La santa Messa domenicale

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Se chiedi per caso ad uno storico di raccontarti le cause delle guerre del secolo scorso, lui ti darà delle spiegazioni lunghe e complesse sulla situazione politica e sociologica dell’Europa di allora e rintraccerà questa situazione indietro fino alle sue radici nel passato. Ti parlerà dei grandi personaggi responsabili per gli avvenimenti principali di quelle vaste e tenebrose tragedie.

Ma la vera causa non rientra nelle sue competenze, neanche nelle sue comprensioni, perché la vera causa di queste guerre, anzi di ogni cosa che c’è, è Dio: “omnia quaecumque voluit fecit”: Egli fa tutto ciò che vuole: ogni cosa che c’è è secondo la Sua volontà: o perché Egli lo vuole, o perché Egli lo permette. La sofferenza Egli non la vuole, bensì la permette per un bene più grande. Secondo sant’Agostino la sofferenza è la punizione del peccato, o il mio o quello di altri. Questo vale sia per l’individuo, sia per una moltitudine di persone come nella guerra.

La guerra è dunque la punizione per il peccato, il castigo di Dio per peccati gravissimi, e questa verità viene chiaramente espressa nelle pagine dell’Antico Testamento dove il popolo di Israele subisce le guerre ogni volta che si allontana da Dio. Questa verità viene espressa altrettanto nelle parole di Nostra Signora di Fatima che, quando parla delle guerre del secolo scorso, le dichiarò come la “punizione dei peccati”: ossia per i peccati contro i tre primi Comandamenti che sono l’idolatria, la bestemmia, e la mancanza di santificare le feste.

Tanti milioni di persone ferite, tante uccise, soldati nelle primizie della loro gioventù, cittadini, bambini innocenti, anziani; tante afflizioni, traumi, e tormenti di individui, famiglie, città, nazioni, solo perché l’uomo non voleva adorare né onorare Dio, sia in privato che in pubblico.

Quando dunque qualcuno dice “sono un pò stanco, non ho voglia oggi, tutta la settimana lavoro, domenica farò qualcosa per me”, si ricordi che l’assistenza alla Santa Messa domenicale è un dovere che ci obbliga sub gravi – o in altre parole, la mancanza alla Santa Messa domenicale e alle Sante Messe di precetto, senza motivo adeguato come la malattia, è un peccato mortale.

Abbiamo visto inoltre che questo peccato non ha solo una dimensione individuale, bensì anche una dimensione sociale tale che, con altri peccati immediatamente contro di Dio, è causa dei castighi delle nazioni.

Quando invece un anziano dice “in tutta la mia vita non sono mai mancato alla Santa Messa domenicale – o forse solo una volta quando ero in ospedale”; quando qualcuno parla così, dobbiamo riconoscere che questo è l’atteggiamento giusto che occorre ammirare ed imitare, ma soprattutto riconoscere semplicemente come nostro dovere. Se non abbiamo voglia, non c’entra; andiamo comunque nello spirito di fede, di fiducia, di obbedienza, docilità, ed umiltà.

Dio non ci chiede nulla che non sia giusto, che non sia per il nostro bene: Ricordati di santificare il giorno del sabato: Ricordati – spiega il Catechismo di Trento – perché alla Santa Messa settimanale occorre, per così dire, rendere conto a Dio per la nostra settimana, per il nostro lavoro; Ricordati perché ci saranno tentazioni negli spettacoli e nei giochi da sviarci dal culto e dalla pietà dovuti a Dio.

Il Signore Dio ci comanda di “onorare le feste” o “santificare il sabato” (una parola che significa “cessare”), cioè col riposo dal lavoro e col culto della Religione. Questo terzo Comandamento stabilisce l’espressione esterna e pubblica della adorazione e dell’onore di Dio che vengono comandati in generale nel primo e secondo Comandamento.

L’uomo non è solo spirito bensì anche corpo; non è solo individuo bensì anche membro della Chiesa e dunque deve onorare ed adorare Dio non solo in modo interno, interiore, e privato, ma anche in modo esterno e pubblico.

L’adorazione e l’onore di Dio, nel modo giusto, sono doveri dell’uomo: Perché Dio ha creato l’uomo e a lui ha dato tutto ciò che ha e che è; perché Dio è morto per lui e lo ha redento, e vuole dare tutto a lui, cioè Sé stesso; affinché l’uomo possa essere felice con Lui e riposare in Lui quaggiù, ed in Cielo per tutta l’eternità.

Ma c’è ancora un’ altra cosa: se nostro Signore Gesù Cristo + il Cui Nome sia sempre benedetto, non fosse già stato crocifisso, ma venisse crocifisso domenica prossima in un posto distante di sette minuti, sette ore, o anche sette giorni dalla mia casa, dopo aver bevuto un calice di sofferenze di quantità, profondità, e di intensità da superare assolutamente ogni intelligenza umana, e questo per me, solo per me; andrei o non andrei? Sospirerei e forse direi “non so”? E un protestante, un musulmano, un buddista se avesse la grazia di riconoscere i suoi errori, di capire chi è il Signore e ciò che è la Crocifissione e la Passione di Nostro Signore, non vi andrebbe? E un uomo di buona volontà qualsiasi forse non vi andrebbe anche lui? Carissimi amici, e chi non vi andrebbe se non un uomo completamente privo di buon senso?

E se qualcuno dicesse: “Se vuoi, io posso organizzare che Nostro Signore Gesù Cristo Stesso + venga a te esattamente come era durante la Sua vita terrena. Egli verrà ed io dirò: Ecco! Ecco davanti ai tuoi occhi, uomo povero e misero, degno di niente, degno solo della morte, Ecco il tuo Signore e tuo Dio!” ed Egli entrerà poi nella tua anima e si unirà a te a causa del Suo grande amore per te, e per nessun merito tuo, affinché tu possa essere con Lui e sentire la dolcezza ineffabile della Sua presenza; affinché Egli possa colmare la tua anima con grazie divine e vivere in te con la Sua propria vita divina, Cosa direi? direi forse di no?

Perché, carissimi fedeli, la Santa Messa domenicale ed ogni Santa Messa, non è solo il culto di Dio dovuto dall’uomo, bensì la Crocifissione del Signore, l’unico Sacrificio del Calvario, è l’unione nella Santa Comunione a Nostro Signore Gesù Cristo Stesso: Corpo, Sangue, Anima e Divinità.

Quindi, quando il Re mi invita alle nozze del Suo Figlio, e mi dice: “Ho preparato il banchetto e ciò che tu mangerai è stato ucciso…”, non venga mai detto che io non volessi venire. E se un giorno capitasse che io debba essere presente senza la veste nuziale, ossia senza lo stato di grazia ma in uno stato di peccato mortale, che io non acceda mai a quella santissima tavola…
Amen.

Espiazione

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In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

In questo tempo pasquale proseguiamo la nostra breve serie di meditazioni
sulla Santa Messa.
La Santa Messa essendo il Santo Sacrificio del Calvario, ha quattro finalità:
quella di lode, quella di ringraziamento, quella di espiazione e quella di
supplica.

Guardiamo oggi la natura espiatoria della Santa Messa, la settimana prossima parleremo della sua natura supplichevole.
La Santa Messa è espiatoria nel senso che è un Sacrificio di espiazione,
propiziazione, riparazione per i peccati degli uomini, rimette la loro colpa e le
loro pene, placa l’ira divina (cfr Sofonia 1,15-16) contro di loro. Gli uomini che
ne profittano, ossia che ne traggono benefici, sono sia vivi quanto defunti: i
vivi che hanno peccato e i morti in Purgatorio.

Quale esempio della Preghiera per i vivi prendiamo il Confiteor:
« Confiteor Deo Omnipotenti, beatae Mariae semper Virgini, beato Michaeli
Archangelo, beato Ioanni Baptistae, sanctis Apostolis Petro et Paulo, omnibus
Sanctis et vobis, fratres, quia peccavi nimis cogitatione, verbo et opere, mea
culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Ideo precor beatam Mariam semper Virginem, beatum Michaelem Archangelum, beatum Ioannem Baptistam, sanctos Apostolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos et vos, fratres, orare pro me ad Dominum Deum nostrum. »
Questa Preghiera, come ben sappiamo, viene pronunziata prima dal
celebrante e poi dai fedeli. Nel Rito anteriore alla forma del 1962 viene sempre
ripetuta da tutti e due (celebrante e fedeli) anche prima della Comunione.

