase: “Noi crediamo nell’amore”.

Il gesto manifesta il principio ecumenico: “Puntiamo su ciò che abbiamo in comune, non ciò che ci separa”. Questo principio ovviamente è lecito per iniziative interreligiose, per promuovere scopi comuni di ordine puramente naturale come può essere ad esempio la lotta contro l’aborto; ma non può essere lecito quando potrebbe oscurare la Fede cattolica, confondere i fedeli, offendere loro, o, ciò che è infinitamente peggio, offendere Dio Stesso.

Ora, la frase “Noi crediamo nell’amore” oscura la Fede cattolica e confonde i fedeli, in quanto dà l’impressione che la visione della Chiesa cattolica dell’amore sia equivalente a quella delle altre religioni. Anzi, dà l’impressione che questa visione faccia parte della Fede cattolica stessa in quanto viene utilizzata la parola ‘crediamo’, in quanto il papa stesso appare nel video, e in quanto il gesto viene fatto in occasione della Festa dell’Epifania, proprio il giorno in cui nostro Signore Gesù Cristo si è rivelato al mondo.

La frase, però, è vera solo quanto alla virtù dell’amore, cioè a livello naturale; ma è falsa quanto alla Carità, cioè a livello sovrannaturale, il livello più importante, perché determinante per la vita eterna. Infatti la Carità è l’amore sovrannaturale, l’amore divino: dunque l’amore dell’uomo verso Dio come è di per Se Stesso, l’amore dell’uomo verso il prossimo in Dio; l’amore di Dio verso l’uomo; l’amore di Dio verso Se Stesso. Solo un cattolico battezzato in stato di Grazia possiede tale amore, non gli aderenti alle altre religioni.

Quanto all’insieme delle immagini, si mette sullo stesso livello la religione creata da Dio che insegna la Verità e porta alla Vita, e le religioni create dal demonio che insegnano la falsità e portano alla morte. Si mette sullo stesso livello la religione di Nostro Signore Gesù Cristo con quelle di coloro che Lo hanno rigettato, bestemmiato e perseguitato nel corso dei secoli: ossia la religione di un edonista nichilista, di un comune brigante, e del popolo che Lo ha condannato, flagellato, e crocifisso con immensa e diabolica crudeltà.

In quanto tale l’insieme delle immagini costituisce un’offesa a Dio ed è di conseguenza del tutto inammissibile.

2. Eroticismo

a) L’Amore matrimoniale

L’esortazione Amoris Laetitia constata § 80-81: “Il matrimonio è in primo luogo una ‘intima comunità di vita e di amore coniugale’ che costituisce un bene per gli stessi sposi, e la sessualità ‘è ordinata all’amore coniugale dell’uomo e della donna’ CCC 2360.” In note a piede di pagina sono forniti 3 riferimenti per questo testo: Gaudium et Spes § 48 rispetto all’intima comunità; il codice 1983 c.1055 rispetto al bene degli sposi (‘Matrimoniale foedus… ad bonum conjugum atque ad prolis generationem et educationem ordinatum’); ed il Catechismo della Chiesa cattolica § 2360 rispetto all’ordinazione della sessualità all’amore coniugale.

Per capire la portata di questo testo, bisogna inserirlo nel suo contesto storico. Secondo l’insegnamento cattolico tradizionale, cioè quello autentico, il matrimonio è un vincolo spirituale; la sua finalità primaria è la procreazione ed educazione dei figli; la sua finalità secondaria è il bene degli sposi (o ‘amore matrimoniale’) che consiste nell’assistenza reciproca degli sposi. L’aspetto sessuale è il rimedio contro la concupiscenza (talvolta identificata come la terza finalità del matrimonio). La sessualità è ordinata verso la procreazione.

Sotto l’influsso del Personalismo poi, la definizione teologica del matrimonio come vincolo viene sostituita da una descrizione psicologica in termini di ‘vita e amore’; la sua finalità secondaria viene elencata prima della sua finalità primaria (come nella citazione latina del codice sopra, senza però designarla ‘primaria’); la sessualità viene intesa come ordinata all’amore matrimoniale, un amore, quindi, essenzialmente emozionale piuttosto che razionale.

Il brano dell’esortazione sopra citato costituisce un passo in avanti (nel senso di interpretazione del tutto forzata e per nulla corretta) rispetto al magistero precedente, in quanto si presenta l’amore matrimoniale ormai esplicitamente come finalità primaria del matrimonio (‘in primo luogo… amore coniugale’), mentre viene taciuta la finalità della procreazione ed educazione (tranne la menzione nella nota in latino). Viene ribadita l’ordinazione della sessualità all’amore coniugale (inteso nel senso emozionale), che sarà elaborato in seguito in termini esclusivamente secolari nella sezione 150 intitolata ‘La dimensione erotica dell’amore’.

b) ‘L’educazione sessuale’

Ora che le scuole europee sono state invase ormai da programmi di ‘educazione sessuale’ di ordine amorale e puramente edonista (e probabilmente se ne aspettano altri ancora peggiori), un intervento da parte della santa Madre Chiesa diviene ogni giorno più conveniente e più urgente.

Con la pubblicazione di Amoris Laetitia si sarebbe sperato qualche presa di posizione cattolica al riguardo: ad esempio 1) una proposta per fondare nuove scuole veramente cattoliche, o almeno per istituire nuovi istituti che vigilassero e operassero affinché venisse attuato l’insegnamento autentico della dottrina cattolica nelle scuole esistenti; 2) un appello ai genitori affinché si occupino dell’educazione sessuale dei loro figli in accordo con l’insegnamento autentico della Chiesa in materia, in particolare sottolineando la finalità primaria del matrimonio, cioè la procreazione e l’educazione dei figli; 3) una chiara esposizione della dottrina cattolica sul matrimonio, sugli atti contrari, sulla purezza, sull’impurezza, e sul fatto che tutti i peccati contro la purezza sono mortali.

Invece la sezione § 280-286 intitolata ‘Sì all’educazione sessuale’ è del tutto priva di questi elementi.

1) Piuttosto di proporre alternative all’educazione sessuale attuale, il documento si accontenta meramente di suggerire qualche modifica o cambiamento di accento dentro di essa;

2) Il ruolo educativo dei genitori non viene neanche accennato: piuttosto si concentra (tranne una sola menzione della ‘naturale finalità procreativa della sessualità’) sulla finalità secondaria del matrimonio, cioè l’amore, anzi, l’amore inteso esclusivamente nel senso emozionale, e soprattutto sessuale. Si legge ad esempio dell’ ‘educazione all’amore, alla reciproca donazione’ (§ 280); della ‘capacità di amare’ (§ 281-2); del ‘modo di amare’ degli adolescenti’ (§ 284).

3) Quanto poi alla dottrina cattolica sul matrimonio e sulla purezza, non viene detto nulla. La sessualità viene trattata di fatto solo in modo psicologico senza neppure un accenno alla moralità. Il male da evitare non sarebbe più il peccato, bensì aspetti sociologici o psicologici come banalizzazione e impoverimento (§ 280); ‘pornografia senza controllo’ (come se la pornografia moderata potrebbe forse essere accettabile), la ‘mutilazione’ della sessualità, la deformazione della capacità di amare (§ 281); ‘l’aggressività narcisistica’, il giocare (§ 283); l’immaturità (§ 284); l’isolamento (§284-5), il non accettare il proprio corpo, la paura dell’altro (§ 285).

La sessualità extramatrimoniale non è dunque condannata; anzi, sembra persino essere incoraggiata, così che la sezione, in un’analisi finale, è compatibile con i programmi di educazione sessuale attuali amorali e del tutto contrari all’insegnamento cattolico; si legge infatti: ‘L’impulso sessuale può essere coltivato in un percorso’ tale da ‘far emergere capacità preziose di gioia e di incontro amoroso’ (§ 280); questo tipo di percorso ‘sulle diverse espressioni di amore, sulla cura reciproca, sulla tenerezza rispettosa, sulla comunicazione ricca di senso’ preparerà ‘all’unione sessuale nel matrimonio (…) arricchito da tutto il cammino precedente’ (§ 283 e vedi anche § 284).

Di fatto la sezione è compatibile pure con l’ideologia ‘gender’, parlando dell’educazione sessuale non solo degli adolescenti, ma anche dei ‘bambini’(§ 280 e 281); si legge anche: ‘Non si può nemmeno ignorare che nella configurazione del proprio modo di essere femminile e maschile non confluiscono solamente fattori biologici o genetici ma anche molteplici elementi relativi ….alla cultura… (etc.)…; è anche vero che il maschile e il femminile non sono qualcosa di rigido…’

La sezione termina con un avvertimento contro il ‘condizionare la legittima libertà e a mutilare l’autentico sviluppo dell’identità concreta dei figli e delle loro potenzialità’ (§ 286).

c) Confronti tra il matrimonio ed il celibato

L’esortazione constata § 159 (citando papa Giovanni Paolo II) che “…i testi biblici ‘non forniscono motivo per sostenere né l’inferiorità del matrimonio, né la superiorità della verginità o del celibato’ a motivo dell’astinenza sessuale”. Mentre san Paolo dice precisamente l’opposto (I Cor 7. 25-40). Si nota in particolare: ‘Chi non è sposato pensa a ciò che è di Dio’ (v.32), e ‘Chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie’ (v.33).

Comunque, per sapere ciò che insegna la Santa Madre Chiesa su qualsiasi argomento, l’autorità più alta è contenuta nei dogmi definiti. Ed il concilio di Trento dichiara dogmaticamente a riguardo (s. 24 can.10): Si quis dixerit… non esse melius ac beatius manere in virginitate aut caelibatu, quam matrimonio: Anathema sit.

3. Adulterio

Sicuramente è lo spirito di eroticismo che si cela dietro l’indulgenza del papa verso gli adulteri.

a)Difesa dell’Adulterio

Nel documento Amoris Laetitia § 298, il Papa parla di coppie di ‘divorziati risposati’ nei termini seguenti:

“La Chiesa riconosce situazioni in cui ‘l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione” (Familiaris Consortio § 84) ed aggiunge nella nota 329: “In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere ‘come fratello e sorella’ che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, ‘non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli’ (Gaudium et Spes § 51)”.

Commentiamo. ‘Espressioni di intimità’ significa parlare del rapporto sessuale, come risulta da una lettura del brano completo di Gaudium et Spes, e dal fatto che queste ‘espressioni di intimità’ vengono messe in confronto con la convivenza ‘come fratello e sorella’. Conseguentemente, si può sintetizzare il testo così: molte coppie di divorziati-risposati che convivono per il bene dei figli, trovano che il rapporto sessuale (cioè l’adulterio) sia proficuo per la loro convivenza e per il bene dei figli.

Vediamo dunque che:
a) l’adulterio viene giustificato;
b) l’adulterio diviene un mezzo orientato ad una fine: cioè la fedeltà della coppia ed il bene della loro progenie;
c) ci si riferisce ad una determinata situazione, anzi una situazione sperimentata da ‘molti’;
d) si evidenzia una pretesa continuazione col magistero precedente.

Quanto ad (a): L’adulterio è condannato expressis verbis nel Vecchio Testamento nel VI comandamento, e da nostro Signore Gesù Cristo Stesso nel Nuovo (Mt 19.9; Mc 10.11-12). Inoltre Egli lo specifica come uno dei peccati che escludono il peccatore dalla vita eterna (Mt.19. 17-18). Essendo, dunque, un male intrinseco, non si può in nessun modo giustificare.

Quanto a (b): San Paolo (Rom 3.8) dichiara esplicitamente che non si possa fare di un male un mezzo per giungere ad un bene;

Quanto a (c): Qua si manifesta ‘l’etica della situazione’ che pretende che la coscienza crei una norma a seconda della situazione in cui si trova l’individuo. La Chiesa, invece, ha condannato l’etica della situazione, e intende la coscienza come un giudizio che applica principi morali oggettivi alle azioni particolari.

Quanto a (d): il Papa (o i suoi collaboratori) sopprime parti essenziali dai brani citati. Nel primo brano papa Giovanni Paolo II, parlando di ‘divorziati risposati’ che convivono per motivi (tra l’altro) per il bene dei figli, dichiara che devono vivere in perfetta castità. Se non lo fanno, non possono accedere alla santa Comunione. Nel secondo brano il Concilio raccomanda rapporti sessuali per motivi di fedeltà e del bene dei figli, ma solo tra coloro che sono sacramentalmente sposati. In sintesi, papa Giovanni Paolo II constata che una coppia di ‘divorziati risposati’ può convivere per il bene dei figli ma in castità perfetta; il Concilio constata che rapporti sessuali possono promuovere la fedeltà di una coppia ed il bene dei figli dentro il matrimonio. Tagliando i riferimenti alla castità ed al matrimonio, papa Francesco pretende di giustificare l’adulterio sulla base del Magistero precedente.

b) Stato ecclesiale degli Adulteri

L’esortazione constata § 299 che i ‘divorziati risposati’ ‘possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa’ e propone che si integrino nella vita pubblica della Chiesa, da padrini ad esempio. La Tradizione della Chiesa (rimando ad esempio a san Tommaso d’Aquino), invece, li considera come membra morte della Chiesa, quali rami morti di un albero vivo. Per questo motivo e per motivo del loro cattivo esempio, non conviene che operino nella vita pubblica della Chiesa.

c) Accesso alla santa Comunione per gli Adulteri

Possiamo concludere da § 298 e nota 329 sopra analizzate, che se l’adulterio non viene più considerato come peccato mortale, ne segue che gli adulteri hanno il diritto di essere integrati nella vita della Chiesa anche accedendo alla santa Comunione. Leggiamo uno dei passi del documento che lo dice esplicitamente:

‘…gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi… nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave’(§ 300 con nota 336).