La confessione (confiteor) viene fatta non solo a Dio ma anche a tutti i Santi
affinché – nelle parole di Dom Guéranger – “quelli ai quali mi confesso chiedano perdono per me e con me: la Beatissima Vergine Maria, San Michele Arcangelo custode delle anime nostre specialmente in punto di morte, il precursore del Signore San Giovanni Battista, i Principi degli Apostoli Santi Pietro e Paolo e tutti i Santi. Essi sono la mia difesa nella partecipazione dei meriti attraverso la
Comunione dei Santi.”
Il pentimento del peccatore mentre ripete tre volte il “mea culpa”battendosi il petto con la mano, lo mette in disposizione più degnamente di partecipare ai
Sacri Misteri e di ricevere il perdono misericordioso di Dio. Di fatti la preghiera:
“†Indulgentiam, absolutionem et remissionem ” che segue il Confiteor è un
sacramentale che muove Dio ad imprimere nel cuore del penitente, sopra il
quale viene recitata, quel movimento di contrizione sincera che gli merita la
remissione dei suoi peccati veniali; si noti anche che questa Preghiera ha
efficacia bastante per ottenere la remissione dei peccati a chiunque, in pericolo di morte, si trovi nell’impossibilità di fare una Confessione sacramentale.
Le parole dell’assoluzione, secondo un pio autore, risuonano nelle anime
come un indescrivibile sollievo.

Quale esempio di una Preghiera per i Morti prendiamo il Memento dei
Defunti. San Giovanni Crisostomo traccia la Commemorazione dei Defunti fin dai
tempi Apostolici; già dalla fine del secondo secolo ne parla Tertulliano; ed
anche Sant’Agostino parla delle Preghiere per loro al momento del Sacrificio
della Santa Messa.
– Meménto étiam, Dómine, famulórum, famularúmque tuárum qui nos
præcessérunt cum signo fídei et dórmiunt in somno pacis… –“Ricordati anche, o Signore, dei tuoi servi e delle tue serve, che ci hanno preceduti contrassegnati con il segno della fede e dormono il sonno della pace”.

Il segno della fede è il Battesimo, il sonno della pace è la Comunione dei
Santi:- Ipsis, Dómine, et ómnibus in Christo quiescéntibus, locum refrigérii,
lucis et pacis, ut indúlgeas, deprecámur. Per eúmdem Christum Dóminum
nostrum. Amen. –” Ad essi Signore e a tutti quelli che riposano in Cristo, concedeTe Ve ne preghiamo, il luogo di refrigerio, luce e pace. Per il medesimo Cristo, Signore nostro. Amen”.

Il riposo in Cristo significa l’unione delle Anime del Purgatorio a Cristo, come Capo del Corpo Mistico della Chiesa; il luogo di refrigerio, luce, e pace è il Paradiso dove, nelle parole dell’Apocalisse: non c’è ne lacrime, ne gemini ne
afflizioni.

Alla fine di questa Preghiera il Celebrante inchina il capo, un gesto che non è previsto nelle altre Orazioni perché è come una istanza maggiore – spiega Dom Guéranger – sembra che la loro prigione si apra per lasciare penetrare in essa rugiada, luce, e pace: Rugiada negli ardori del fuoco, luce nelle tenebre delle loro sofferenze purgative, pace nel desiderio che interamente le consuma di ricongiungersi a Dio.
In questa istanza, dunque, molte Anime vengono liberate dal Purgatorio e
ammesse in Paradiso, ed altre vengono consolate dalle grazie infinite del Santo Sacrificio della Messa.

Il Celebrante rompe il silenzio del Canone con una Preghiera per noi, miseri
peccatori: “Nobis quoque peccatóribus fámulis tuis, de multitúdine
miseratiónum tuárum sperántibus….” / ” Anche a noi peccatori, Tuoi servi, che
riponiamo la nostra fiducia nella Tua infinita misericordia….”, ricordando che
un giorno saremo, probabilmente, anche noi gli abitatori di quei luoghi
tenebrosi, di sofferenza, colmi di debolezze che siamo in questa vita e
circondati dai pericoli, e così la luce celeste che si versa sul Purgatorio si
riversa anche su di noi.

Così la luce celeste si versa dunque dalle sacre Piaghe del Signore, tre volte
Benedetto, sulle tenebre del Purgatorio e le tenebre di questo mondo
passeggero e decaduto, per purificarci dei nostri peccati e per avvicinarci a Lui che è la fonte e il Padre delle luci, come abbiamo sentito nell’Epistola di oggi di San Giacomo (1,17-21), presso cui non c’è mutamento né ombra di variazione.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

La Passione

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Dalla Domenica della Passione in poi, le Statue e le Croci della Chiesa sono coperte, affinché possiamo meditare dentro di noi, in modo più intimo, la Passione del Signore. Per aiutarci in questo lavoro in modo salutare voglio meditare oggi, brevemente, l’Agonia del Signore nell’orto del Getzemani.

Là Egli soffriva la Passione, che era davanti ai Suoi occhi dal momento del Suo Concepimento e lo sarebbe stato sino alla Sua morte, nel modo più forte e più intenso. Getzemani, allora, significa etimologicamente “frantoio di olive”, e spiritualmente significa il luogo dove il Suo Preziosissimo Sangue esce da Lui mediante la Sua mortale agonia come olio, con cui siamo rifatti, unti, e nutriti, come accenna la Parola nel Cantico dei Cantici  “oleum effusum nomen tuum ” (1,1).

Coepit contristari et maestus esse / cominciò a provare tristezza e angoscia” (XXVI, 37), scrive San Matteo, la tristezza ora è l’emozione che si sente davanti ad un male che non si può fuggire, questo male era quintuplice:

1. La visione della Sua Passione e della Sua morte, i singoli tormenti, le flagellazioni, gli obbrobri, schiaffi, derisioni, blasfemie, la Croce e la morte in tutta la sua estensione, profondità ed acerbità che Lo fece gemere, tremare, languire, impallidire, indebolire, gettarsi per terra e sudare sangue. E questo per espiare il compiacimento del peccato di Adamo in quell’altro orto di Eden, e di tutti gli altri peccatori.

2. La visione di tutti i peccati e di ogni peccato di tutti gli uomini e di ogni uomo, da Adamo e fino alla fine del mondo; tutti i sacrilegi soprattutto verso il Santissimo Sacramento dell’Altare, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le calunnie, le blasfemie e tutti i crimini, i più enormi e i più orrendi mai commessi assieme a tutto il dolore, tutta la vergogna e la compunzione che a loro appartenevano, come se Egli stesso li avesse tutti commessi. Vedendo con perfetta chiarezza il grande grado infinito della loro offesa all’infinita Maestà di Dio e suscitando in Se un dolore che ci corrispondesse, e questo per espiare pienamente tutte quelle offese al Padre Celeste.

3. La visione di tutte le sofferenze dei Martiri, dei Confessori, Pastori e Santi che accoglieva in Se per guadagnare ai Suoi Servi fedeli la grazia, la forza e la consolazione per poter subirle per Dio.

4. La visione della dannazione di molti uomini che malgrado tutte le Sue sofferenze si sarebbero persi l’anima, in gran numero, a causa della loro negligenza, indifferenza ed ingratitudine verso di Lui.

5. La visione della afflizione della Sua Beatissima Madre, soprattutto quando stava ai piedi della Croce poiché il dolore del Figlio trafiggerà come una spada l’Anima della Madre, e tornarono poi ad affliggere la propria anima con ancor maggior intensità, Egli soffrendo nel sommo grado di vedere affliggersi la Sua Madre a causa di Lui.

San Leone Magno afferma che “la Passione del Signore si prolunga sino alla fine dei secoli”. Gli fa eco il filosofo Pascal nella sua meditazione sull’agonia del Signore: “Cristo – scrive – sarà in agonia fino alla fine del mondo. Durante questo tempo non bisogna dormire: Io pensavo a te nella Mia Agonia, quelle gocce di Sangue le ho versate per te. Vuoi costarmi sempre Sangue della mia umanità senza che tu versi neanche una lacrima? Io ti sono più amico del tale e di tal altro, perché ho fatto per te più di loro, ed essi non soffrirebbero mai quel che ho sofferto da te, non morirebbero mai per te nel tempo della tua infedeltà e delle tue crudeltà come ho fatto Io, e sono pronto a fare nei miei eletti e nel Santissimo Sacramento dell’Altare”.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

 

Impetrazione

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In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Nel Vangelo odierno nostro Signore Gesù Cristo + dice:” Se chiederete
qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà …” (Gv.16,23-30), questo però
è precisamente ciò che facciamo nella Santa Messa quando preghiamo a Dio
Padre per “Christum Dominum nostrum”.