Che tipo di giustificazione ha in mente il Papa? ‘L’etica della situazione’? Ma, come abbiamo già spiegato, questa etica è nulla e vuota. L’ignoranza da parte della coppia che l’adulterio sia un peccato mortale o che la santa Comunione in stato di peccato mortale sia un’ulteriore peccato mortale? E’ vero che un peccato mortale non va imputato ad un peccatore che non sapeva che esso fosse mortale; tuttavia il peccato in questione è mortale oggettivamente e rappresenta un’offesa grave a Dio.

Per questo, qualsiasi assistenza spirituale, discernimento, dichiarazione, o intervento da parte della Chiesa devono essere orientati ad istruire la coppia sulla legge oggettiva naturale e divina, e condurla a vivere nella Grazia di Dio, non a lasciarla nell’ignoranza e nel peccato, per paura di urtare le sue sensibilità.

In sintesi, il compito della Chiesa al riguardo non è di evitare di offendere i fedeli, bensì di evitare di offendere Dio.

Come prepararsi alla S. Comunione

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+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Con la Santa Comunione il nostro Signore Gesù Cristo lascia il trono del Suo Paradiso celeste e entra sotto il tetto della mia anima. Entra nella mia casa come è entrato nella casa di Zaccheo, dicendo: ‘Zaccheo, oggi devo fermarMi a casa tua.’

Cosa significa ciò? Significa che Gesù Cristo: Corpo, Sangue, Anima, e Divinità entra nella mia anima, nel mio corpo, e nel mio cuore, così realmente come entrò nella casa di Zaccheo 2000 anni fa. E questo significa che devo preparare la mia casa per Lui. E come la preparo? la preparo in due modi: purificandola, e sgombrandola da tutto ciò che mi possa distrarre da Lui.

Purifico l’anima confessandomi e coltivando tutte le virtù, perché il peccato contamina l’anima, mentre la confessione e la pratica delle virtù la purificano. Se sono nello stato di peccato mortale, non devo mai osare ad accedere alla Santa Comunione, non essendo degno di ricevere nella mia anima il Sommo Bene.

Se invece ricevo la Santa Comunione in questo stato, commetto un ulteriore peccato mortale: quello del sacrilegio. Ma anche se la mia anima non è completamente ottenebrata dal peccato mortale, ma solo contaminata dal peccato veniale, è opportuno purificarla regolarmente nel sacrameno della Penitenza, per renderla più degna di ricevere il Signore: più pura è l’anima, più degna sarà di riceverLo.

Ma anche devo sgombrare la mia anima da tutto ciò che non è necessario e questo vuol dire: dalle distrazioni.

Per sgomberare l’anima, occorre un lavoro anteriore di distacco e di raccoglimento. Occorre un lavoro di distacco dal mondo, dalla concupiscenza degli occhi – rispetto alla televisione, ai giornali, alle cose che si vedono per strada, alle persone che passano; ma più generalmente un distacco dalla concupiscenza di tutti i sensi, nonché dall’ immaginazione stessa. La conseguenza ne sarà che nella preghiera sarà meno distratta da diverse immagini e da diversi pensieri inutili, e dunque più pura e più fruttuosa.

Il lavoro che segue quello del distacco è quello del raccoglimento. San Pier Giuliano Eymard nel suo libro intitolato ‘La Santa Comunione’ scrive: ‘ Le persone devote, ma che non sanno raccogliersi, non gusteranno mai vere gioie spirituali, essendo la leggerezza di mente grande ostacolo al regno di Dio in un’anima. Se volete gustare Dio e godere della Sua Presenza, dovete raccogliervi e meditare’.

Il raccoglimento significa raccogliere le facoltà dell’anima in Dio: nascondersi in Dio, vivere in Dio, indirizzare la mente sempre a Dio. Quando questo diviene un’ abitudine ci aiuterà assai per meditare e per adorare Dio: dopo la santa Comunione, davanti al Santissimo Sacramento esposto, a casa, e sempre.

Remissio peccatorum

La remissione dei peccati è dono di Dio e scaturisce dalla Sua infinita misericordia. La Fede cattolica professa che per gli uomini peccatori c’è la possibilità di ottenere perdono per i loro peccati.

Parlando della remissione dei peccati, dobbiamo considerare la natura del peccato: Il peccato consiste nell’offesa di Dio Sommo Bene disubbidiendo ai Suoi precetti contenuti nella legge naturale e poi, più perfettamente, nella legge divina.

Essendo quindi il peccato un’offesa di Dio da parte dell’uomo, il potere di rimettere i peccati deve essere riservato unicamente a Dio: “Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?“ (Mc 2,7)

Il Nuovo Testamento ci racconta in diversi episodi come Cristo perdona ai peccatori: Al buon ladrone, pentito dei suoi peccati all’ ultimo momento della sua vita, assicura l’entrata nel Regno dei cieli perdonandogli tutti i suoi peccati. In quanto è la Seconda Persona Divina della Santissima Trinità, Cristo ha il potere di perdonare i peccati. Nonostante ciò, Cristo ha voluto fare partecipare a questo potere degli eletti: Dopo la Sua risurrezione conferì agli Apostoli questo sacro potere dicendo:“Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23).

Gli Apostoli non hanno questo potere da sé stessi, dunque, ma lo hanno ricevuto da Dio. Per questo gli Apostoli non rimettono i peccati a nome proprio ma a nome di Dio. Loro hanno conferito i loro poteri ricevuti da Cristo ai loro successori eletti che sono i vescovi con i loro collaboratori, i sacerdoti. I vescovi e sacerdoti, anche oggi, hanno il potere di rimettere i peccati, fondato sulla loro partecipazione eccellente all’opera redentrice divina di Cristo. Auesta opera realizza sempre di nuovo il principio dell’ Incarnazione: Dio si serve degli uomini e del mondo materiale per compiere il Suo piano salvifico.

Dal momento che i vescovi e sacerdoti non sono i padroni assoluti sul loro potere di rimettere i peccati, sono legati a diverse condizioni che sono stabilite dalla legge divina immutabile alla quale la Chiesa si sottemette.

Cristo istituì sette sacramenti: fra di loro i sacramenti del Battesimo, il sacramento della Confessione (o ‘Penitenza’) e parzialmente il sacramento dell’Unzione degli infermi hanno come effetto la remissione dei peccati. Questi sacramenti saranno spiegati da più vicino in un articolo separato.

In questo contesto accenniamo soltanto ad alcuni aspetti di questi tre sacramenti.

Il Battesimo cancella il peccato originale e tutte le altre colpe commesse fino al momento del battesimo; nella confessione il sacerdote ci assolve dai peccati mortali e veniali confessati; l’unzione degli infermi, invece, può in certi casi straordinari avere come uno dei suoi effetti la remissione dei peccati non ancora perdonati.

Bisogna distinguere tra il reatus culpae e il reatus poenae. La colpa consiste nel fatto di avere offeso Dio, non osservando la Sua santa legge. Il reatus poenae significa il danno che è stato causato dal peccato commesso, ossia la conseguenza dannosa del peccato: infatti con il peccato sono lesi sia l’ordine divino che la nostra anima.

Questo danno il peccatore, dopo avere ricevuto il perdono di Dio, lo deve riparare o durante la sua vita terrena o dopo la morte nel Purgatorio.

Per poter capire meglio questa distinzione può essere utile un semplice paragone preso dalla vita quotidiana: Se un ragazzo giocando lancia un pallone verso una finestra e la rompe, evidentemente causa danno. In questa situazione dovrebbe prima scusarsi dal proprietario e poi riparare il danno pagando una nuova finestra.

Applicando questo esempio all’insegnamento sul peccato, possiamo costatare che il peccatore deve chiedere perdono a Dio per i suoi peccati. Ciò avviene nel battesimo e nella confessione ed è sufficiente per sfuggire alle poena damni che porta all’inferno.

Nel battesimo viene pure cancellato il reatus poenae, nel sacramento della confessione, invece, ne viene rimessa soltanto una parte.

Per potere riparare il danno causato dal peccato la Chiesa ci propone la penitenza e, come altro mezzo efficacissimo, le indulgenze: Dal momento che alla Chiesa è stato affidato dal suo divino fondatore Gesù Cristo il tesoro inesauribile della Redenzione da lui compiuta e ulteriormente arricchito dalla vita dei santi, ella ha il potere di distribuire ai suoi membri i frutti di questo tesoro.

Ricordiamo qui che con il Suo Preziosissimo Sangue Cristo ha pagato il prezzo per tutti i peccati dell’umanità: “Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia.” (1 Pietro 1,18-19) Questa frase di san Pietro mostra che per riparare il danno immenso causato dai peccati era necessario il sangue di Cristo. Perciò il peccatore non può riparare il reatus poenae senza ricorrere all’opera redentrice di Cristo.

Rivolgiamoci in fine più concretamente alle indulgenze: l’indulgenza è un mezzo che la Chiesa ci offre per liberarci dal reatus poenae. Si distingue fra l’indulgenza plenaria che elimina tutte le pene e quella parziale che a secondo della disposizione del penitente ne elimina soltanto una parte.

Le condizioni che la Chiesa ha stabilito per l’acquisto dell’ indulgenza sono la confessione, che restituisce al peccatore, se avesse commesso un peccato mortale, lo stato di Grazia; poi la comunione eucaristica; una preghiera nell’intenzione del Sommo Pontefice ed un’opera o un pio esercizio, al quale l’autorità delle Chiesa ha annesso un’indulgenza plenaria o parziale.

Perché l’indulgenza possa essere plenaria, inoltre al compimento di un’opera per la quale è prevista tale indulgenza, è necessario essere liberi da ogni tendenza volontaria verso ogni tipo di peccato, anche quello veniale.

L’indulgenza si può applicare anche in suffragio delle anime del Purgatorio. In questo modo ci è data la possibilità di venire in soccorso ai fratelli defunti che soffrono e hanno bisogno del nostro aiuto. L’indulgenza applicata in suffraggio dei defunti accelera la loro entrata nel Cielo, dove, liberi da ogni peccato, potranno vedere Dio e partecipare alla Sua gloria eterna.

Deo Gratias!

La salvezza degli Ebrei

1. La dottrina perenne

Dio ha scelto Israele come il Suo popolo di predilezione: da quel popolo si voleva incarnare; presso quel popolo voleva stabilire il Suo Regno sulla terra e poi in Cielo per sempre. A questo fine strinse un patto con loro: creò una comunità – la sinagoga; un sacerdozio con un sacrificio di animali; la Fede nel Messia venturo; ed un mezzo per entrare nel Suo Regno che era la circoncisione.

Quando invece il Suo popolo diletto Lo rigettò, strinse un nuovo patto con gli uomini, che costituì una sostituzione ed un perfezionamento del patto antico. La sinagoga divenne la Chiesa; il sacerdozio con il sacrificio degli animali divenne il Suo proprio sacerdozio eterno con il sacrificio del Suo corpo in croce; la Fede nel Messia venturo divenne la Fede nel Messia venuto; e la circoncisione divenne il battesimo.

San Paolo descrive questo cambiamento chiaramente nella sua Lettera agli ebrei (VII-X) parlando della legge antica come ‘debole ed inutile’ (VII 18); dicendo del patto antico che ‘ciò che è fatto antico ed è invecchiato e vicino a scomparire’(VIII 13) e che il Signore ‘annulla quel di prima perché rimanga in piede il secondo punto’(X 9). Similmente descrive il tabernacolo anteriore come ‘figura’(IX 9); i componenti del sacrificio anteriore ‘simulacri’ (IX 23); e la legge antica ‘ombra’ (X 1).

Papa Pio XII, riferendosi a questi brani, scrive nell’enciclica Mystici Corporis (§ 205 ss.): ‘In croce morì la legge antica, che presto doveva essere sepellita e mortifera, per dar luogo alla nuova alleanza di cui Cristo aveva scelto gli Apostoli come ministri idonei’. Nella santa Messa dice il sacerdote alla consecrazione del vino Sanguinis mei novi et aeterni testamenti. Non c’è dubbio dunque che solo il nuovo testamento, il testamento nel Sangue del Signore, sia salvifice. Similmente Il prefazio del Santissimo Sacramento proclama: ‘Qui (Christus),remotis carnalium victimarum inanibus umbris, Corpus et Sanguinem suum nobis in sacrificum commendavit…’; ed il passaggio del Regno di Dio dagli ebrei alla Chiesa viene chiaramente espressa nella parabola dei vignaiuoli ribelli ‘…Perciò vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato ad un popolo che la farà fruttificare’(Mt XXI 43).

Evidentemente il patto antico, l’alleanza antica, la legge antica, il vecchio testamento, non è più efficace, anzi non esiste più: è stato sostituito dal nuovo che solo ormai ha il potere di salvare gli uomini.

La Chiesa insegna infallibilmente che Extra Ecclesiam nulla salus (Concilium Laterenense IV): che il battesimo e la Fede sono necessari alla salvezza. Ma gli ebrei non sono membra della Chiesa, non hanno né il battesimo né la Fede cattolica. Prima di Cristo avevano la circoncisione che serviva da porta al Regno di Dio ed avevano la Fede nel Messia venturo che era una Fede salvatrice perché indirizzata verso nostro Signore Gesù Cristo; ma con la sostituzione del vecchio patto dal nuovo, la circonsione fu sostituito dal battesimo, e la Fede nel Messia venturo non aveva più nostro Signore come oggetto e fu quindi vanificata e privata del suo valore.

La Fede nel Messia era salvatrice solo come Fede in nostro Signore: per quello Lui è venuto manifestarSi agli ebrei (Mt XV 24), e ha comandato ai Suoi apostoli di evangelizzare gli ebrei anche dopo la Resurrezione (Lc.XXIV 47, Atti I 8). E perché l’avrebbe fatto se il patto antico fosse sempre valido?

Ciò significa che il popolo di Israele sia stato definitivamente rigettato? Scrive san Paolo (Rm XI 1): ‘Io dico dunque: “Forseché Iddio ha rigettato il Suo popolo?”, e risponde nel negativo, in quanto ‘i doni e la vocazione di Dio non son cose che soggiacciano a pentimento’ (Rm XI 29): cioè in quanto la grazia e la vocazione di Israele sono irrevocabili. La vocazione di Israele è irrevocabile, però, non nel senso che il patto antico sia sempre valido, bensì nel senso che ciò che fu offerto a loro tramite il patto antico, ossia la salvezza, è sempre offerto a loro da Dio, anche se tramite un patto nuovo.

La porta di salvezza, dunque, gli è sempre aperta – o individualmente o collettivamente alla fine dei tempi (Rm XI 25-7). La stessa dottrina si può esprimere in termini di un Israele spirituale: La vocazione di un Israele spirituale, l’Israele che crede in nostro Gesù Cristo, è irrevocabile; l’Israele carnale, invece, che si ostina ancor oggi a rifiutare Gesù, ‘è stato reciso dall’ulivo fruttifero per la sua incredulità’ (Rm XI 17).

2. La dottrina moderna

Un certo Lazare Landau scrive: ‘Nell’inverno del 1962, i dirigenti ebrei ricevevano in segreto, nel sottosuolo della sinagoga di Strasburgo, un inviato del papa… il padre domenicano Yves Congar, incaricato da Bea e Roncalli di chiederci, ciò che ci aspettavamo dalla Chiesa cattolica, alla vigilia del Concilio… la nostra completa riabilitazione, fu la risposta…’ (cfr. Itinéraires 1990 n.22 p.1-20, e la biografia di Nahum Goldmann, Staatsman ohne Staat p.378, vide Sì si no no, 31. gennaio 2016).

Quali cambiamenti si trovano nell’atteggiamento ufficiale della Chiesa verso gli Ebrei susseguentemente all’anno 1962? Nel documento conciliare sugli ebrei Nostra Aetate (4.6) viene detto: ‘Gli ebrei in grazia dei padri rimangono ancora carissimi a Dio i cui doni sono senza pentimento’. Questa frase, tolta dal suo contesto, suggerisce prima facie che il patto antico sia sempre in vigore. Lo stesso viene insinuato dal Novus Ordo Missae nelle preghiere del Venerdì santo: «Preghiamo per gli ebrei: il signore Dio Nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la Sua Parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del Suo nome e nella fedeltà alla Sua alleanza». Similmente papa Giovanni Paolo II nella sinagoga di Magonza nel 1980 parlava dell’ ‘Antica Alleanza mai revocata’, affermazione ripresa nel Nuovo Catechismo del 1993 (n.121); mentre la Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo del dicembre 2015 ne fa un passo ulteriore, prendendo come titolo del documento: ‘Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili’.

Riguardo alla dottrina nuova nel suo senso prima facie, bisogna dire che non corrisponde al dogma cattolico sulla salvezza né, più precisamente, alla dottrina cattolica sugli ebrei, secondo il magistero costante ed universale della santa Madre Chiesa.

Sedevacantismo

Sedevacantismo è la posizione che la Sede di Roma in un determinato periodo sia vacante malgrado l’apparenza contraria. Il sedevacantista nel senso pieno del termine non solo adotta questa posizione, ma compie anche un atto in seguito, sottraendosi all’autorità del papa apparente in questione. Questo atto, però, è altamente pericoloso, poiché se il sedevacantista si sbaglia nella sua posizione ed il papa apparente è davvero papa, il suo atto costituisce un atto di scisma, un atto di sottrarsi all’autorità del vero papa, e di mettersi fuori della Chiesa, così che, se non se ne pente, si dannerà.

Di fatti è dogma di Fede che la Santa Madre Chiesa romana sia l’unica arca di salvezza (Concilio Laterenense IV) e per appartenersi ad Essa è necessario sottomettersi al papa (cfr. la prima nota della Chiesa professata nel Credo, ossia l’Unità). La Bolla Unam Sanctam dice chiaramente: ‘Noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo, ed affermiamo che è assolutamente necessario alla salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al romano pontefice’.

Ne consegue che il sedevacantismo si può giustificare solo nel caso di certezza assoluta che la sede di Roma sia vacante: certezza assoluta non nel senso soggettivo, bensì nel senso oggettivo: sulla base di una dimostrazione incontrovertibile del fatto. Chiediamoci dunque se i sedevacantisti si giustifica rispetto a papa Francesco, per i motivi da loro tipicamente addotti: cioè per l’eresia.

Tre sono i fatti che qua si devono dimostrare:
1) Papa Francesco è eretico;
2) Un papa eretico cessa ipso facto di essere papa;
3) La cessazione di essere papa non ha come conseguenza la defezione della Chiesa.

1. Se papa Francesco sia eretico

Nel sito ‘Denzinger-Bergoglio’ si presentano circa 150 dichiarazioni di papa Francesco come contrarie alla dottrina cattolica. Ma tra di loro si può trovare almeno una vera e propria eresia? Il codice di Diritto Canonico constata (can.751): ‘Vien detta eresia l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per Fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa.’ La verità in questione è il dogma di Fede; vediamo dunque che l’eresia è niente altro che la negazione ostinata di un dogma, come potrebbe essere ad esempio il dogma che extra Ecclesiam nulla salus. E’ pur vero che papa Francesco sostenga che l’alleanza con gli ebrei sia ‘irrevocabile’, il che implicherebbe secondo il senso prima facie delle parole che ci siano mezzi di salvezza fuori la Chiesa, ma il papa non ha negato questo dogma (o qualsiasi altro) in modo esplicito né in modo ostinato.

2. Se un papa eretico cessa ipso facto di essere papa

Inanzitutto bisogna dire che questa frase non esprime un dogma, ma piuttosto una mera ipotesi teologica. I dottori della Controriforma hanno considerato la questione e risposto ad essa in diversi modi. San Roberto Bellarmino sostiene che un papa non possa cadere in eresia dopo la sua elezione, ma, concesso cada in eresia, ritiene come più probabile che mantenga il suo pontificato che non lo perda. Cardinale Tommaso de Vio Caetano ritiene, invece, che lo perda, ma solo dopo la dichiarazione della sua eresia manifesta ed ostinata da parte dellla gerarchia; dopodiche non sarebbe deposto ipso facto, ma sarebbe da deporre da Cristo Stesso.

Osserviamo che l’argomento più convincente per la perdita ipso facto del pontificato tramite l’eresia avverebbe nel caso in cui un papa provasse a negare in modo infallibile ciò che era già dichiarato in modo infallibile. Chiaramente né lui né qualsiasi altro papa ha provato ad agire in tal modo. Anzi, le constatazioni di papa Francesco si caratterizzano piuttosto della loro fluidità e di una mancanza di formalità e di solennità – in prediche o interviste a braccio in aerei ecc.

3. Se la vacanza della Sede di Roma a causa dell’eresia comporta la defezione della Chiesa

E’ dottrina costante della Fede che la Chiesa è indifettibile, cioè rimarrà in esistenza fino alla fine del mondo: Portae Inferi non praevalebunt. Ma se un papa perde il suo pontificato, non in modo transeunte che va dalla morte (o dalle demissioni) di un papa all’elezione di un altro, la Chiesa rimarebbe senza capo visibile e cesserebbe di esistere.
E’ dottrina costante della Fede ugualmente che Cristo ha fondato la Sua Chiesa su una catena ininterrotta di papi e vescovi, che inizia da San Pietro e continuerà fino alla fine dei tempi (cfr. la quarta nota della Chiesa, ossia l’Apostolicità). Ma se un papa perde il suo pontificato, ci mancherebbe un anello in questa catena, che sarà dunque interrotta. La conseguenza ne sarebbe che la Chiesa, anche alla luce di questa dottrina, non esisterebbe più. La dottrina dell’Apostolicità ha una forza particolare contro la tesi dei sedevacantisti, poiché se hanno ragione loro che la Sede romana sia vacante da alcuni anni, ed anzi, secondo parecchi loro, già dalla morte di papa Giovanni XXIII, ci saranno pochi cardinali o vescovi validi in vita e dunque l’apostolicità della Chiesa mancherebbe anche largamente dentro la gerarchia.
Un determinato gruppo di sedevacantisti suole rispondere con la ‘Tesi di Cassiciacum’, cioè che un papa possa essere papa in due sensi diversi: i) in atto e formalmente (il senso pieno); o ii) in potenza e materialmente (il senso parziale). Papa Pio XII lo sarebbe stato nel primo senso ad esempio, e papa Francesco lo sarebbe nel secondo senso. Essere papa nel secondo senso significa esserlo per alcuni effetti pratici; e per altri effetti pratici, invece, no: significa essere papa come capo visibile della Chiesa ed anello nella catena apostolica per esempio, ma non come posseditore del potere di giurisdizione pieno e supremo su tutta la Chiesa in materia di disciplina e governo.
Questa risposta, però, non è sostenibile, poiché per essere capo visibile della Chiesa, si deve esserlo in senso vero e proprio, che comprende il potere di giurisdizione pieno e supremo su tutta la Chiesa in tutti i modi, assieme a tutte le altre proprietà del Sommo pontefice. Altrimente si è solo capo apparente della Chiesa e non il capo visibile della Chiesa.
Similmente per essere anello nella catena apostolica si deve esserlo in senso vero o proprio: non basta esserlo solo in modo materiale come lo sono i vescovi ortodossi, che non lo sono nel senso richiesto per la successione apostolica, vale a dire nel senso legittimo.
Inoltre rispetto all’anello nella catena apostolica, si può dire con il giornale antimodernista Sì sì no no (15 novembre 2013, cfr. anche 30 settembre 2012) che quando un papa materiale muore senza esser ‘passato in atto’, lui è figuratamente come un ferro dissolto: l’anello non era mai esistito e non pùo più esistere neanche.

Conclusione
Abbiamo detto che il Sedevacantismo è una posizione pericolosa, perché nel senso pieno del termine comprende un atto di distacco da un papa apparente. Se codesta persona è davvero papa, l’atto di distacco costituerà un atto di scisma che mette il soggetto fuori della Chiesa, così che se muore senza pentirsene, si dannerà. Per questo, un sedevacantista deve dimostrare il suo caso incontrovertibilmente prima di staccarsi dal papa apparente.
Rispetto a papa Francesco deve dimostrare tre fatti: che lui sia eretico; che abbia ipso facto perso il pontificato; che ciò non avesse causato la defezione della Chiesa. Lunge di essere una dimostrazione incontrovertibile si rivela in effetti come una tesi del tutto insostenibile. Il primo fatto non ottiene; il secondo gode di nessuna autorità sostanziosa; il terzo non ottiene neanche.
Il Sedevacantismo è una posizione meno logica che psicologica. Si apoggia su constatazioni come: ‘Non posso credere che un vero papa farebbe così!’ Comunque non ci possiamo lasciare condurre dalle emozioni, soprattutto in una materia che tocca la nostra salvezza eterna: bensì piuttosto dalla ragione illuminata dalla Fede. Così riconosceremo papa Francesco come il vero papa, ci sottometteremo a lui, e pregheremo che agirà come papa nel modo che Dio vuole: per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime, anche delle nostre. Amen.

La Chiesa in sintesi

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

I.   LE QUATTRO NOTE

Ora, vi sono quattro ‘note’ o qualità che appartengono essenzialmente alla Chiesa di Cristo, che la distingue da tutte le altre comunità cristiane, e queste sono la sua Unità, Santità, Cattolicità, ed Apostolicità – come professiamo nel credo: credo in unam sanctam, catholicam, et apostolicam Ecclesiam.

UNA

La Chiesa è una in un doppio senso: È una nel senso che ella è unica: unica in quanto non vi sono altre chiese al di fuori della Chiesa cattolica. Le istituzioni che vengono chiamate “La chiesa protestante” e “ortodossa”, o “le Chiese protestanti” e “ortodosse” non sono in verità chiese, ma delle comunità di persone non sottomesse al papa, che professano, fino ad un certo grado, gli articoli della Fede cattolica.

La Chiesa è una anche nel senso che costituisce un’ unità in se, un’unità triplice, secondo la quale tutti i suoi membri professano la stessa Fede, partecipano agli stessi sacramenti, e sono sottomessi allo stesso papa. L’unità è fondata sul papa: la roccia che è Pietro, il capo visibile della Chiesa. Senza questo fondamento la Chiesa sarebbe una semplice somma di diverse parti (per esempio le parrocchie), tra le quali non vi sarebbe nessun vincolo di comunione.

SANTA

In quale senso la Chiesa è santa? È santa nel suo Capo invisibile Che è Cristo e nella sua anima Che è lo Spirito Santo. È santa nelle sue origini del costato aperto del Cristo morente in croce; è santa nel possesso di tutti i mezzi di santificazione, cioè la dottrina e i sacramenti; è santa nel suo fine: la glorificazione di Dio mediante la santificazione degli uomini. È altrettanto santa nella Fede, nella Speranza, e nella Carità soprannaturale dei suoi membri.

La proposizione che la Chiesa sia peccante, ecclesia peccatrix, è pura eresia. I fedeli che hanno commesso peccato mortale fanno ancora parte della Chiesa, ma non sul livello morale – cioè con i loro peccati – e dunque non rendono la Chiesa peccatrice. Fanno parto della Chiesa piuttosto 1) sul livello corporeo, ossia con i loro corpi, e 2) sul livello sovrannaturale – in virtù della loro Fede, Speranza, del loro Battesimo e delle grazie che possono possedere.

CATTOLICA

Dire che la Chiesa è cattolica significa che forma una totalità. La parola proviene dal greco holos – tutto. Questa totalità può essere intesa in diversi modi: riguardo alla totalità delle Verità ed alla totalità dei mezzi della salvezza che la Chiesa possiede; riguardo al comandamento del Signore di andare in tutto il mondo per annunziare il Vangelo a tutti gli uomini e per battezzarli tutti; come anche riguardo alla donazione totale di se stesso alla quale il Signore ci chiama: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, e con tutta la tua mente.