Cogliamo dunque l’occasione per meditare oggi sulla quarta finalità della
Santa Messa che è quella dell’impetrazione, o petizione, assieme alle grazie
che ne risultano. Questo lo facciamo in rapporto particolare al rito romano
antico stabilito e codificato da San Pio V di cui oggi celebriamo la Festa.

Tre sono, dunque, le categorie di persone che approfittano, ossia beneficiano,
del Sacrificio della Santa Messa:
1) prima la Santa Chiesa Cattolica, la Chiesa Trionfante cioè gli Angeli e i Santi
del Paradiso nel cui onore viene offerta la Santa Messa, come prega il
Celebrante nell’Offertorio; la Chiesa Purgante, cioè le Anime del Purgatorio che
ricevono consolazioni ed anche liberazione dalle loro sofferenze; e la Chiesa
Militante, cioè noi battezzati sulla terra a cui viene elargita la divina grazia per
la loro battaglia contro il male.
2) La seconda categoria è quella delle intenzioni speciali del Celebrante che lui
ricorda soprattutto nel “memento dei vivi e dei morti”. Queste sono le
intenzioni per i membri della Chiesa, ma il celebrante può aggiungere altre
intenzioni per altre persone non membri della Chiesa, o per qualsiasi altra
intenzione, quale per esempio la conversione di una determinato peccatore.
3) La terza categoria è il Celebrante stesso con i fedeli che sono presenti,
questa categoria viene espressa con le parole: “tutti i circostanti”, e “nobis
quoque peccatoribus”. Dunque solo essendo presenti alla Santa Messa
riceviamo grazie.

Su tutte queste tre categorie di persone, dunque, le grazie di Dio saranno
elargite in abbondanza tramite il Santo Sacrificio della Messa.

La Santa Messa viene offerta in primo luogo per i membri della Chiesa, in
secondo luogo, come abbiamo visto, anche per altre intenzioni del celebrante,
come anche dei fedeli presenti.

Queste intenzioni sono sia per i beni sovrannaturali: la santificazione, la
salvezza delle anime e la stessa gloria di Dio; sia per beni naturali e temporali,
se sono compatibili con quelli sovrannaturali. Non c’è dono né grazia così
grande che non si possa chiedere mediante la Santa Messa, poiché ciò che
chiediamo è creato e finito, ma ciò che offriamo è divino. Dice Padre M.
Cochem: “è impossibile che Dio generoso che vuole ricompensare anche una
bevanda di acqua fresca (cfr. Mt.10,42) non ci lascerà senza compenso se Gli
offriamo con riverenza il Calice del Sangue del Suo Figlio Divino”.

Avendo parlato dei frutti del Santo Sacrificio della Messa, carissimi fedeli
vogliamo guardare adesso ai frutti del Sacramento in particolare, cioè la Santa
Comunione. Innanzi tutto notiamo che solo i cattolici (come dico sempre prima
della predica) nello stato di grazia possono ricevere beneficio dalla Santa
Comunione.

Un primo frutto di questa è che ci unisce a Cristo, e dunque ci da, o ci
aumenta, la divina grazia, le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo, come
dichiara il sacro Concilio di Firenze (1431) “ci nutrisce spiritualmente
sostenendo, aumentando, riparando e dilettandoci in modo spirituale”.
Il sacro Concilio di Trento (1545) descrive la Santa Comunione similmente
come “cibo delle anime con cui siamo nutriti e confortati, vivendo della vita di
Colui che disse: “colui che mangia di me, vivrà per me” “(Gv.6,57).

Un secondo frutto della Santa Comunione è che ci ottiene la gloria eterna. Il
Concilio di Trento dichiara: “Egli voleva che fosse un pegno della nostra futura
gloria e perpetua felicità”. Qua possiamo citare di nuovo San Giovanni nel
capitolo 6 “se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno”. La ragione per la
quale la Santa Comunione ci ottiene la gloria eterna è che contiene il nostro
Signore Gesù Cristo, Che ci da la gloria.

La Santa Comunione è un cibo che conforta l’anima proprio affinché possa
perseverare fino a quando otterrà questa gloria. Un modo che conforta l’anima
e che la rende forte contro le tentazioni, e San Giovanni Crisostomo scrive a
riguardo che la Santa Comunione, essendo un segno della Passione del
Signore, respinge gli attacchi dei dèmoni perché sono stati vinti dalla stessa
Passione.

Un terzo frutto della Santa Comunione è che rimette i peccati veniali e la loro
pena, come dichiara Benedetto XII col suo libello agli Armeni, e altrettanto il
sacro Concilio di Trento. La Santa Comunione ha questi effetti in quanto
aumenta in noi la vera carità.

Ora, il frutto che viene ricevuto dalla Santa Messa e dalla Santa Comunione,
dipende dalle disposizioni del celebrante, dei fedeli che sono presenti, e le
persone per cui il frutto viene richiesto: dipende ciòè dal grado di devozione del
celebrante, dei fedeli presenti e comunicanti, e dall’apertura alla grazia delle
persone beneficiare a ricevere la grazia; è naturale che più grande sarà la
devozione, più grande sarà il beneficio.

Concludiamo queste considerazioni con una citazione dell’Imitazione di Cristo
che esprime con parole sublimi la devozione della persona che si accosta alla
Santa Comunione. Viene dal IV Libro capitolo 17 e la cui lettura raccomando
tutti, citando oggi solo l’inizio:

” Con devozione grandissima e con ardente amore, con tutto lo slancio di un
cuore appassionato, io desidero riceverVi, o Signore, come Vi desiderarono,
nella Comunione, molti santi e molti devoti, a Voi massimamente graditi per la
santità della loro vita e per la loro infiammata pietà. O mio Dio, amore eterno
che siete tutto il mio bene, la mia felicità senza fine, io bramo riceverVi con
intenso desiderio e con venerazione grandissima, quale mai poté avere o
sentire santo alcuno. Anche se non sono degno di sentire tutta quella
devozione, tuttavia Vi offro tutto lo slancio del mio cuore, come se io solo
avessi tutti quegli accesi desideri, che tanto Vi sono graditi. Ché anzi, tutto
quel che un animo devoto può concepire e desiderare, tutto questo io lo porgo
e lo offro a Voi, con estrema venerazione in pio raccoglimento. Nulla voglio
tenere per me, ma voglio immolarVi me stesso e tutto quello che ho, con scelta
libera e altamente gioiosa”.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Le quattro note della Chiesa

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Il simbolo niceno-costantinopolitano professa dogmaticamente ed infallibilmente: Credo unam, sanctam, catholicam, et apostolicam Ecclesiam. Il Santo Uffizio sotto il beato Pio IX dichiara a riguardo nell’anno 1864: “La vera Chiesa di Cristo è determinata e definita nella sua essenza sulla divina autorità mediante il segno quadruplo che professiamo nel Credo come oggetto della Fede.” Questo segno quadruplo viene definito in termini di quattro ‘note’, ossia caratteri visibili, della Chiesa, cioè: Unità, Santità, Cattolicità, ed Apostolicità. Un’analisi delle note (soprattutto della prima) ci mostrerà in seguito che nessun altra sedicente chiesa può pretendere di essere la vera Chiesa di Gesù Cristo.
Cominciamo esponendo la sua unità.

L’Unità della Chiesa

1. L’Unità come nota della Chiesa

Il simbolo professa l’unità come prima nota della Chiesa: “Credo unam… ecclesiam”. Ci chiediamo inanzitutto in quale senso la Chiesa è una.

Il Concilio Vaticano I dichiara (S.4, Pastor Aeternus): “Affinché la moltitudine universale dei fedeli rimanesse conservata nell’unità della fede e della comunione [il Signore] ha posto San Pietro come capo degli altri apostoli ed istituì in lui il principio perpetuo ed il fondamento invisibile della doppia unità”.

Vediamo qui che la Chiesa è una in due sensi, che c’è una doppia unità: l’unità della Fede e l’unità della communione.

L’unità della Fede consiste nel fatto che tutti i membri della Chiesa aderiscono alle verità della Fede proposte a loro dal magistero perenne della Chiesa: che le credano internamente (almeno in modo implicito) e le professino esternamente.

L’unità della comunione invece consiste nell’unità di governo: in primo luogo la sottomissione di tutti i membri della Chiesa all’autorità dei vescovi e del Papa, ed in secondo luogo l’unità di culto che assicura il collegamento tra di loro dei membri della Chiesa tramite i sacramenti.

Il Papa è il principio ed il fondamento di questa doppia unità. Come Sommo Docente garantisce l’unità della Fede; come Sommo Pastore garantisce l’unità di comunione.

L’unità della Chiesa viene espressa dalle parole del Signore Stesso. Lui esige l’unità della Fede quando dà il mandato agli apostoli di evangelizzare tutte le nazioni, e comanda che tutti gli uomini accettino la Fede incondizionatamente (alla fine del vangelo di San Matteo e di San Marco). Egli esige l’unità della comunione quando prega al Padre per l’unità degli apostoli e dei futuri fedeli: (Gv.17.20) “Non prego solo per questi ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in Me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in Me ed io in Te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che Tu Mi hai mandato.”

Ribadiamo a questo punto che l’unità di cui si tratta qui fa parte dell’unità di comunione propria alla Chiesa cattolica: la sottomissione di governo e l’unità di culto. Non si tratta dell’unità che unisce tutti i cristiani di tutte le confessioni – il loro denominatore comune più basso, come vedremo più avanti.

San Paolo rappresenta l’unità della Chiesa colle immagini di una casa e di un corpo umano, ed accenna alla sua doppia unità nelle seguenti parole: “Un solo corpo ed un solo Spirito… un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio, padre di tutti…” (Ef.4.4-6).

San Paolo aggiunge un aspetto morale all’unità di comunione: “Vi esorto… a comportavi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine, e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace.” (Ef.4.1-3)

Lo stesso Apostolo ammonisce contro i due mali che distruggono l’unità della Chiesa: l’eresia che distrugge l’unità della Fede e lo scisma che distrugge l’unità della comunione.

Ammonisce contro l’eresia con la parola: “Dopo una o due ammonizioni sta’ lontano da chi è fazioso” (Tit.3.10), ed ammonisce contro lo scisma con la parola (I Cor. 1.10) : “Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo ad essere tutti unanimi nel parlare perché non vi siano divisioni tra di voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di intenti.”

La prima nota della vera Chiesa di Cristo è la sua unità, dunque. Vediamo che questa unità è, sia interna che esterna: in quanto presta alla Chiesa cattolica da un lato la sua integrità, e dall’altro lato la distingue da tutte le altre sedicenti “chiese”. Sì può esprimere l’unità, sia interna che esterna, dicendo che la Chiesa cattolica è allo stesso tempo una ed unica.

2. La nota di unità come criterio di cattolicità

Poiché questa prima nota, la nota dell’unità, è allo stesso tempo così precisa e larga nell’ambito, viene tipicamente applicata, anche senza le altre note, come unico criterio per determinare la cattolicità di una data comunità o persona. In questo contesto si parla piuttosto di un’unità triplice: ossia l’unità di Fede, di governo, e di culto (di cui le due ultime costituiscono insieme, come abbiamo già detto, l’unità di comunione) .

Ora, la nota dell’unità la possiede solo la Chiesa cattolica. Non la possiede la “chiesa ortodossa” e nemmeno la possiede la “chiesa protestante”, né qualsiasi chiesa che si presenta come una delle “chiese ortodosse” o “protestanti”, né qualsivoglia altra chiesa. Non la possiede alcun’altra sedicente chiesa in quanto nessuna di loro possiede insieme l’unità della Fede e l’unità di comunione – che comprende, come abbiamo già spiegato, l’unità di governo (cioè la sottomissione al Papa ed ai vescovi) e l’unità di culto (cioè i sette sacramenti); nessuna di loro possiede il principio ed il fondamento di questa doppia unità che è il papato. Anzi, tutte queste “chiese” sono caratterizzate piuttosto dalla loro divisione in piccoli gruppi innumerevoli: le sétte protestanti e le chiese autocefale ortodosse.

Difatti poiché nessun’altra chiesa ha le caratteristiche della vera Chiesa, è più accurato chiamarle “comunità religiose” e non chiese affatto. Chiamarle “chiese” sostiene la tesi che siano tutte mezzi di salvezza sullo stesso livello della Chiesa cattolica. Questa, però, è un’eresia condannata dal beato Pio IX nell’enciclica Quanto conficiamur moerere e nel Sillabo (n.18).

Nessuna ‘chiesa’ oltre alla Chiesa cattolica possiede la nota dell’unità, dunque. Non è vero neanche che ci sia una chiesa più grande della Chiesa Cattolica che si chiama “la Chiesa di Cristo” che consiste di tutte le confessioni insieme. Poichè anche a questa chiesa mancherebbe la nota dell’unità: non ci sarebbe l’unità di Fede, né di comunione (cioè quanto al governo e al culto), né il principio e fondamento dell’unità che è il Papa. Questo è l’errore a cui abbiamo già accennato, di ispirazione modernista. La sola unità che avrebbe questa chiesa sarebbe l’unità del denominatore più basso di tutte le confessioni: l’unità dei loro “articoli fondamentali” secondo la teologia protestante, ma questa è inconciliabile coll’ unica vera Fede.

*

Preghiamo che tutte le comunità religiose degli scismatici ed eretici tornino all’unione dell’una ed unica Chiesa, la vera Chiesa di Cristo, che è la Chiesa Cattolica. Ringraziamo il Signore che ci ha chiamati a far parte di essa alla gloria del Suo Santissimo Nome e alla salvezza delle nostre anime. Amen.

La Santità della Chiesa

Guardiamo prima la santità della Chiesa e poi il rapporto tra essa ed i suoi membri peccatori.

1. La Santità come nota della Chiesa

La Santità della Chiesa viene espressa in sintesi dall’apostolo Paolo nella sua lettera agli Efesini (5.25-7): “Cristo ha amato la Sua Chiesa e ha dato Sé Stesso per Lei, per renderLa santa, purificandoLa per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la Sua Chiesa, tutta gloriosa, senza macchia, né ruga, o alcunché di simile, ma santa ed immacolata.”

San Pio X spiega nel suo Catechismo: “La Chiesa è santa perché santi sono stati Gesù Cristo, suo Capo invisibile, e lo Spirito Santo che La vivifica; perché in Lei sono santi la dottrina, il Sacrificio, ed i sacramenti; e tutti sono chiamati a santificarsi: e perché molti realmente furono santi, e sono, e saranno”.

Si può esporre questa dottrina sistematicamente nel modo seguente: la Chiesa Cattolica è santa in primo luogo nel suo rapporto con Dio, ed in secondo luogo nel suo fine, i suoi mezzi, ed i suoi frutti.

1) E’ santa nel suo rapporto con Dio poiché è stata fondata da nostro Signore Gesù Cristo Stesso e Ne costituisce il Corpo Mistico, di cui Lui è Capo Invisibile e lo Spirito Santo principio di vita e santificazione;

2) E’ santa nel suo fine che è cioè la gloria di Dio e la santificazione degli uomini;

3) E’ santa nei mezzi con cui ella raggiunge questo fine, che sono cioè le dottrine del Signore: notevolmente gli articoli della Fede, i dieci comandamenti, ed i consigli evangelici; il culto di Dio, sopratutto il santo sacrificio della Messa, e poi i sette sacramenti, i sacramentali, e la preghiera liturgica; le leggi della Chiesa, gli ordini, le congregazioni, e gli istituti; i carismi e le Grazie dello Spirito Santo.

4) E’ santa nei suoi frutti, ossia nella santità dei suoi membri: nel loro possesso dello stato di Grazia, oppure della santità eroica che a nessuna epoca della Chiesa è mai mancata.

La santità della Chiesa come nota, o caratteristica visibile, della Chiesa è chiaramente ristretta alla sua santità visibile, cioè ai punti (3) e (4): la santità dei suoi mezzi e dei suoi frutti in quanto si tratta della santità eroica dei suoi membri.

2. La Santità ed il Peccato

Qual’ è il rapporto tra la santa Chiesa e i peccatori? La Chiesa proclama contro gli errori di Novaziano, Martin Lutero, ed altri, che un cattolico non cessa di essere membro della Chiesa in virtù del peccato mortale (se non lo scisma, l’eresia, o l’apostasia): piuttosto rimane membro della Chiesa come un ramo morto di un albero, fin quando tutti gli ammonimenti siano risultati inutili, cioé fino alla morte. Nostro Signore Gesù Cristo illustra questa dottrina con la parabola della zizzania, della rete che contiene pesci buoni e cattivi, e quella delle vergini prudenti e sciocche.