APOSTOLICA

La Chiesa è apostolica secondo le sue origini, particolarmente tramite l’apostolo san Pietro con il suo primato d’autorità e l’apostolo san Paolo con il suo primato dell’evangelizazzione; è apostolica secondo la sua dottrina che proviene dagli Apostoli ed anche secondo la successione apostolica, in quanto l’ordinazione sacerdotale ed episcopale provengono in una catena ininterrotta da san Pietro.
Osserviamo che i protestanti non hanno né la dottrina degli Apostoli, né la successione apostolica; gli ortodossi hanno la dottrina degli Apostoli (più o meno) e la successione apostolica, ma ne manca la legittimità.

*

La Chiesa di Cristo è dunque la Chiesa che è una, santa, cattolica, ed apostolica.

Concludiamo con due concetti importanti che riguardano la Chiesa: il primo è quello del Corpo Mistico.

II.   IL CORPO MISTICO DI CRISTO

Pio XII, nella sua enciclica “Mystici Corporis”, insegna che la descrizione della Chiesa come Corpo mistico di Cristo è la descrizione la più adatta di essa. L’elemento corporeo e visibile di questo corpo è la comunità dei fedeli che professano la stessa fede, ricevono gli stessi sacramenti, e che sono sottomessi alla stessa autorità. L’elemento spirituale ed invisibile, invece, si trova nel suo fine, (cioè la glorificazione di Dio mediante la santificazione e la beatitudine eterna degli uomini), altrettanto nella verità, nella grazia, e nel suo capo invisibile che è Cristo e nel suo principio vitale interiore che è lo Spirito Santo.

III.   EXTRA ECCLESIAM NON EST SALUS

Guardiamo finalmente il dogma che al di fuori della Chiesa non vi è salvezza: Extra ecclesiam non est salus. Questa dottrina si riferisce a colui che colpevolmente è al di fuori della Chiesa e che l’ha respinta.

Colui, d’altra parte, che senza propria colpa non fa parte della Chiesa, non avendone mai sentito parlare ad esempio, ma tuttavia vivendo secondo la sua coscienza, può essere salvato. La sua salvezza ne conseguirà non immediatamente, però, come conseguenza immediata di una buona vita, ma mediatamente: tramite la Fede e la Grazia che vengono esclusivamente dalla Chiesa e che sono necessarie per la salvezza. San Tommaso d’Aquino argomenta che Iddio illuminerà la persona che vive secondo la sua coscienza, inviandole un predicatore o un angelo ad esempio per illuminarla sufficientemente per credere, e per portarlo al battesimo, almeno in desiderio.

*

Carissimi fedeli, bisogna conoscere la Chiesa nella sua vera identità: come una, santa, Cattolica, ed apostolica, il Corpo mistico di Cristo, e l’unico mezzo di salvezza. Non è il nostro compito di inventare una nuova Fede a riguardo, seguendo la corrente di moda di una perversa generazione, o provando a far piacere a tutti. Il nostro compito piuttosto è di accettare in tutta umiltà cio’ che la stessa Chiesa ci insegna su se stessa da due mille anni. Bisogna essere fieri e profondamente grati di professare questa Fede e di essere membri della Chiesa cattolica, che è quella barca che sola sopravivrà l’inondazione, quella barca che solo contiene tutto cio’ è necessario per attraversare il mare amaro e pericoloso di questo mondo, e che solo ci puo’ portare, sotto la protezione della Stella Maris, la Beatissima e sempre Vergine Maria, al littore della Patria celeste. Amen.

La Divina Misericordia

Oggi è la Domenica in Albis, il Papa Giovanni Paolo II ha dato la possibilità
dell’Indulgenza plenaria in questo giorno dedicato alla Divina Misericordia, per
coloro che hanno fatto la Novena alla Divina Misericordia che termina oggi.
Dunque le condizioni sono come al solito: la Santa Comunione oggi nello stato
di grazia e la Confessione oggi o durante la settimana scorsa, oppure in questa
settimana e, naturalmente, l’orazione ad mentem Summi Pontificis che sono
un Pater un Ave e un Gloria.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Carissimi fedeli, in questo santo tempo di Pasqua dobbiamo tenerci
continuamente davanti agli occhi la Misericordia di Dio perché la Crocifissione
nell’ombra della quale ci riposiamo è la sua espressione definitiva.
Cosa è precisamente la Misericordia di Dio? ci chiediamo oggi. Può essere
descritta come l’Amore di Dio verso le sue creature bisognose. Quando
riflettiamo un attimo vediamo che siamo nel bisogno costante in ogni senso:
senza Dio non potremmo continuare nell’essere ma cadremmo tutti nel niente;
senza il Cibo e la Bevanda che ci provvede Lui non potremmo sopravvivere;
senza i Sacramenti, il Battesimo e la Confessione in particolare, saremmo tutti
condannati all’Inferno; inoltre siamo ignoranti, fallibili, e vulnerabili nel corpo e
nell’anima, ma Dio ci ama e si occupa di noi. La Sacra Scrittura non mette
nessuna qualità di Dio in più grande evidenza della Sua Misericordia.

Nell’Antico Testamento si legge, per esempio nel Salmo 118 “Della Tua
misericordia, Signore, è piena la terra”. Nel Nuovo Testamento si legge l’amore
di Dio, quanto ai nostri bisogni materiali, per esempio nella parabola dei gigli e
dell’erba del campo (Lc.12,27-28); si legge l’amore di Dio quanto alle nostre
sofferenze nella parabola del buon samaritano (Lc.10,25-37), e quanto ai
nostri peccati nella parabola del Figliol prodigo (Lc.15,11-32).

Questa Misericordia di Dio è già manifestata nell’Antico Testamento nella
persona del Padre amorevole, ma raggiunge il suo colmo, si può dire, nella
Persona di nostro Signore Gesù Cristo +. Dio Padre non può sentirela
Misericordia perché solo un corpo può sentire, mentre il nostro Signore Gesù
Cristo Che ha non solamente una natura divina ma anche la natura umana che
comprende un corpo, può sentire la Misericordia, ossia, nel Suo Sacratissimo
Cuore, paziente e di grande misericordia, come preghiamo nelle Litanie del
Sacro Cuore: ” Cor Iesu, pàtiens et mùltae misericòrdiae”.

Quando pensiamo alla Misericordia di Cristo, pensiamo spesso al Suo Sacro
Cuore o a Lui come il Buon Pastore, come nel brano seguente di San Matteo: ”
Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come
pecore senza pastore” (Mt.9,36). Ma l’espressione definitiva della Misericordia
di Dio, come già accennato, è la Crocifissione stessa. Qui viene espressa sia la
Misericordia di Dio Padre, sia la Misericordia di Dio Figlio.

Quanto alla prima scrive San Giovanni: ” Dio infatti ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma
abbia la vita eterna” (Gv.3,16), quanto alla seconda scrive: ” Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv.15,13). Se
vogliamo dunque conoscere la Misericordia di Dio, guardiamo e meditiamo la
Croce.

Ma se guardiamo la Croce, se la meditiamo anche per un attimo di tempo,
conosciamo non solo la Sua misericordia ma anche la nostra miseria, perché il
corpo che vediamo davanti ai nostri occhi, dovrebbe essere proprio il nostro
corpo, perché Cristo ha sofferto ed è morto in un nostro corpo umano, nella
nostra stessa condizione umana. Dobbiamo quindi essere riempiti di umiltà e di
un senso profondissimo della nostra miseria, della nostra indegnità, un
autentico senso di pentimento, di compunzione, e di gratitudine senza fine, e
dobbiamo implorare incessantemente giorno e notte la Sua misericordia.

Quando ci accorgiamo della Sua Maestà e della Sua bontà; quando ci
accorgiamo della nostra miseria, dei nostri limiti, delle nostre debolezze;
quando pecchiamo e quando soffriamo; dobbiamo implorare la Sua
misericordia.

Quando ci accorgiamo dei limiti anche degli altri; quando siamo tentati a
pensare che siamo qualche cosa mentre non siamo che niente; quando
riusciamo e quando non riusciamo; quando lavoriamo di giorno o quando ci
svegliamo di notte, sempre dobbiamo pregare: “Dio mio abbi pietà di me e del
mondo intero; Gesù Cristo Figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore”.
Però se vogliamo godere della Sua misericordia bisogna non solo implorarla
ma anche vivere secondo la Sua volontà. La Santissima Vergine esclama nel
Magnificat: … di generazione in generazione la Sua misericordia si stende su
quelli che lo temono.

Più precisamente possiamo dire che bisogna essere misericordiosi per godere
della Sua misericordia. La Preghiera che Cristo stesso ci insegnò lo specifica:
“rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori…” e San
Giacomo ci avverte: ” il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà
usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio
(Gc.1 13).

Meditiamo dunque la Croce e la Misericordia di Dio che la esprime,
riconosciamo il nostro nulla, abbiamo misericordia degli altri e imploriamo
incessantemente il frutto della Misericordia su di noi e sul mondo intero.
Amen.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Il matrimonio secondo la dottrina di Trento

joseph-mary-marriage+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il matrimonio è di due generi: il matrimonio come istituzione naturale, e il matrimonio come sacramento. Il matrimonio come istituzione naturale, o il matrimonio naturale, è quello di cui gode ogni coppia legittimamente sposata, se i coniugi non sono entrambi battezzati, od essendo per esempio ebrei, musulmani, buddhisti, o non professando nessuna religione. Al matrimonio sacramentale hanno accesso, invece, solo la coppia di cui tutti e due i membri sono battezzati. Siccome la Grazia suppone e perfeziona la natura in genere, così anche qui. Procediamo esponendo prima il primo genere di Matrimonio, poi il secondo.

I  Il Matrimonio come Istituzione Naturale

Il matrimonio fu istituito da Dio nel Paradiso terrestre per due finalità, che sono espresse in due passi della Genesi. La prima finalità è espressa nel primo capitolo della Genesi (vv. 27-8) con le parole: “Maschio e femmina li creò e li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”; la seconda finalità è espressa nel secondo capitolo della Genesi (vv. 18-24) con le parole: “L’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio… gli tolse una delle costole e formò la donna… per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”.

1) Le Finalità del Matrimonio

In conformità a questi brani della Sacra Scrittura, la Santa Chiesa Cattolica insegna che la prima finalità del matrimonio è la procreazione (ed educazione) dei figli; la seconda finalità è l’assistenza reciproca tra gli sposi.

La prima finalità del Matrimonio è la procreazione. Questo spiega perché la Chiesa ha sempre opposto la contraccezione e predicato uno spirito di generosità alle coppie cristiane quanto al numero dei loro figli.

La seconda finalità è l’assistenza reciproca degli sposi, che si descrive anche come “amore matrimoniale”. Essa può essere intesa come un tipo di amicizia profonda e duratura, che tipicamente, ma non essenzialmente, possiede un aspetto sessuale. L’aspetto sessuale viene descritto a sua volta come remedium concupiscientiae. Ciò significa che l’esercizio della sessualità è lecito ed onesto nel matrimonio, anche se il Peccato Originale l’ha staccata, insieme ai sensi ed alle emozioni, dal controllo completo della ragione, e perciò l’ha disordinata.

Il remedium concupiscientiae è espresso da San Paolo (I Cor.7,2) con le parole “Per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito”. Il remedium concupiscientiae viene considerato come parte della seconda finalità del matrimonio, anche se classicamente fosse considerato come terza finalità, una finalità che si è aggiunta al Matrimonio dopo il Peccato Originale. Inoltre, a queste due (o tre) finalità, il matrimonio ha due proprietà: l’indissolubilità e l’unità.

2) Le Due Proprietà del Matrimonio

Per comprendere cosa sono queste due proprietà, si deve sapere che col consenso reciproco di un uomo ed una donna capaci di sposarsi legittimamente, viene in esistenza tra loro un legame (o vincolo) spirituale, che costituisce l’essenza propria del Matrimonio.

Questo legame è indissolubile nel senso che non viene sciolto che dalla morte stessa. Ciò è espresso da nostro Signor Gesù Cristo con le parole (Mt.19, 6): “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”.

L’indissolubilità del legame preclude il divorzio. La Chiesa può invece concedere la separazione fisica per parecchi motivi, rimanendo salvo il legame, e può anche dichiarare nullo un matrimonio (per mancanza di legittimità ad esempio). Tale dichiarazione non è comunque una forma di divorzio, bensì la semplice dichiarazione da parte della Chiesa che il matrimonio non è mai esistito.

Il legame è unico, invece, nel senso che unisce due persone sole. Ciò è espresso dal Signore con le parole (Mt.19, 5) con cui Si riferisce al sopracitato passo della Genesi: “Non sono più due, ma una carne solo”.

II   Il Matrimonio come Sacramento

Ecco, secondo la dottrina cattolica, i fini e le proprietà del matrimonio come istituzione naturale. Questa istituzione naturale fu elevata da nostro Signore Gesù Cristo ad un sacramento. Come tale acquista tre caratteristiche ulteriori: la prima, l’educazione di un popolo per il servizio e culto del vero Dio e di Cristo nostro Salvatore; la seconda, il segno dell’unione tra Cristo e la Sua Chiesa; la terza, il segno e il dono della Grazia.

1) l’Educazione

Osserviamo che l’educazione dei figli è una conseguenza della procreazione, cioè della prima finalità del matrimonio, e che questa educazione è soprattutto un’educazione morale e spirituale. Nel caso del matrimonio sacramentale, l’educazione morale e spirituale che i genitori devono inculcare nei loro figli è chiaramente quella che corrisponde alla Fede cattolica.