Ma come può essere santa la Chiesa cattolica se i suoi membri (tranne la Madonna) non lo sono, o non lo sono perfettamente? La risposta è la seguente: la Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo: come tale possiede un aspetto sia fisico sia spirituale. I membri della Chiesa appartengono alla parte fisica della Chiesa in virtù dei loro corpi; appartengono alla parte spirituale della Chiesa in virtù della Grazia: quella del loro battesimo e degli altri sacramenti che hanno ricevuto; quella delle virtù teologali della Fede, Speranza, e Carità; quella del proprio grado di santità.

Appartengono alla parte spirituale della Chiesa in virtù della Grazia dunque, non in virtù della loro condotta morale: delle loro azioni buone, ma anche cattive. Per questo i loro peccati non si attaccano alla Chiesa e non intaccano la santità di Ella.

La Chiesa cattolica è santa. Questo è dogma, cosicché chiamarla ‘peccatrice’ è eresia. I nemici della Chiesa, che la considerano un fenomeno meramente terreno ed una società prettamente umana, le hanno sempre negato la santità.

Perciò osserviamo con allarme misto con indignazione alcuni prelati accennare che la Chiesa sia imperfetta o responsabile di determinati mali, o chiedere perdono al Mondo per i peccati pretesi o putativi della Chiesa. Ci ricordiamo della parola di papa Pio XII a conte Enrico Galeazzi: “Sento intorno a me dei novatori che vogliono …procurare [alla Chiesa] il rimorso per il suo passato storico .”

Qualunque senso cattolico si possa attribuire a questa iniziativa di chiedere perdono per il passato, bisogna dire che è perlomeno umiliante per la Santa Madre Chiesa, ed inoltre imprudente e fuorviante, poiché suggerisce che:

1) la Chiesa sia peccatrice;
2) la Chiesa nella sua realtà transtemporale sia responsabile dei peccati passati dei suoi membri;
3) la Chiesa si sia formalmente impegnata per periodi considerevoli di tempo in attività peccaminose come, secondo i sostenitori di questa tesi, l’Inquisizione e le Crociate;
4) il Mondo a cui si scuserebbe sia un soggetto transtemporale come la stessa Chiesa.

Tutto questo è falso:

1) la Chiesa non è peccatrice, come abbiamo spiegato sopra;
2) la Chiesa nella sua realtà transtemporale è santa, e dunque non responsabile dei mali passati dei suoi membri;
3) la Chiesa non si è impegnata in attività peccaminose, come compiace ai suoi nemici di presentare l’Inquisizione e le Crociate tra l’altro. Queste attività erano buone, anche se talvolta l’occasione di peccati gravi (ma peccati non voluti dalla gerarchia). Sarebbe un peccato proteggere i cristiani dagli attacchi di ‘Isis’?
4) il Mondo non è un soggetto transtemporale, ma consiste solo nell’insieme di tutti i non-cattolici che vivano ad un determinato momento di tempo: dunque non ha senso scusarsi con persone che non sono state offese.

*

Il nostro compito quaggiù è di santificarci, per aumentare, fin quanto possiamo, la Santità della Chiesa, affinché si perfezioni sempre di più ed il Mondo sempre di più si illumini: per la salvezza delle anime e la Gloria di Dio. Amen.

La Cattolicità della Chiesa

La parola ‘cattolico’ viene dal greco kath’holon che significa intero o universale. Si parla della ‘cattolicità’ della Chiesa principalmente in base della sua triplice universalità: spaziale, temporale, e dottrinale. Ciò viene espresso dal mandato del Signore (Mt. 28.20): ‘Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comnadato. Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli.’ Osserviamo qua le parole: tutte le nazioni, tutto ciò che vi ho mandato, tutti i giorni.

La Chiesa è universale spazialmente nel senso che è presente in ‘tutte le nazioni’ ed in ‘tutto il mondo’ (secondo l’espressione parallela di San Marco), ma anche in Purgatorio ed in Cielo (che sono anche loro spazialmente estesi). Questa estensione si può intendere anche in modo sociale, abbracciando tutti gli uomini nel seno della Carità: ‘l’ebreo ed il greco, lo schiavo, il libero, il maschio e la femmina’ (Gal. 3.28).

Ella è universale temporalmente in quanto inizia col sacrificio di Abele e perdurerà fino alla fine dei tempi, e poi eternamente in Cielo.

E’ universale dottrinalmente in quanto, secondo la parola del Signore, lo Spirito Santo, lo Spirito della Verità (Gv. 14.25): ‘vi insegnerà ogni cosa’. San Cirillo di Gerusalemme nelle sue catechesi dice a riguardo che la Chiesa è chiamata cattolica ‘perché insegna tutti i dogmi di cui è utile che gli uomini vengano a conoscenza.’

Si possono distinguere due altri modi particolari in cui la Chiesa è universale, cioè un modo spirituale ed un modo morale.

Lo è spiritualmente in quanto possiede tutti i mezzi della santificazione: soprattutto i sette sacramenti, ma anche, tra l’altro, le sette virtù ed i sette doni dello Spirito Santo, di cui il numero sette significa la totalità. Un sacramento che gode dell’universalità in particolar modo è la santa Eucarestia. Ciò viene celebrata dapertutto nel mondo e lo sarà fino ai fini dei tempi, possiede in sé la fonte di ogni santità, ed elargisce su tutti gli uomini i frutti gloriosi della Morte del Signore.

La Chiesa è universale moralmente in quanto mira alla perfezione: la perfezione della Carità che è la santità: in quanto ha come iscopo che gli uomini amino Iddio con tutto il cuore, con tutta la mente, tutta l’anima, e tutte le forze; che si diano interamente a Lui Che si è dato interamente a loro.

Le sedicenti ‘chiese’ protestanti invece non possiedono l’universalità in alcuno di questi modi: né spazialmente perché non sono estese nel mondo intero; né temporalmente perché esistono solo da qualche secolo; né dottrinalmente poiché si caratterizzano essenzialmente dalla loro negazione di parti della dottrina cattolica; né spiritualmente poiché non possiedono tutti i sette sacramenti; né moralmente poiché, in quanto non possiedono tutti i mezzi di santificazione, non possono raggiungere la santità. Di fatti non pretendono neanche al titolo della cattolicità denominandosi piuttosto o dai loro fondatori, o dalla loro dottrina, o dal luogo che li aveva visti a nascere: così i luterani, i calvinisti, gli anglicani, i metodisti, i quaccheri, i fratelli moravi dimostrano col loro nome la loro origine puramente umana .

*

Lo scopo della vita umana non è di fare come ci piace purché evitiamo l’Inferno, bensì di conoscere la Verità intera, approfittare di tutti i mezzi nel nostro potere per santificarci, perfezionarci, e darci interamente a Dio. Questa è la vita cattolica proposta della santa Madre Chiesa a tutti gli uomini in tutti i luoghi del mondo e a tutti i tempi: per accogliere secondo la nostra intera capacità già sulla terra, e poi in modo perfetto, stabile, e definitivo nel Cielo, Colui Che è il Tutto e l’Infinito, la Santissima ed Indivisa Trinità. Amen.

L’Apostolicità della Chiesa

La Santa Chiesa Cattolica è apostolica in tre modi: nelle sue origini, nella sua dottrina, e nella sua successione.

La Chiesa è apostolica:
1.) nelle sue origini in quanto la Chiesa risale agli apostoli;
2.) nella sua dottrina in quanto la Chiesa ha sempre conservato la dottrina a lei trasmessa dagli apostoli;
3.) nella sua successione in quanto tutti i vescovi sono successori degli Apostoli in una catena interrotta per via dell’ordinazione e della consacrazione.

Osserviamo che la Chiesa è apostolica nelle sue origini proprio a causa della sua dottrina e della sua successione apostolica.

San Tommaso fa notare che l’apostolicità della Chiea viene espressa dai dodici basamenti delle mura della Città Santa di Gerusalemme, sopra i quali sono scritti i dodici nomi degli Apostoli (Apocalisse 21.14). Lui spiega che, dopo Cristo, i dodici Apostoli costituiscono il fondamento della Chiesa ed il principio della sua stabilità.

Guardiamo adesso più da vicino i tre modi in cui la Chiesa è apostolica.

1. La Chiesa è apostolica nelle sue origini

La Chiesa è apostolica nelle sue origini in quanto nostro Signore Gesù Cristo trasmise agli Apostoli gli uffici di insegnare, reggere, e di santificare, ed in quanto costituì San Pietro Sommo Docente e Pastore della Chiesa. E’ apostolica altrettanto in quanto Lui intese che questi uffici, con i poteri che ad essi corrispondono, fossero trasmessi ai loro successori, affinché la Chiesa potesse sussistere in modo stabile attraverso i secoli. San Girolamo dice: “La vera Chiesa è colei che fu diffusa dagli Apostoli e che esiste fino ad oggi.”

Le altre sedicenti ‘chiese’ non furono diffuse dagli Apostoli, bensì dagli eretici come Martin Lutero, Enrico VIII, e Calvino. Disse San Franceso di Sales ad un ministro protestante: “Il vostro protestantesimo è ben lungi dall’essere apostolico: è meno vecchio dei nostri formaggi.” La chiesa ortodossa non risale agli apostoli in modo pieno perché, essendo privo dell’ufficio petrino (del Papa) non è la stessa chiesa che fu diffusa dagli Apostoli.

2. La Chiesa è apostolica nella sua dottrina

Il motivo fondamentale per l’aposticilità della dottrina della Chiesa è la sua immutabilità. La dottrina della Chiesa consiste nella Rivelazione (‘il deposito della Fede’) che è contenuta sia nella Sacra Scrittura sia nella Tradizione Orale, che sono le due fonti della Fede. Questo è l’insegnamento del Concilio di Trento ribadito nel Concilio Vaticano I. La Tradizione Orale consiste soprattutto nelle dottrine del Signore agli Apostoli che non furono scritte tra loro, bensì tramandate ai cristiani oralmente ed in modo tale che li obbligasse: “State saldi, fratelli, e mantenete le tradizioni che avete appreso, così dalla nostra parola come dalla nostra lettera” dice San Paolo (Tess. 2.2.14).

Esempi delle dottrine che sono contenute nella Tradizione Orale ma non nella Sacra Scrittura sono che ci sono sette Sacramenti; che si deve santificare la domenica; e che i bambini sono da battezzare. I protestanti che pretendono che la Sacra Scrittura sia l’unica fonte della Fede (ed assieme a loro i Modernisti che vogliono avvicinare la Chiesa cattolica al protestantesimo per motivi a loro meglio conosciuti) non hanno nessun motivo tra l’altro per giustificare la loro pratica di santificare la domenica. La Tradizione Orale fu conclusa alla morte dell’ultimo Apostolo, cioè San Giovanni Evangelista.

3. La Chiesa è apostolica nella sua successione

L’autorità con cui il Signore ha rivestito gli apostoli e che voleva che fosse trasmessa ai loro successori è duplice: un’autorità di ordine e un’autorità di giurisdizione. Il primo è il potere del vescovo di ordinare sacerdoti e vescovi; il secondo è il potere di partecipare al governo della Chiesa. Per esercitare il potere di giurisdizione occorre il mandato apostolico del Papa.

I cristiani ortodossi, strappandosi dall’Una, Santa, Cattolica, ed Apostolica Chiesa nell’anno 1054, persero la piena successione apostolica. I loro vescovi hanno il potere di ordine: ordinano vescovi e sacerdoti validamente, ma non legittimamente. Non hanno il potere di giurisdizione poiché non hanno ricevuto il mandato di reggere la Chiesa Cattolica da parte del Papa.

*

La santificazione dell’uomo, il suo unico compito su questa terra, è possibile, è stato possibile, e lo sarà sempre possibile solo tramite l’una, santa, cattolica, ed apostolica Chiesa. Ella sola possiede tutti i mezzi necessari per questo fine: l’intero ed immutabile corpo di dottrina e tutti i sette sacramenti: che formano insieme quella barca grande ed invincibile, capace di contenere e di portare in Cielo attraverso il mare turbulento di questo mondo l’intera umanità, per adorare lassù, in compagnia di tutti gli angeli ed arcangeli nella Chiesa trionfante, il fine ultimo di tutte le cose: Dio Trino ed Uno: la Santissima ed Increata Trinità. Amen.

La Divina Misericordia

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Oggi è la Domenica in Albis, il Papa Giovanni Paolo II ha dato la possibilità
dell’Indulgenza plenaria in questo giorno dedicato alla Divina Misericordia, per
coloro che hanno fatto la Novena alla Divina Misericordia che termina oggi.
Dunque le condizioni sono come al solito: la Santa Comunione oggi nello stato
di grazia e la Confessione oggi o durante la settimana scorsa, oppure in questa
settimana e, naturalmente, l’orazione ad mentem Summi Pontificis che sono
un Pater un Ave e un Gloria.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Carissimi fedeli, in questo santo tempo di Pasqua dobbiamo tenerci
continuamente davanti agli occhi la Misericordia di Dio perché la Crocifissione
nell’ombra della quale ci riposiamo è la sua espressione definitiva.
Cosa è precisamente la Misericordia di Dio? ci chiediamo oggi. Può essere
descritta come l’Amore di Dio verso le sue creature bisognose. Quando
riflettiamo un attimo vediamo che siamo nel bisogno costante in ogni senso:
senza Dio non potremmo continuare nell’essere ma cadremmo tutti nel niente;
senza il Cibo e la Bevanda che ci provvede Lui non potremmo sopravvivere;
senza i Sacramenti, il Battesimo e la Confessione in particolare, saremmo tutti
condannati all’Inferno; inoltre siamo ignoranti, fallibili, e vulnerabili nel corpo e
nell’anima, ma Dio ci ama e si occupa di noi. La Sacra Scrittura non mette
nessuna qualità di Dio in più grande evidenza della Sua Misericordia.

Nell’Antico Testamento si legge, per esempio nel Salmo 118 “Della Tua
misericordia, Signore, è piena la terra”. Nel Nuovo Testamento si legge l’amore
di Dio, quanto ai nostri bisogni materiali, per esempio nella parabola dei gigli e
dell’erba del campo (Lc.12,27-28); si legge l’amore di Dio quanto alle nostre
sofferenze nella parabola del buon samaritano (Lc.10,25-37), e quanto ai
nostri peccati nella parabola del Figliol prodigo (Lc.15,11-32).

Questa Misericordia di Dio è già manifestata nell’Antico Testamento nella
persona del Padre amorevole, ma raggiunge il suo colmo, si può dire, nella
Persona di nostro Signore Gesù Cristo +. Dio Padre non può sentirela
Misericordia perché solo un corpo può sentire, mentre il nostro Signore Gesù
Cristo Che ha non solamente una natura divina ma anche la natura umana che
comprende un corpo, può sentire la Misericordia, ossia, nel Suo Sacratissimo
Cuore, paziente e di grande misericordia, come preghiamo nelle Litanie del
Sacro Cuore: ” Cor Iesu, pàtiens et mùltae misericòrdiae”.

Quando pensiamo alla Misericordia di Cristo, pensiamo spesso al Suo Sacro
Cuore o a Lui come il Buon Pastore, come nel brano seguente di San Matteo: ”
Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come
pecore senza pastore” (Mt.9,36). Ma l’espressione definitiva della Misericordia
di Dio, come già accennato, è la Crocifissione stessa. Qui viene espressa sia la
Misericordia di Dio Padre, sia la Misericordia di Dio Figlio.

Quanto alla prima scrive San Giovanni: ” Dio infatti ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma
abbia la vita eterna” (Gv.3,16), quanto alla seconda scrive: ” Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv.15,13). Se
vogliamo dunque conoscere la Misericordia di Dio, guardiamo e meditiamo la
Croce.

Ma se guardiamo la Croce, se la meditiamo anche per un attimo di tempo,
conosciamo non solo la Sua misericordia ma anche la nostra miseria, perché il
corpo che vediamo davanti ai nostri occhi, dovrebbe essere proprio il nostro
corpo, perché Cristo ha sofferto ed è morto in un nostro corpo umano, nella
nostra stessa condizione umana. Dobbiamo quindi essere riempiti di umiltà e di
un senso profondissimo della nostra miseria, della nostra indegnità, un
autentico senso di pentimento, di compunzione, e di gratitudine senza fine, e
dobbiamo implorare incessantemente giorno e notte la Sua misericordia.

Quando ci accorgiamo della Sua Maestà e della Sua bontà; quando ci
accorgiamo della nostra miseria, dei nostri limiti, delle nostre debolezze;
quando pecchiamo e quando soffriamo; dobbiamo implorare la Sua
misericordia.