2) il Segno dell’Unione tra Cristo e la Sua Chiesa

Il catechismo di Trento spiega che il matrimonio è segno dell’unione intima tra Cristo e la Sua Chiesa (cf. Ef.5.32), e del Suo amore immenso per noi. Il fatto che il legame matrimoniale è il più stretto di tutti i rapporti umani e coinvolge il più grande affetto ed amore, lo rende il segno più adatto di questa unione.

L’unione tra Cristo e la Sua Chiesa ha due altri significati per il Matrimonio. Il primo, come insegna il catechismo di Trento, è che l’amore matrimoniale sia speciale, santo, e puro; il secondo è che il marito sia il capo della moglie come Cristo è Capo della Chiesa. Per questo motivo il marito deve amare la sua moglie, e la moglie amare e rispettare il suo marito: “Cristo ha amato la Sua Chiesa”, spiega San Paolo, “e si è dato per Lei” (Ef. 5,25), e “la Chiesa è soggetta a Cristo” (Ef.5,24).

Si osserva però che l’autorità cristiana non è egoista, ma è una questione di servizio e devozione secondo l’esempio del Figlio dell’Uomo Che venne non per essere servito ma per servire.

Il catechismo di Trento insegna che il marito deve trattare sua moglie con generosità ed onore: lei è la sua compagna come Eva lo fu per Adamo. Lui deve guadagnare per la famiglia e mantenerla in ordine, anche nel senso morale. La moglie, invece, deve obbedire al suo marito, possedere “l’incorruttibilità di uno spirito quieto e mite” (nelle parole si San Pietro), educare i figli, occuparsi della casa, ed amare e stimare il suo marito sopra ogni altro dopo Dio.

3) Il Segno e Dono della Grazia

Come abbiamo fatto notare all’inizio di questa sezione, il matrimonio, quale sacramento, significa e conferisce la Grazia; conferisce sia la Grazia santificante che quella sacramentale. Il concilio di Trento dichiara (S.XXIV): “Mediante la Sua Passione, Cristo, l’Autore e Perfezionatore dei venerabili sacramenti, meritò per noi la Grazia che perfeziona l’unione naturale (tra gli sposi), conferma la loro unione indissolubile, e li santifica”.

Riguardo a questa terza caratteristica del sacramento del matrimonio ricordiamo che Dio elargisce la Grazia sacramentale nei sacramenti per compiere i fini per cui li ha istituiti. Dunque, tramite il sacramento del matrimonio, Dio conferisce le Grazie necessarie per procreare ed educare figli, e per l’assistenza reciproca degli sposi. Queste Grazie saranno applicate se gli sposi le pregano, e, possiamo aggiungere, se vivono da buoni cristiani frequentando la santa Messa devotamente e pregando con assiduità.

*

Il catechismo di Trento conclude la sua esposizione sul Matrimonio con le parole seguenti: “Così troveranno che le benedizioni del matrimonio cresceranno quotidianamente con l’abbondanza della Grazia divina; e vivendo nella ricerca della pietà, non solo passeranno questa vita in pace e tranquillità, ma anche si riposeranno nella vera e ferma speranza (che non confonde) di arrivare tramite la bontà divina al possesso di quella vita che è eterna.” Amen.

Il senso mistico della Santa Messa

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.  Amen.

Oggi parlo della Santa Messa, del suo carattere sacrificale, secondo gli scritti di Padre Martin von Cochem ed altri.

Come dico spesso, la Santa Messa è essenzialmente il Sacrificio del Calvario. Questo si manifesta nelle parole: “sacrificio – oblazione – oblata” pronunciate spesso durante la celebrazione, e nelle genuflessioni, negli inchini e nei segni di croce. Si manifesta anche in modo mistico, come mi accingo ora ad esporre brevemente.

Innanzitutto i paramenti rappresentano i vestiti che il Redentore portava il giorno della Sua morte crudele: l’amitto intorno al collo rappresenta le bende con cui gli occhi del Signore furono coperti; il càmice bianco rappresenta la tunica che Erode mette addosso al Signore per dileggiarLo; il cingolo, il manipolo, e la stola che si porta attorno al collo e si incrocia sul petto, rappresentano le corde con cui il Signore fu legato e trascinato attraverso le strade di Gerusalemme; la casula o pianeta assunta sopra le altre vesti significano il mantello di porpora che portava, quando Pilato Lo presentò al popolo dicendo “Ecce Homo”.

L’Altare sopraelevato con su il Crocifisso rappresenta il monte Calvario. Il Celebrante inizia la Santa Messa con le parole In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti, come per dire: “Opero adesso nell’autorità di Dio Padre di Cui sono Sacerdote, di Dio Figlio in Persona di Cui sono Sacerdote, di Dio Spirito Santo per mezzo di Cui sono Sacerdote; oppure: “Offro il Sacrificio in nome di Dio Padre a Cui lo offro, di Dio Figlio in Cui offro e dello Spirito Santo per mezzo di Cui lo offro”.

Seguono le preghiere ai piedi dell’Altare. Il celebrante si inchina profondamente, ciò significa l’inizio della Passione del Signore nell’Orto del Getsemani, dove sudava sangue e pregava prostrato per terra. Bacia l’Altare che ricorda il bacio perfido del traditore Giuda, dopo il quale il Signore fu consegnato nelle mani dei Suoi nemici.

Lo spostamento del messale significa lo spostamento del Signore da un giudice iniquo all’altro: da Anna a Caifa, da Pilato ad Erode, ed di nuovo da Pilato.

All’Offertorio comincia la parte sacrificale della Santa Messa di per sé, quando il Signore misticamente ed anche Realmente viene sacrificato sull’Altare. Il silenzio ricorda quelle ore terribili quando nostro Signore Gesù Cristo + pendeva in Croce e sopportava in silenzio tutti gli oltraggi della moltitudine giudaica.

I ventotto segni di croce durante il Canone, a parte il loro significato sacramentale, ci ricordano i tantissimi dolori e sofferenze che il Redentore ha subito nella Crocifissione. L’Ostia e il Calice vengono alzati affinché i fedeli possano in un certo qual modo compensare, con l’adorazione amorevole dei loro cuori, le indicibili bestemmie e sofferenze che Egli aveva da sopportare.

Il Pater Noster rompe il silenzio per ricordare ai fedeli le sette ultime parole che il Redentore pronunziò in Croce. La Sua morte viene rappresentata dalla separazione del Sacratissimo Corpo e del Preziosissimo Sangue e dalla frazione dell’Ostia. Il Calice rappresenta il sepolcro; la patena la pietra tombale; il purificatoio, la palla, e il corporale, il lenzuolo di lino in cui il Suo Sacratissimo Corpo fu avvolto quando fu disteso nel sepolcro.

L’atto della Santa Comunione è un ulteriore immagine della Sua sepoltura. In questo momento bisogna aprire il cuore per ricevere il Signore come in un sepolcro: chiudendosi al Mondo e unendosi pii ed incorrotti a Lui, per divenire un luogo di riposo per Colui che morì per amore di noi.

La Benedizione finale col segno di croce ricorda ai fedeli, di nuovo, che ogni benedizione viene dalla morte di Cristo. Il Vangelo di San Giovanni viene pronunziato, e termina con le parole “Deo gratias” per ringraziare Dio che nella Sua infinita misericordia ci ha concesso di assistere ad un Sacrificio così prezioso e così Santo.

I fedeli sono congedati con sentimenti di pietà e di umiltà, come uscendo dallo stesso teatro terribile della Morte del Signore sul monte Calvario, dove avessero preso impegno presso la Madonna e a San Giovanni ai piedi della Croce, di meritare il Cielo tramite il compimento fedele dei doveri del proprio stato di vita e mediante l’accettazione con pazienza di tutte le prove, le ingiustizie, le sofferenze, e le difficoltà di questa vita per amore di Nostro Signore Gesù Cristo + Che ci ha amati a tal punto, e il Quale non potremo mai sufficientemente ringraziare ne ripagare per il Suo sempre ardente amore.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.  Amen.

La santa Messa domenicale

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Se chiedi per caso ad uno storico di raccontarti le cause delle guerre del secolo scorso, lui ti darà delle spiegazioni lunghe e complesse sulla situazione politica e sociologica dell’Europa di allora e rintraccerà questa situazione indietro fino alle sue radici nel passato. Ti parlerà dei grandi personaggi responsabili per gli avvenimenti principali di quelle vaste e tenebrose tragedie.

Ma la vera causa non rientra nelle sue competenze, neanche nelle sue comprensioni, perché la vera causa di queste guerre, anzi di ogni cosa che c’è, è Dio: “omnia quaecumque voluit fecit”: Egli fa tutto ciò che vuole: ogni cosa che c’è è secondo la Sua volontà: o perché Egli lo vuole, o perché Egli lo permette. La sofferenza Egli non la vuole, bensì la permette per un bene più grande. Secondo sant’Agostino la sofferenza è la punizione del peccato, o il mio o quello di altri. Questo vale sia per l’individuo, sia per una moltitudine di persone come nella guerra.

La guerra è dunque la punizione per il peccato, il castigo di Dio per peccati gravissimi, e questa verità viene chiaramente espressa nelle pagine dell’Antico Testamento dove il popolo di Israele subisce le guerre ogni volta che si allontana da Dio. Questa verità viene espressa altrettanto nelle parole di Nostra Signora di Fatima che, quando parla delle guerre del secolo scorso, le dichiarò come la “punizione dei peccati”: ossia per i peccati contro i tre primi Comandamenti che sono l’idolatria, la bestemmia, e la mancanza di santificare le feste.

Tanti milioni di persone ferite, tante uccise, soldati nelle primizie della loro gioventù, cittadini, bambini innocenti, anziani; tante afflizioni, traumi, e tormenti di individui, famiglie, città, nazioni, solo perché l’uomo non voleva adorare né onorare Dio, sia in privato che in pubblico.

Quando dunque qualcuno dice “sono un pò stanco, non ho voglia oggi, tutta la settimana lavoro, domenica farò qualcosa per me”, si ricordi che l’assistenza alla Santa Messa domenicale è un dovere che ci obbliga sub gravi – o in altre parole, la mancanza alla Santa Messa domenicale e alle Sante Messe di precetto, senza motivo adeguato come la malattia, è un peccato mortale.

Abbiamo visto inoltre che questo peccato non ha solo una dimensione individuale, bensì anche una dimensione sociale tale che, con altri peccati immediatamente contro di Dio, è causa dei castighi delle nazioni.

Quando invece un anziano dice “in tutta la mia vita non sono mai mancato alla Santa Messa domenicale – o forse solo una volta quando ero in ospedale”; quando qualcuno parla così, dobbiamo riconoscere che questo è l’atteggiamento giusto che occorre ammirare ed imitare, ma soprattutto riconoscere semplicemente come nostro dovere. Se non abbiamo voglia, non c’entra; andiamo comunque nello spirito di fede, di fiducia, di obbedienza, docilità, ed umiltà.

Dio non ci chiede nulla che non sia giusto, che non sia per il nostro bene: Ricordati di santificare il giorno del sabato: Ricordati – spiega il Catechismo di Trento – perché alla Santa Messa settimanale occorre, per così dire, rendere conto a Dio per la nostra settimana, per il nostro lavoro; Ricordati perché ci saranno tentazioni negli spettacoli e nei giochi da sviarci dal culto e dalla pietà dovuti a Dio.

Il Signore Dio ci comanda di “onorare le feste” o “santificare il sabato” (una parola che significa “cessare”), cioè col riposo dal lavoro e col culto della Religione. Questo terzo Comandamento stabilisce l’espressione esterna e pubblica della adorazione e dell’onore di Dio che vengono comandati in generale nel primo e secondo Comandamento.

L’uomo non è solo spirito bensì anche corpo; non è solo individuo bensì anche membro della Chiesa e dunque deve onorare ed adorare Dio non solo in modo interno, interiore, e privato, ma anche in modo esterno e pubblico.

L’adorazione e l’onore di Dio, nel modo giusto, sono doveri dell’uomo: Perché Dio ha creato l’uomo e a lui ha dato tutto ciò che ha e che è; perché Dio è morto per lui e lo ha redento, e vuole dare tutto a lui, cioè Sé stesso; affinché l’uomo possa essere felice con Lui e riposare in Lui quaggiù, ed in Cielo per tutta l’eternità.

Ma c’è ancora un’ altra cosa: se nostro Signore Gesù Cristo + il Cui Nome sia sempre benedetto, non fosse già stato crocifisso, ma venisse crocifisso domenica prossima in un posto distante di sette minuti, sette ore, o anche sette giorni dalla mia casa, dopo aver bevuto un calice di sofferenze di quantità, profondità, e di intensità da superare assolutamente ogni intelligenza umana, e questo per me, solo per me; andrei o non andrei? Sospirerei e forse direi “non so”? E un protestante, un musulmano, un buddista se avesse la grazia di riconoscere i suoi errori, di capire chi è il Signore e ciò che è la Crocifissione e la Passione di Nostro Signore, non vi andrebbe? E un uomo di buona volontà qualsiasi forse non vi andrebbe anche lui? Carissimi amici, e chi non vi andrebbe se non un uomo completamente privo di buon senso?

E se qualcuno dicesse: “Se vuoi, io posso organizzare che Nostro Signore Gesù Cristo Stesso + venga a te esattamente come era durante la Sua vita terrena. Egli verrà ed io dirò: Ecco! Ecco davanti ai tuoi occhi, uomo povero e misero, degno di niente, degno solo della morte, Ecco il tuo Signore e tuo Dio!” ed Egli entrerà poi nella tua anima e si unirà a te a causa del Suo grande amore per te, e per nessun merito tuo, affinché tu possa essere con Lui e sentire la dolcezza ineffabile della Sua presenza; affinché Egli possa colmare la tua anima con grazie divine e vivere in te con la Sua propria vita divina, Cosa direi? direi forse di no?