Quando ci accorgiamo dei limiti anche degli altri; quando siamo tentati a
pensare che siamo qualche cosa mentre non siamo che niente; quando
riusciamo e quando non riusciamo; quando lavoriamo di giorno o quando ci
svegliamo di notte, sempre dobbiamo pregare: “Dio mio abbi pietà di me e del
mondo intero; Gesù Cristo Figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore”.
Però se vogliamo godere della Sua misericordia bisogna non solo implorarla
ma anche vivere secondo la Sua volontà. La Santissima Vergine esclama nel
Magnificat: … di generazione in generazione la Sua misericordia si stende su
quelli che lo temono.

Più precisamente possiamo dire che bisogna essere misericordiosi per godere
della Sua misericordia. La Preghiera che Cristo stesso ci insegnò lo specifica:
“rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori…” e San
Giacomo ci avverte: ” il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà
usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio
(Gc.1 13).

Meditiamo dunque la Croce e la Misericordia di Dio che la esprime,
riconosciamo il nostro nulla, abbiamo misericordia degli altri e imploriamo
incessantemente il frutto della Misericordia su di noi e sul mondo intero.
Amen.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

AVE

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Nel sacro Tempo di Avvento, un tema costante nella Santa Messa è quello della Salutazione Angelica, l’Ave Maria. Perciò volgiamo un breve sguardo su questo tema, ossia, sulla sola parola “Ave”.

Ave significa pace e gioia: pace non solo per infondere la pace nell’anima della Madonna, ma innanzi tutto perché l’Annunciazione è una ambasciata di pace mediante cui Dio e l’uomo saranno riconciliati: una ambasciata di pace mediante cui Dio si unirà all’uomo per vincere il suo nemico, per riparare i danni fatti dall’uomo, e per soggiogare il mondo intero al Regno pacifico ed eterno di Colui che è il Principe della Pace.

Pace e gioia: la gioia che viene dai beni elargiti da Dio sulla Santissima Madre di Dio, nelle parole di san Bernardo: l’estinzione della concupiscenza, il dominio e il primato di tutto l’Universo, la pienezza di tutte le grazie, di tutte le virtù, di tutti i doni, di tutte le beatitudini, di tutti i frutti dello Spirito, di tutte le scienze, della interpretazione dei sermoni, degli spiriti della profezia, dei discernimenti degli spiriti, delle operazioni delle virtù, la fecondità nella verginità, la maternità del Figlio di Dio, l’essere Stella del mare, la Porta del Cielo, e soprattutto la Regina della Misericordia.

Se era grande la gioia della Madonna che derivò dal possesso di tutti questi beni, infinitamente più grande era la gioia che derivò dal possesso di quel bene che è il Sommo Bene: Dio stesso. Perché con l’Incarnazione la Santissima Vergine Maria ha preso possesso in modo perfetto (in quanto era possibile ad un essere umano) di Dio stesso, la Seconda Persona della Santissima Trinità fatta Uomo. Ha preso possesso di Lui in modo perfetto sia fisicamente, sia spiritualmente: fisicamente in quanto l’ha contenuto nel Suo corpo stesso, nel paradiso terrestre del Suo grembo immacolato, secondo la parola di Geremia: “la donna cingerà l’uomo”. L’ha posseduto in modo perfetto spiritualmente in quanto la sua anima, per questo scopo, fu fornita di tutte le grazie, le virtù, e di tutti i doni di cui abbiamo già parlato.

Ma siccome l’Arcangelo san Gabriele annuncia la pace non solo alla Madonna, ma anche a tutto il genere umano, così anche la gioia, perché con la nascita del Suo Figlio, come recitiamo nel Prefazio della Madonna: “versò sul mondo la luce eterna”, quella Luce eterna che è Gesù, che nelle parole dell’inno è “l’allegria dei cuori, il gaudio delle lagrime, e il dolce premio della vita”.

E questa gioia celeste siamo capaci di possederla anche noi, non come un oggetto qualsiasi però, ma come la Madonna stessa (anche se in grado inferiore), possederla in noi. Perché il Signore stesso ha detto: “affinché la Mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena”, e possiamo possederla in noi nella inabitazione sostanziale della Santissima Trinità, quando siamo nello stato di grazia, e nella Santa Comunione.

Ma c’è un altro significato della parola Ave che è “viva”, che si riferisce ad Eva madre dei viventi. Chiamando la Madonna “viva”, l’Arcangelo la dichiara dunque “vera Madre dei viventi”: vera madre dei viventi perché vera Madre della vera Vita che è Dio stesso, e perché vera Madre della vera vita degli uomini che è la vita della Grazia, la Vita Eterna. E se la Madonna è la vera Madre della Vita, Eva non è la vera madre della vita, bensì la madre della morte, perché la vita terrestre è la morte in confronto alla Vita di Grazia, e perché lei, in conseguenza del Peccato Originale, è la causa della morte fisica di tutti i suoi discendenti, tranne la Madonna, e della morte spirituale dell’Inferno.

Questo contrasto tra la Madonna ed Eva la Chiesa lo vede espresso nel fatto che la parola Ave è l’inversione della parola Eva, come cantiamo nell’Inno Ave Maris StellaSumens illud ave (…) Mutans Hevae nomen/ Accogliendo quell’ “Ave” (…) trasformando il nome di Eva… E la Chiesa considera che come Ave è l’inversione di Eva, la Madonna converte in benedizione tutte le maledizioni di Eva.

Questo contrasto tra la Madonna ed Eva, la Patristica lo espone in oltre come contrasto tra una vergine sciocca ed una vergine prudente, una donna superba ed una donna umile: la prima che fa assaporare dell’albero della morte, la seconda che fa assaporare dell’albero della vita; la prima l’amarezza di un cibo velenoso, la seconda la dolcezza di un Frutto Eterno.

Ora, la dolcezza di questo Frutto Eterno è il Frutto del Seno della Santissima Vergine Maria, che desideriamo gustare a Natale, che desideriamo gustare e guardare con i propri occhi dopo questo nostro esilio, mostratoci dalla Sua tenerissima Madre: Lui che è l’allegria dei cuori, il gaudio delle lacrime, il dolce premio della vita. Amen.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen
Sia lodato Gesù Cristo

L’IMMACOLATA CONCEZIONE

Murillo_immaculate_conception+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

“La Santissima Vergine Maria, nel primo istante della Sua Concezione, per singolare Grazia e privilegio di Dio Onnipotente, e in vista dei meriti di Cristo Gesù + Salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia del Peccato Originale”. Questo è il Dogma dell’Immacolata Concezione proclamato nella Bolla Ineffabilis Deus del beato Pio IX nell’anno 1854.

Cosa era questa macchia del Peccato Originale? Gli effetti del Peccato Originale erano i seguenti: l’entrata della morte e della sofferenza nel genere umano; la perdita della Grazia santificante per loro, e la sua mancanza per tutta la loro discendenza dal concepimento in poi; la perdita della chiarezza dell’intelletto e della forza della volontà; la perdita del dominio completo della ragione sulle passioni; una certa soggezione al demonio. Ciò che viene descritto come ‘ogni macchia del Peccato Originale’ nel caso della Madonna si riferisce alla mancanza della Grazia santificante dal concepimento in poi. In altre parole la Madonna fu concepita nella Grazia santificante.

Ma la Santissima Vergine  fu preservata non solo dal Peccato Originale, ma anche dal peccato personale, come dichiara il sacro Concilio di Trento nelle seguenti parole: “La Chiesa mantiene che la Beata Vergine mediante un privilegio speciale di Dio, poteva evitare tutti i peccati, anche veniali, durante tutta la Sua vita. Così che può essere applicata a Lei la frase del Cantico dei Cantici: Tutta bella sei tu, o mia diletta, e macchia non è in te (Ct.4,7)”.

Sant’Alfonso M. de Liguori commenta: “Da che Ella ebbe uso della ragione, cioè, dal primo istante della sua immacolata concezione nell’utero della Santa Anna, sin da allora cominciò con tutte le Sue forze ad amare il Suo Dio, e così seguì a far sempre più avanzandosi nella perfezione, nell’amore, in tutta la Sua vita. Tutti i Suoi pensieri, i desideri, gli affetti, non furono che di Dio, non disse parola, non fece torto, non diede occhiata, non un respiro che non fosse per Dio e per la Sua gloria, senza mai storcere un passo, senza mai distaccarsi un momento dall’amore Divino”.