Perché, carissimi fedeli, la Santa Messa domenicale ed ogni Santa Messa, non è solo il culto di Dio dovuto dall’uomo, bensì la Crocifissione del Signore, l’unico Sacrificio del Calvario, è l’unione nella Santa Comunione a Nostro Signore Gesù Cristo Stesso: Corpo, Sangue, Anima e Divinità.

Quindi, quando il Re mi invita alle nozze del Suo Figlio, e mi dice: “Ho preparato il banchetto e ciò che tu mangerai è stato ucciso…”, non venga mai detto che io non volessi venire. E se un giorno capitasse che io debba essere presente senza la veste nuziale, ossia senza lo stato di grazia ma in uno stato di peccato mortale, che io non acceda mai a quella santissima tavola…
Amen.

Espiazione

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In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

In questo tempo pasquale proseguiamo la nostra breve serie di meditazioni
sulla Santa Messa.
La Santa Messa essendo il Santo Sacrificio del Calvario, ha quattro finalità:
quella di lode, quella di ringraziamento, quella di espiazione e quella di
supplica.

Guardiamo oggi la natura espiatoria della Santa Messa, la settimana prossima parleremo della sua natura supplichevole.
La Santa Messa è espiatoria nel senso che è un Sacrificio di espiazione,
propiziazione, riparazione per i peccati degli uomini, rimette la loro colpa e le
loro pene, placa l’ira divina (cfr Sofonia 1,15-16) contro di loro. Gli uomini che
ne profittano, ossia che ne traggono benefici, sono sia vivi quanto defunti: i
vivi che hanno peccato e i morti in Purgatorio.

Quale esempio della Preghiera per i vivi prendiamo il Confiteor:
« Confiteor Deo Omnipotenti, beatae Mariae semper Virgini, beato Michaeli
Archangelo, beato Ioanni Baptistae, sanctis Apostolis Petro et Paulo, omnibus
Sanctis et vobis, fratres, quia peccavi nimis cogitatione, verbo et opere, mea
culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Ideo precor beatam Mariam semper Virginem, beatum Michaelem Archangelum, beatum Ioannem Baptistam, sanctos Apostolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos et vos, fratres, orare pro me ad Dominum Deum nostrum. »
Questa Preghiera, come ben sappiamo, viene pronunziata prima dal
celebrante e poi dai fedeli. Nel Rito anteriore alla forma del 1962 viene sempre
ripetuta da tutti e due (celebrante e fedeli) anche prima della Comunione.

La confessione (confiteor) viene fatta non solo a Dio ma anche a tutti i Santi
affinché – nelle parole di Dom Guéranger – “quelli ai quali mi confesso chiedano perdono per me e con me: la Beatissima Vergine Maria, San Michele Arcangelo custode delle anime nostre specialmente in punto di morte, il precursore del Signore San Giovanni Battista, i Principi degli Apostoli Santi Pietro e Paolo e tutti i Santi. Essi sono la mia difesa nella partecipazione dei meriti attraverso la
Comunione dei Santi.”
Il pentimento del peccatore mentre ripete tre volte il “mea culpa”battendosi il petto con la mano, lo mette in disposizione più degnamente di partecipare ai
Sacri Misteri e di ricevere il perdono misericordioso di Dio. Di fatti la preghiera:
“†Indulgentiam, absolutionem et remissionem ” che segue il Confiteor è un
sacramentale che muove Dio ad imprimere nel cuore del penitente, sopra il
quale viene recitata, quel movimento di contrizione sincera che gli merita la
remissione dei suoi peccati veniali; si noti anche che questa Preghiera ha
efficacia bastante per ottenere la remissione dei peccati a chiunque, in pericolo di morte, si trovi nell’impossibilità di fare una Confessione sacramentale.
Le parole dell’assoluzione, secondo un pio autore, risuonano nelle anime
come un indescrivibile sollievo.

Quale esempio di una Preghiera per i Morti prendiamo il Memento dei
Defunti. San Giovanni Crisostomo traccia la Commemorazione dei Defunti fin dai
tempi Apostolici; già dalla fine del secondo secolo ne parla Tertulliano; ed
anche Sant’Agostino parla delle Preghiere per loro al momento del Sacrificio
della Santa Messa.
– Meménto étiam, Dómine, famulórum, famularúmque tuárum qui nos
præcessérunt cum signo fídei et dórmiunt in somno pacis… –“Ricordati anche, o Signore, dei tuoi servi e delle tue serve, che ci hanno preceduti contrassegnati con il segno della fede e dormono il sonno della pace”.

Il segno della fede è il Battesimo, il sonno della pace è la Comunione dei
Santi:- Ipsis, Dómine, et ómnibus in Christo quiescéntibus, locum refrigérii,
lucis et pacis, ut indúlgeas, deprecámur. Per eúmdem Christum Dóminum
nostrum. Amen. –” Ad essi Signore e a tutti quelli che riposano in Cristo, concedeTe Ve ne preghiamo, il luogo di refrigerio, luce e pace. Per il medesimo Cristo, Signore nostro. Amen”.

Il riposo in Cristo significa l’unione delle Anime del Purgatorio a Cristo, come Capo del Corpo Mistico della Chiesa; il luogo di refrigerio, luce, e pace è il Paradiso dove, nelle parole dell’Apocalisse: non c’è ne lacrime, ne gemini ne
afflizioni.

Alla fine di questa Preghiera il Celebrante inchina il capo, un gesto che non è previsto nelle altre Orazioni perché è come una istanza maggiore – spiega Dom Guéranger – sembra che la loro prigione si apra per lasciare penetrare in essa rugiada, luce, e pace: Rugiada negli ardori del fuoco, luce nelle tenebre delle loro sofferenze purgative, pace nel desiderio che interamente le consuma di ricongiungersi a Dio.
In questa istanza, dunque, molte Anime vengono liberate dal Purgatorio e
ammesse in Paradiso, ed altre vengono consolate dalle grazie infinite del Santo Sacrificio della Messa.

Il Celebrante rompe il silenzio del Canone con una Preghiera per noi, miseri
peccatori: “Nobis quoque peccatóribus fámulis tuis, de multitúdine
miseratiónum tuárum sperántibus….” / ” Anche a noi peccatori, Tuoi servi, che
riponiamo la nostra fiducia nella Tua infinita misericordia….”, ricordando che
un giorno saremo, probabilmente, anche noi gli abitatori di quei luoghi
tenebrosi, di sofferenza, colmi di debolezze che siamo in questa vita e
circondati dai pericoli, e così la luce celeste che si versa sul Purgatorio si
riversa anche su di noi.

Così la luce celeste si versa dunque dalle sacre Piaghe del Signore, tre volte
Benedetto, sulle tenebre del Purgatorio e le tenebre di questo mondo
passeggero e decaduto, per purificarci dei nostri peccati e per avvicinarci a Lui che è la fonte e il Padre delle luci, come abbiamo sentito nell’Epistola di oggi di San Giacomo (1,17-21), presso cui non c’è mutamento né ombra di variazione.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Impetrazione

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In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Nel Vangelo odierno nostro Signore Gesù Cristo + dice:” Se chiederete
qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà …” (Gv.16,23-30), questo però
è precisamente ciò che facciamo nella Santa Messa quando preghiamo a Dio
Padre per “Christum Dominum nostrum”.

Cogliamo dunque l’occasione per meditare oggi sulla quarta finalità della
Santa Messa che è quella dell’impetrazione, o petizione, assieme alle grazie
che ne risultano. Questo lo facciamo in rapporto particolare al rito romano
antico stabilito e codificato da San Pio V di cui oggi celebriamo la Festa.

Tre sono, dunque, le categorie di persone che approfittano, ossia beneficiano,
del Sacrificio della Santa Messa:
1) prima la Santa Chiesa Cattolica, la Chiesa Trionfante cioè gli Angeli e i Santi
del Paradiso nel cui onore viene offerta la Santa Messa, come prega il
Celebrante nell’Offertorio; la Chiesa Purgante, cioè le Anime del Purgatorio che
ricevono consolazioni ed anche liberazione dalle loro sofferenze; e la Chiesa
Militante, cioè noi battezzati sulla terra a cui viene elargita la divina grazia per
la loro battaglia contro il male.
2) La seconda categoria è quella delle intenzioni speciali del Celebrante che lui
ricorda soprattutto nel “memento dei vivi e dei morti”. Queste sono le
intenzioni per i membri della Chiesa, ma il celebrante può aggiungere altre
intenzioni per altre persone non membri della Chiesa, o per qualsiasi altra
intenzione, quale per esempio la conversione di una determinato peccatore.
3) La terza categoria è il Celebrante stesso con i fedeli che sono presenti,
questa categoria viene espressa con le parole: “tutti i circostanti”, e “nobis
quoque peccatoribus”. Dunque solo essendo presenti alla Santa Messa
riceviamo grazie.

Su tutte queste tre categorie di persone, dunque, le grazie di Dio saranno
elargite in abbondanza tramite il Santo Sacrificio della Messa.

La Santa Messa viene offerta in primo luogo per i membri della Chiesa, in
secondo luogo, come abbiamo visto, anche per altre intenzioni del celebrante,
come anche dei fedeli presenti.

Queste intenzioni sono sia per i beni sovrannaturali: la santificazione, la
salvezza delle anime e la stessa gloria di Dio; sia per beni naturali e temporali,
se sono compatibili con quelli sovrannaturali. Non c’è dono né grazia così
grande che non si possa chiedere mediante la Santa Messa, poiché ciò che
chiediamo è creato e finito, ma ciò che offriamo è divino. Dice Padre M.
Cochem: “è impossibile che Dio generoso che vuole ricompensare anche una
bevanda di acqua fresca (cfr. Mt.10,42) non ci lascerà senza compenso se Gli
offriamo con riverenza il Calice del Sangue del Suo Figlio Divino”.

Avendo parlato dei frutti del Santo Sacrificio della Messa, carissimi fedeli
vogliamo guardare adesso ai frutti del Sacramento in particolare, cioè la Santa
Comunione. Innanzi tutto notiamo che solo i cattolici (come dico sempre prima
della predica) nello stato di grazia possono ricevere beneficio dalla Santa
Comunione.

Un primo frutto di questa è che ci unisce a Cristo, e dunque ci da, o ci
aumenta, la divina grazia, le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo, come
dichiara il sacro Concilio di Firenze (1431) “ci nutrisce spiritualmente
sostenendo, aumentando, riparando e dilettandoci in modo spirituale”.
Il sacro Concilio di Trento (1545) descrive la Santa Comunione similmente
come “cibo delle anime con cui siamo nutriti e confortati, vivendo della vita di
Colui che disse: “colui che mangia di me, vivrà per me” “(Gv.6,57).

Un secondo frutto della Santa Comunione è che ci ottiene la gloria eterna. Il
Concilio di Trento dichiara: “Egli voleva che fosse un pegno della nostra futura
gloria e perpetua felicità”. Qua possiamo citare di nuovo San Giovanni nel
capitolo 6 “se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno”. La ragione per la
quale la Santa Comunione ci ottiene la gloria eterna è che contiene il nostro
Signore Gesù Cristo, Che ci da la gloria.

La Santa Comunione è un cibo che conforta l’anima proprio affinché possa
perseverare fino a quando otterrà questa gloria. Un modo che conforta l’anima
e che la rende forte contro le tentazioni, e San Giovanni Crisostomo scrive a
riguardo che la Santa Comunione, essendo un segno della Passione del
Signore, respinge gli attacchi dei dèmoni perché sono stati vinti dalla stessa
Passione.

Un terzo frutto della Santa Comunione è che rimette i peccati veniali e la loro
pena, come dichiara Benedetto XII col suo libello agli Armeni, e altrettanto il
sacro Concilio di Trento. La Santa Comunione ha questi effetti in quanto
aumenta in noi la vera carità.

Ora, il frutto che viene ricevuto dalla Santa Messa e dalla Santa Comunione,
dipende dalle disposizioni del celebrante, dei fedeli che sono presenti, e le
persone per cui il frutto viene richiesto: dipende ciòè dal grado di devozione del
celebrante, dei fedeli presenti e comunicanti, e dall’apertura alla grazia delle
persone beneficiare a ricevere la grazia; è naturale che più grande sarà la
devozione, più grande sarà il beneficio.

Concludiamo queste considerazioni con una citazione dell’Imitazione di Cristo
che esprime con parole sublimi la devozione della persona che si accosta alla
Santa Comunione. Viene dal IV Libro capitolo 17 e la cui lettura raccomando
tutti, citando oggi solo l’inizio:

” Con devozione grandissima e con ardente amore, con tutto lo slancio di un
cuore appassionato, io desidero riceverVi, o Signore, come Vi desiderarono,
nella Comunione, molti santi e molti devoti, a Voi massimamente graditi per la
santità della loro vita e per la loro infiammata pietà. O mio Dio, amore eterno
che siete tutto il mio bene, la mia felicità senza fine, io bramo riceverVi con
intenso desiderio e con venerazione grandissima, quale mai poté avere o
sentire santo alcuno. Anche se non sono degno di sentire tutta quella
devozione, tuttavia Vi offro tutto lo slancio del mio cuore, come se io solo
avessi tutti quegli accesi desideri, che tanto Vi sono graditi. Ché anzi, tutto
quel che un animo devoto può concepire e desiderare, tutto questo io lo porgo
e lo offro a Voi, con estrema venerazione in pio raccoglimento. Nulla voglio
tenere per me, ma voglio immolarVi me stesso e tutto quello che ho, con scelta
libera e altamente gioiosa”.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Le quattro note della Chiesa

Catechesi.co

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Il simbolo niceno-costantinopolitano professa dogmaticamente ed infallibilmente: Credo unam, sanctam, catholicam, et apostolicam Ecclesiam. Il Santo Uffizio sotto il beato Pio IX dichiara a riguardo nell’anno 1864: “La vera Chiesa di Cristo è determinata e definita nella sua essenza sulla divina autorità mediante il segno quadruplo che professiamo nel Credo come oggetto della Fede.” Questo segno quadruplo viene definito in termini di quattro ‘note’, ossia caratteri visibili, della Chiesa, cioè: Unità, Santità, Cattolicità, ed Apostolicità. Un’analisi delle note (soprattutto della prima) ci mostrerà in seguito che nessun altra sedicente chiesa può pretendere di essere la vera Chiesa di Gesù Cristo.
Cominciamo esponendo la sua unità.

L’Unità della Chiesa

1. L’Unità come nota della Chiesa

Il simbolo professa l’unità come prima nota della Chiesa: “Credo unam… ecclesiam”. Ci chiediamo inanzitutto in quale senso la Chiesa è una.

Il Concilio Vaticano I dichiara (S.4, Pastor Aeternus): “Affinché la moltitudine universale dei fedeli rimanesse conservata nell’unità della fede e della comunione [il Signore] ha posto San Pietro come capo degli altri apostoli ed istituì in lui il principio perpetuo ed il fondamento invisibile della doppia unità”.

Vediamo qui che la Chiesa è una in due sensi, che c’è una doppia unità: l’unità della Fede e l’unità della communione.

L’unità della Fede consiste nel fatto che tutti i membri della Chiesa aderiscono alle verità della Fede proposte a loro dal magistero perenne della Chiesa: che le credano internamente (almeno in modo implicito) e le professino esternamente.

L’unità della comunione invece consiste nell’unità di governo: in primo luogo la sottomissione di tutti i membri della Chiesa all’autorità dei vescovi e del Papa, ed in secondo luogo l’unità di culto che assicura il collegamento tra di loro dei membri della Chiesa tramite i sacramenti.

Il Papa è il principio ed il fondamento di questa doppia unità. Come Sommo Docente garantisce l’unità della Fede; come Sommo Pastore garantisce l’unità di comunione.

L’unità della Chiesa viene espressa dalle parole del Signore Stesso. Lui esige l’unità della Fede quando dà il mandato agli apostoli di evangelizzare tutte le nazioni, e comanda che tutti gli uomini accettino la Fede incondizionatamente (alla fine del vangelo di San Matteo e di San Marco). Egli esige l’unità della comunione quando prega al Padre per l’unità degli apostoli e dei futuri fedeli: (Gv.17.20) “Non prego solo per questi ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in Me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in Me ed io in Te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che Tu Mi hai mandato.”

Ribadiamo a questo punto che l’unità di cui si tratta qui fa parte dell’unità di comunione propria alla Chiesa cattolica: la sottomissione di governo e l’unità di culto. Non si tratta dell’unità che unisce tutti i cristiani di tutte le confessioni – il loro denominatore comune più basso, come vedremo più avanti.

San Paolo rappresenta l’unità della Chiesa colle immagini di una casa e di un corpo umano, ed accenna alla sua doppia unità nelle seguenti parole: “Un solo corpo ed un solo Spirito… un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio, padre di tutti…” (Ef.4.4-6).

San Paolo aggiunge un aspetto morale all’unità di comunione: “Vi esorto… a comportavi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine, e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace.” (Ef.4.1-3)

Lo stesso Apostolo ammonisce contro i due mali che distruggono l’unità della Chiesa: l’eresia che distrugge l’unità della Fede e lo scisma che distrugge l’unità della comunione.

Ammonisce contro l’eresia con la parola: “Dopo una o due ammonizioni sta’ lontano da chi è fazioso” (Tit.3.10), ed ammonisce contro lo scisma con la parola (I Cor. 1.10) : “Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo ad essere tutti unanimi nel parlare perché non vi siano divisioni tra di voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di intenti.”

La prima nota della vera Chiesa di Cristo è la sua unità, dunque. Vediamo che questa unità è, sia interna che esterna: in quanto presta alla Chiesa cattolica da un lato la sua integrità, e dall’altro lato la distingue da tutte le altre sedicenti “chiese”. Sì può esprimere l’unità, sia interna che esterna, dicendo che la Chiesa cattolica è allo stesso tempo una ed unica.

2. La nota di unità come criterio di cattolicità

Poiché questa prima nota, la nota dell’unità, è allo stesso tempo così precisa e larga nell’ambito, viene tipicamente applicata, anche senza le altre note, come unico criterio per determinare la cattolicità di una data comunità o persona. In questo contesto si parla piuttosto di un’unità triplice: ossia l’unità di Fede, di governo, e di culto (di cui le due ultime costituiscono insieme, come abbiamo già detto, l’unità di comunione) .

Ora, la nota dell’unità la possiede solo la Chiesa cattolica. Non la possiede la “chiesa ortodossa” e nemmeno la possiede la “chiesa protestante”, né qualsiasi chiesa che si presenta come una delle “chiese ortodosse” o “protestanti”, né qualsivoglia altra chiesa. Non la possiede alcun’altra sedicente chiesa in quanto nessuna di loro possiede insieme l’unità della Fede e l’unità di comunione – che comprende, come abbiamo già spiegato, l’unità di governo (cioè la sottomissione al Papa ed ai vescovi) e l’unità di culto (cioè i sette sacramenti); nessuna di loro possiede il principio ed il fondamento di questa doppia unità che è il papato. Anzi, tutte queste “chiese” sono caratterizzate piuttosto dalla loro divisione in piccoli gruppi innumerevoli: le sétte protestanti e le chiese autocefale ortodosse.

Difatti poiché nessun’altra chiesa ha le caratteristiche della vera Chiesa, è più accurato chiamarle “comunità religiose” e non chiese affatto. Chiamarle “chiese” sostiene la tesi che siano tutte mezzi di salvezza sullo stesso livello della Chiesa cattolica. Questa, però, è un’eresia condannata dal beato Pio IX nell’enciclica Quanto conficiamur moerere e nel Sillabo (n.18).

Nessuna ‘chiesa’ oltre alla Chiesa cattolica possiede la nota dell’unità, dunque. Non è vero neanche che ci sia una chiesa più grande della Chiesa Cattolica che si chiama “la Chiesa di Cristo” che consiste di tutte le confessioni insieme. Poichè anche a questa chiesa mancherebbe la nota dell’unità: non ci sarebbe l’unità di Fede, né di comunione (cioè quanto al governo e al culto), né il principio e fondamento dell’unità che è il Papa. Questo è l’errore a cui abbiamo già accennato, di ispirazione modernista. La sola unità che avrebbe questa chiesa sarebbe l’unità del denominatore più basso di tutte le confessioni: l’unità dei loro “articoli fondamentali” secondo la teologia protestante, ma questa è inconciliabile coll’ unica vera Fede.

*

Preghiamo che tutte le comunità religiose degli scismatici ed eretici tornino all’unione dell’una ed unica Chiesa, la vera Chiesa di Cristo, che è la Chiesa Cattolica. Ringraziamo il Signore che ci ha chiamati a far parte di essa alla gloria del Suo Santissimo Nome e alla salvezza delle nostre anime. Amen.

La Santità della Chiesa

Guardiamo prima la santità della Chiesa e poi il rapporto tra essa ed i suoi membri peccatori.

1. La Santità come nota della Chiesa

La Santità della Chiesa viene espressa in sintesi dall’apostolo Paolo nella sua lettera agli Efesini (5.25-7): “Cristo ha amato la Sua Chiesa e ha dato Sé Stesso per Lei, per renderLa santa, purificandoLa per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la Sua Chiesa, tutta gloriosa, senza macchia, né ruga, o alcunché di simile, ma santa ed immacolata.”

San Pio X spiega nel suo Catechismo: “La Chiesa è santa perché santi sono stati Gesù Cristo, suo Capo invisibile, e lo Spirito Santo che La vivifica; perché in Lei sono santi la dottrina, il Sacrificio, ed i sacramenti; e tutti sono chiamati a santificarsi: e perché molti realmente furono santi, e sono, e saranno”.

Si può esporre questa dottrina sistematicamente nel modo seguente: la Chiesa Cattolica è santa in primo luogo nel suo rapporto con Dio, ed in secondo luogo nel suo fine, i suoi mezzi, ed i suoi frutti.

1) E’ santa nel suo rapporto con Dio poiché è stata fondata da nostro Signore Gesù Cristo Stesso e Ne costituisce il Corpo Mistico, di cui Lui è Capo Invisibile e lo Spirito Santo principio di vita e santificazione;

2) E’ santa nel suo fine che è cioè la gloria di Dio e la santificazione degli uomini;

3) E’ santa nei mezzi con cui ella raggiunge questo fine, che sono cioè le dottrine del Signore: notevolmente gli articoli della Fede, i dieci comandamenti, ed i consigli evangelici; il culto di Dio, sopratutto il santo sacrificio della Messa, e poi i sette sacramenti, i sacramentali, e la preghiera liturgica; le leggi della Chiesa, gli ordini, le congregazioni, e gli istituti; i carismi e le Grazie dello Spirito Santo.

4) E’ santa nei suoi frutti, ossia nella santità dei suoi membri: nel loro possesso dello stato di Grazia, oppure della santità eroica che a nessuna epoca della Chiesa è mai mancata.

La santità della Chiesa come nota, o caratteristica visibile, della Chiesa è chiaramente ristretta alla sua santità visibile, cioè ai punti (3) e (4): la santità dei suoi mezzi e dei suoi frutti in quanto si tratta della santità eroica dei suoi membri.

2. La Santità ed il Peccato

Qual’ è il rapporto tra la santa Chiesa e i peccatori? La Chiesa proclama contro gli errori di Novaziano, Martin Lutero, ed altri, che un cattolico non cessa di essere membro della Chiesa in virtù del peccato mortale (se non lo scisma, l’eresia, o l’apostasia): piuttosto rimane membro della Chiesa come un ramo morto di un albero, fin quando tutti gli ammonimenti siano risultati inutili, cioé fino alla morte. Nostro Signore Gesù Cristo illustra questa dottrina con la parabola della zizzania, della rete che contiene pesci buoni e cattivi, e quella delle vergini prudenti e sciocche.

Ma come può essere santa la Chiesa cattolica se i suoi membri (tranne la Madonna) non lo sono, o non lo sono perfettamente? La risposta è la seguente: la Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo: come tale possiede un aspetto sia fisico sia spirituale. I membri della Chiesa appartengono alla parte fisica della Chiesa in virtù dei loro corpi; appartengono alla parte spirituale della Chiesa in virtù della Grazia: quella del loro battesimo e degli altri sacramenti che hanno ricevuto; quella delle virtù teologali della Fede, Speranza, e Carità; quella del proprio grado di santità.

Appartengono alla parte spirituale della Chiesa in virtù della Grazia dunque, non in virtù della loro condotta morale: delle loro azioni buone, ma anche cattive. Per questo i loro peccati non si attaccano alla Chiesa e non intaccano la santità di Ella.

La Chiesa cattolica è santa. Questo è dogma, cosicché chiamarla ‘peccatrice’ è eresia. I nemici della Chiesa, che la considerano un fenomeno meramente terreno ed una società prettamente umana, le hanno sempre negato la santità.

Perciò osserviamo con allarme misto con indignazione alcuni prelati accennare che la Chiesa sia imperfetta o responsabile di determinati mali, o chiedere perdono al Mondo per i peccati pretesi o putativi della Chiesa. Ci ricordiamo della parola di papa Pio XII a conte Enrico Galeazzi: “Sento intorno a me dei novatori che vogliono …procurare [alla Chiesa] il rimorso per il suo passato storico .”

Qualunque senso cattolico si possa attribuire a questa iniziativa di chiedere perdono per il passato, bisogna dire che è perlomeno umiliante per la Santa Madre Chiesa, ed inoltre imprudente e fuorviante, poiché suggerisce che:

1) la Chiesa sia peccatrice;
2) la Chiesa nella sua realtà transtemporale sia responsabile dei peccati passati dei suoi membri;
3) la Chiesa si sia formalmente impegnata per periodi considerevoli di tempo in attività peccaminose come, secondo i sostenitori di questa tesi, l’Inquisizione e le Crociate;
4) il Mondo a cui si scuserebbe sia un soggetto transtemporale come la stessa Chiesa.

Tutto questo è falso:

1) la Chiesa non è peccatrice, come abbiamo spiegato sopra;
2) la Chiesa nella sua realtà transtemporale è santa, e dunque non responsabile dei mali passati dei suoi membri;
3) la Chiesa non si è impegnata in attività peccaminose, come compiace ai suoi nemici di presentare l’Inquisizione e le Crociate tra l’altro. Queste attività erano buone, anche se talvolta l’occasione di peccati gravi (ma peccati non voluti dalla gerarchia). Sarebbe un peccato proteggere i cristiani dagli attacchi di ‘Isis’?
4) il Mondo non è un soggetto transtemporale, ma consiste solo nell’insieme di tutti i non-cattolici che vivano ad un determinato momento di tempo: dunque non ha senso scusarsi con persone che non sono state offese.

*

Il nostro compito quaggiù è di santificarci, per aumentare, fin quanto possiamo, la Santità della Chiesa, affinché si perfezioni sempre di più ed il Mondo sempre di più si illumini: per la salvezza delle anime e la Gloria di Dio. Amen.

La Cattolicità della Chiesa

La parola ‘cattolico’ viene dal greco kath’holon che significa intero o universale. Si parla della ‘cattolicità’ della Chiesa principalmente in base della sua triplice universalità: spaziale, temporale, e dottrinale. Ciò viene espresso dal mandato del Signore (Mt. 28.20): ‘Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comnadato. Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli.’ Osserviamo qua le parole: tutte le nazioni, tutto ciò che vi ho mandato, tutti i giorni.

La Chiesa è universale spazialmente nel senso che è presente in ‘tutte le nazioni’ ed in ‘tutto il mondo’ (secondo l’espressione parallela di San Marco), ma anche in Purgatorio ed in Cielo (che sono anche loro spazialmente estesi). Questa estensione si può intendere anche in modo sociale, abbracciando tutti gli uomini nel seno della Carità: ‘l’ebreo ed il greco, lo schiavo, il libero, il maschio e la femmina’ (Gal. 3.28).

Ella è universale temporalmente in quanto inizia col sacrificio di Abele e perdurerà fino alla fine dei tempi, e poi eternamente in Cielo.

E’ universale dottrinalmente in quanto, secondo la parola del Signore, lo Spirito Santo, lo Spirito della Verità (Gv. 14.25): ‘vi insegnerà ogni cosa’. San Cirillo di Gerusalemme nelle sue catechesi dice a riguardo che la Chiesa è chiamata cattolica ‘perché insegna tutti i dogmi di cui è utile che gli uomini vengano a conoscenza.’

Si possono distinguere due altri modi particolari in cui la Chiesa è universale, cioè un modo spirituale ed un modo morale.

Lo è spiritualmente in quanto possiede tutti i mezzi della santificazione: soprattutto i sette sacramenti, ma anche, tra l’altro, le sette virtù ed i sette doni dello Spirito Santo, di cui il numero sette significa la totalità. Un sacramento che gode dell’universalità in particolar modo è la santa Eucarestia. Ciò viene celebrata dapertutto nel mondo e lo sarà fino ai fini dei tempi, possiede in sé la fonte di ogni santità, ed elargisce su tutti gli uomini i frutti gloriosi della Morte del Signore.

La Chiesa è universale moralmente in quanto mira alla perfezione: la perfezione della Carità che è la santità: in quanto ha come iscopo che gli uomini amino Iddio con tutto il cuore, con tutta la mente, tutta l’anima, e tutte le forze; che si diano interamente a Lui Che si è dato interamente a loro.

Le sedicenti ‘chiese’ protestanti invece non possiedono l’universalità in alcuno di questi modi: né spazialmente perché non sono estese nel mondo intero; né temporalmente perché esistono solo da qualche secolo; né dottrinalmente poiché si caratterizzano essenzialmente dalla loro negazione di parti della dottrina cattolica; né spiritualmente poiché non possiedono tutti i sette sacramenti; né moralmente poiché, in quanto non possiedono tutti i mezzi di santificazione, non possono raggiungere la santità. Di fatti non pretendono neanche al titolo della cattolicità denominandosi piuttosto o dai loro fondatori, o dalla loro dottrina, o dal luogo che li aveva visti a nascere: così i luterani, i calvinisti, gli anglicani, i metodisti, i quaccheri, i fratelli moravi dimostrano col loro nome la loro origine puramente umana .

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Lo scopo della vita umana non è di fare come ci piace purché evitiamo l’Inferno, bensì di conoscere la Verità intera, approfittare di tutti i mezzi nel nostro potere per santificarci, perfezionarci, e darci interamente a Dio. Questa è la vita cattolica proposta della santa Madre Chiesa a tutti gli uomini in tutti i luoghi del mondo e a tutti i tempi: per accogliere secondo la nostra intera capacità già sulla terra, e poi in modo perfetto, stabile, e definitivo nel Cielo, Colui Che è il Tutto e l’Infinito, la Santissima ed Indivisa Trinità. Amen.

L’Apostolicità della Chiesa

La Santa Chiesa Cattolica è apostolica in tre modi: nelle sue origini, nella sua dottrina, e nella sua successione.

La Chiesa è apostolica:
1.) nelle sue origini in quanto la Chiesa risale agli apostoli;
2.) nella sua dottrina in quanto la Chiesa ha sempre conservato la dottrina a lei trasmessa dagli apostoli;
3.) nella sua successione in quanto tutti i vescovi sono successori degli Apostoli in una catena interrotta per via dell’ordinazione e della consacrazione.

Osserviamo che la Chiesa è apostolica nelle sue origini proprio a causa della sua dottrina e della sua successione apostolica.

San Tommaso fa notare che l’apostolicità della Chiea viene espressa dai dodici basamenti delle mura della Città Santa di Gerusalemme, sopra i quali sono scritti i dodici nomi degli Apostoli (Apocalisse 21.14). Lui spiega che, dopo Cristo, i dodici Apostoli costituiscono il fondamento della Chiesa ed il principio della sua stabilità.

Guardiamo adesso più da vicino i tre modi in cui la Chiesa è apostolica.

1. La Chiesa è apostolica nelle sue origini

La Chiesa è apostolica nelle sue origini in quanto nostro Signore Gesù Cristo trasmise agli Apostoli gli uffici di insegnare, reggere, e di santificare, ed in quanto costituì San Pietro Sommo Docente e Pastore della Chiesa. E’ apostolica altrettanto in quanto Lui intese che questi uffici, con i poteri che ad essi corrispondono, fossero trasmessi ai loro successori, affinché la Chiesa potesse sussistere in modo stabile attraverso i secoli. San Girolamo dice: “La vera Chiesa è colei che fu diffusa dagli Apostoli e che esiste fino ad oggi.”

Le altre sedicenti ‘chiese’ non furono diffuse dagli Apostoli, bensì dagli eretici come Martin Lutero, Enrico VIII, e Calvino. Disse San Franceso di Sales ad un ministro protestante: “Il vostro protestantesimo è ben lungi dall’essere apostolico: è meno vecchio dei nostri formaggi.” La chiesa ortodossa non risale agli apostoli in modo pieno perché, essendo privo dell’ufficio petrino (del Papa) non è la stessa chiesa che fu diffusa dagli Apostoli.

2. La Chiesa è apostolica nella sua dottrina

Il motivo fondamentale per l’aposticilità della dottrina della Chiesa è la sua immutabilità. La dottrina della Chiesa consiste nella Rivelazione (‘il deposito della Fede’) che è contenuta sia nella Sacra Scrittura sia nella Tradizione Orale, che sono le due fonti della Fede. Questo è l’insegnamento del Concilio di Trento ribadito nel Concilio Vaticano I. La Tradizione Orale consiste soprattutto nelle dottrine del Signore agli Apostoli che non furono scritte tra loro, bensì tramandate ai cristiani oralmente ed in modo tale che li obbligasse: “State saldi, fratelli, e mantenete le tradizioni che avete appreso, così dalla nostra parola come dalla nostra lettera” dice San Paolo (Tess. 2.2.14).

Esempi delle dottrine che sono contenute nella Tradizione Orale ma non nella Sacra Scrittura sono che ci sono sette Sacramenti; che si deve santificare la domenica; e che i bambini sono da battezzare. I protestanti che pretendono che la Sacra Scrittura sia l’unica fonte della Fede (ed assieme a loro i Modernisti che vogliono avvicinare la Chiesa cattolica al protestantesimo per motivi a loro meglio conosciuti) non hanno nessun motivo tra l’altro per giustificare la loro pratica di santificare la domenica. La Tradizione Orale fu conclusa alla morte dell’ultimo Apostolo, cioè San Giovanni Evangelista.

3. La Chiesa è apostolica nella sua successione

L’autorità con cui il Signore ha rivestito gli apostoli e che voleva che fosse trasmessa ai loro successori è duplice: un’autorità di ordine e un’autorità di giurisdizione. Il primo è il potere del vescovo di ordinare sacerdoti e vescovi; il secondo è il potere di partecipare al governo della Chiesa. Per esercitare il potere di giurisdizione occorre il mandato apostolico del Papa.

I cristiani ortodossi, strappandosi dall’Una, Santa, Cattolica, ed Apostolica Chiesa nell’anno 1054, persero la piena successione apostolica. I loro vescovi hanno il potere di ordine: ordinano vescovi e sacerdoti validamente, ma non legittimamente. Non hanno il potere di giurisdizione poiché non hanno ricevuto il mandato di reggere la Chiesa Cattolica da parte del Papa.

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La santificazione dell’uomo, il suo unico compito su questa terra, è possibile, è stato possibile, e lo sarà sempre possibile solo tramite l’una, santa, cattolica, ed apostolica Chiesa. Ella sola possiede tutti i mezzi necessari per questo fine: l’intero ed immutabile corpo di dottrina e tutti i sette sacramenti: che formano insieme quella barca grande ed invincibile, capace di contenere e di portare in Cielo attraverso il mare turbulento di questo mondo l’intera umanità, per adorare lassù, in compagnia di tutti gli angeli ed arcangeli nella Chiesa trionfante, il fine ultimo di tutte le cose: Dio Trino ed Uno: la Santissima ed Increata Trinità. Amen.

La Divina Misericordia

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Oggi è la Domenica in Albis, il Papa Giovanni Paolo II ha dato la possibilità
dell’Indulgenza plenaria in questo giorno dedicato alla Divina Misericordia, per
coloro che hanno fatto la Novena alla Divina Misericordia che termina oggi.
Dunque le condizioni sono come al solito: la Santa Comunione oggi nello stato
di grazia e la Confessione oggi o durante la settimana scorsa, oppure in questa
settimana e, naturalmente, l’orazione ad mentem Summi Pontificis che sono
un Pater un Ave e un Gloria.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Carissimi fedeli, in questo santo tempo di Pasqua dobbiamo tenerci
continuamente davanti agli occhi la Misericordia di Dio perché la Crocifissione
nell’ombra della quale ci riposiamo è la sua espressione definitiva.
Cosa è precisamente la Misericordia di Dio? ci chiediamo oggi. Può essere
descritta come l’Amore di Dio verso le sue creature bisognose. Quando
riflettiamo un attimo vediamo che siamo nel bisogno costante in ogni senso:
senza Dio non potremmo continuare nell’essere ma cadremmo tutti nel niente;
senza il Cibo e la Bevanda che ci provvede Lui non potremmo sopravvivere;
senza i Sacramenti, il Battesimo e la Confessione in particolare, saremmo tutti
condannati all’Inferno; inoltre siamo ignoranti, fallibili, e vulnerabili nel corpo e
nell’anima, ma Dio ci ama e si occupa di noi. La Sacra Scrittura non mette
nessuna qualità di Dio in più grande evidenza della Sua Misericordia.

Nell’Antico Testamento si legge, per esempio nel Salmo 118 “Della Tua
misericordia, Signore, è piena la terra”. Nel Nuovo Testamento si legge l’amore
di Dio, quanto ai nostri bisogni materiali, per esempio nella parabola dei gigli e
dell’erba del campo (Lc.12,27-28); si legge l’amore di Dio quanto alle nostre
sofferenze nella parabola del buon samaritano (Lc.10,25-37), e quanto ai
nostri peccati nella parabola del Figliol prodigo (Lc.15,11-32).

Questa Misericordia di Dio è già manifestata nell’Antico Testamento nella
persona del Padre amorevole, ma raggiunge il suo colmo, si può dire, nella
Persona di nostro Signore Gesù Cristo +. Dio Padre non può sentirela
Misericordia perché solo un corpo può sentire, mentre il nostro Signore Gesù
Cristo Che ha non solamente una natura divina ma anche la natura umana che
comprende un corpo, può sentire la Misericordia, ossia, nel Suo Sacratissimo
Cuore, paziente e di grande misericordia, come preghiamo nelle Litanie del
Sacro Cuore: ” Cor Iesu, pàtiens et mùltae misericòrdiae”.

Quando pensiamo alla Misericordia di Cristo, pensiamo spesso al Suo Sacro
Cuore o a Lui come il Buon Pastore, come nel brano seguente di San Matteo: ”
Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come
pecore senza pastore” (Mt.9,36). Ma l’espressione definitiva della Misericordia
di Dio, come già accennato, è la Crocifissione stessa. Qui viene espressa sia la
Misericordia di Dio Padre, sia la Misericordia di Dio Figlio.

Quanto alla prima scrive San Giovanni: ” Dio infatti ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma
abbia la vita eterna” (Gv.3,16), quanto alla seconda scrive: ” Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv.15,13). Se
vogliamo dunque conoscere la Misericordia di Dio, guardiamo e meditiamo la
Croce.

Ma se guardiamo la Croce, se la meditiamo anche per un attimo di tempo,
conosciamo non solo la Sua misericordia ma anche la nostra miseria, perché il
corpo che vediamo davanti ai nostri occhi, dovrebbe essere proprio il nostro
corpo, perché Cristo ha sofferto ed è morto in un nostro corpo umano, nella
nostra stessa condizione umana. Dobbiamo quindi essere riempiti di umiltà e di
un senso profondissimo della nostra miseria, della nostra indegnità, un
autentico senso di pentimento, di compunzione, e di gratitudine senza fine, e
dobbiamo implorare incessantemente giorno e notte la Sua misericordia.

Quando ci accorgiamo della Sua Maestà e della Sua bontà; quando ci
accorgiamo della nostra miseria, dei nostri limiti, delle nostre debolezze;
quando pecchiamo e quando soffriamo; dobbiamo implorare la Sua
misericordia.

Quando ci accorgiamo dei limiti anche degli altri; quando siamo tentati a
pensare che siamo qualche cosa mentre non siamo che niente; quando
riusciamo e quando non riusciamo; quando lavoriamo di giorno o quando ci
svegliamo di notte, sempre dobbiamo pregare: “Dio mio abbi pietà di me e del
mondo intero; Gesù Cristo Figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore”.
Però se vogliamo godere della Sua misericordia bisogna non solo implorarla
ma anche vivere secondo la Sua volontà. La Santissima Vergine esclama nel
Magnificat: … di generazione in generazione la Sua misericordia si stende su
quelli che lo temono.

Più precisamente possiamo dire che bisogna essere misericordiosi per godere
della Sua misericordia. La Preghiera che Cristo stesso ci insegnò lo specifica:
“rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori…” e San
Giacomo ci avverte: ” il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà
usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio
(Gc.1 13).

Meditiamo dunque la Croce e la Misericordia di Dio che la esprime,
riconosciamo il nostro nulla, abbiamo misericordia degli altri e imploriamo
incessantemente il frutto della Misericordia su di noi e sul mondo intero.
Amen.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.