La preservazione della Madonna dal Peccato Originale e personale sono le condizioni della purezza della Madonna, della purezza sublime richiesta dal Suo rapporto ineffabile con Dio. Nelle parole di san Bernardo: “Con ragione si presenta Maria ammantata di Sole; Lei  che ha penetrato oltre ogni nostra immaginazione l’abisso profondissimo della Divina Sapienza, così che per quanto lo consente la condizione di una creatura, Ella appare come immersa in quella Luce inaccessibile”.

Questa sublime purezza della Beatissima Vergine fu rivelata all’anima del Sommo Pontefice Beato Pio IX.  Egli raccontò che: “mentre Dio proclamava il Dogma per la bocca del Suo Vicario, Dio stesso dette al mio spirito un conoscimento sì chiaro e sì largo dell’incomparabile purezza della Santissima Vergine che, inabissato nella profondità di questa conoscenza, cui nessun linguaggio potrebbe descrivere, l’anima mia restò inondata di delizie inenarrabili, di delizie che non sono terrene, nè potrebbero provarsi che in Cielo. Nessuna prosperità, nessuna gioia di questo mondo potrebbe dare di quelle delizie la minima idea, ed io non temo affermare che, il Vicario di Cristo, ebbe bisogno di una grazia speciale per non morire di dolcezza sotto l’impressione di cotesta cognizione, di cotesto sentimento della bellezza incomparabile di Maria Immacolata”.

Proviamo, carissimi fedeli, a crescere ogni giorno nella nostra devozione all’Immacolata Concezione, che a causa della Sua vicinanza a Dio e del Suo profondo Amore materno verso ognuno di noi,  è l’Avvocata più potente che ci sia per noi presso l’Altissimo. AffidiamoLe i nostri affanni, onoriamoLa con la preghiera del Santo Rosario, amiamoLa nei nostri cuori.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il Santo Rosario: la festa

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Nell’Enciclica Octobri Mense il Papa Leone XIII afferma che è stata la stessa Regina del Cielo ad annettere una grande efficacia alla preghiera del Santo Rosario poichè è per ispirazione di Lei che il Rosario è stato istituito e propagato da san Domenico in tempi molto dolorosi per la Chiesa, non tanto dissimili da quelli attuali, quasi strumento di guerra, scrive il Papa, molto adatto a vincere i nemici della fede, nella forma degli eretici Albigesi, e così, continua il Papa, col favore della Vergine Gloriosa, debellatrice di tutte le eresie, hanno annullato e distrutto le forze degli empi e salvato la fede di tanti.

Un’altra vittoria del Santo Rosario che festeggiamo in questa prima Domenica di ottobre è quella di Lepanto che è successa in risposta alla recita del Santo Rosario da parte dei fedeli di tutta l’Europa e soprattutto di Roma, si racconta come prova dell’intercessione della Madonna, la Sua immagine miracolosamente formata nel fumo dei fucili proprio all’inizio della battaglia, determinante contro l’Islam.

Il Santo Rosario è dunque una preghiera molto potente che, possiamo dire inoltre, conserva la fede, mette il fedele sotto la protezione della Madonna e lo inizia alla meditazione del Volto adorabile di Cristo +.

+ In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Sia lodato Gesù Cristo.

La Mediatrice di tutte le grazie

 

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In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Oggi è la solennità del Santo Rosario in cui si celebra la gloriosa vittoria di Lepanto sull’Islam: una vittoria guadagnata soprattutto per la recita del Santo Rosario. Siccome la vittoria di Lepanto, così anche la preghiera stessa del Rosario, ci mostra chiaramente il ruolo di Mediatrice della Madonna.

Nell’Ave Maria ci rivolgiamo a Lei a causa della sua vicinanza a Dio: Lei che è piena di grazia perché il Signore è con Lei; benedetta fra le donne perché è benedetto il frutto del suo seno Gesù; e Santa perché è Madre di Dio. E preghiamo a Lei che Lei preghi per noi adesso e nell’ora della nostra morte: cioè, in tutte le nostre necessità. Lei è la Mediatrice dunque: sta tra noi e Dio e raggiungiamo Dio per mezzo di Lei.

La stessa verità viene espressa nei Misteri del Santo Rosario: nel primo Mistero Gaudioso contempliamo prima Lei e poi il Signore concepito nel suo santo seno, in un crescendo che è proprio della Rivelazione. Nel secondo Mistero contempliamo prima Lei di nuovo da sola, andando alla casa di Santa Elisabetta, e poi Nostro Signore nel Suo primo atto pubblico: quello della santificazione di San Giovanni Battista. Nel terzo Mistero la meditiamo con il suo Figlio Divino che possiamo adorare ormai con gli occhi dello spirito. Nel quarto e nel quinto Mistero Gaudioso la vediamo sempre inchinata e protesa verso il suo Figlio Divino: offrendoLo e poi trovandoLo nel tempio.

Lei è la Mediatrice, andiamo per mezzo di Lei al Signore: per Mariam ad Jesum. Questo è vero della Preghiera Ave Maria e dei Misteri Gaudiosi, ma anche dei Misteri Dolorosi, perché i Misteri dove il Signore viene offerto e trovato nel tempio sono allo stesso tempo Dolori della Vergine Maria (il primo e il terzo) che anticipano e preparano ai dolori del Suo Figlio.
Nei Misteri Dolorosi la Madonna si ritira per mettere in luce il Signore, anche se le Rivelazioni di Santa Brigida, per esempio, attestano la sua presenza alla flagellazione; e la Tradizione della Chiesa La presenta vedendo il Suo Figlio incoronato e portando la Croce; e il Vangelo ci parla della Sua presenza sotto la Croce.

La Madonna dunque ci conduce al Suo Figlio nei Misteri Gaudiosi e Dolorosi, che poi contempliamo Risorto e asceso al Cielo. I Misteri si concludono con la visione della Madonna glorificata per il suo ruolo nella Redenzione.

Il principio “per Mariam ad Jesum” si manifesta di nuovo con la Preghiera che conclude il Santo Rosario, “Salve Regina”. Dopo aver invocato la Regina del Cielo e della Terra in questa Preghiera con grande devozione nel fervore, Le chiediamo di mostrarci nel Cielo il frutto del suo seno Gesù.
Se questa Preghiera conclude tutto il Rosario, conclude anche in un certo senso la Preghiera dell’Ave Maria stessa. Perché mentre nell’Ave Maria chiamiamo “benedetto” il frutto del suo seno Gesù e chiediamo alla Madonna di pregare per noi; nella Salve Regina chiediamo che Lei ci mostri il frutto del suo seno Gesù. Chiediamo esplicitamente, dunque, ciò che non avevamo ancora osato chiedere che cioè, in ultima analisi, il fine ultimo e il culmine di ogni Preghiera: la visione beatifica di Dio in Cielo.

La Santa Chiesa Cattolica insegna che la Madonna è Mediatrice di tutte le grazie e questo in due sensi. Il primo senso è che ha donato al mondo il Redentore Che è la fonte di tutte le grazie; il secondo senso è che tutte le grazie che vengono elargite sugli uomini, vengono concesse per la Sua intercessione.
Leone XIII dichiara nella sua Enciclica sul Rosario Octobri mense: ” Per questo, è lecito affermare, a piena ragione, che dell’immenso tesoro di ogni grazia che il Signore ci ha procacciato, poiché “la grazia e la verità provengono da Cristo” (Gv. 1,17), nulla ci viene dato direttamente se non attraverso Maria, per volere di Dio. Dato che nessuno può andare al Sommo Padre se non per mezzo del Figlio, così, di regola, nessuno può avvicinarsi a Cristo se non attraverso la Madre”.

Come possiamo caratterizzare la mediazione della Madonna?
Innanzitutto come collaborazione, perché occorre distinguere la mediazione del Figlio da quella della Madre. La mediazione del Figlio è perfetta, perché Lui solo ha riconciliato l’uomo con Dio tramite la Sua morte in Croce, mentre la mediazione della Madre è piuttosto una collaborazione. E’ una collaborazione dove opera in modo preparatorio o ministeriale ed in modo indiretto e remoto quando disse, ad esempio, all’Incarnazione “Ecce ancilla Domini”, e quando stava sotto la Croce ad offrire tutta la sua vita e sofferenza a servizio del Divin Redentore.
La mediazione della Madonna è anche una mediazione materna, e questo in un doppio senso. Perché ha donato il Redentore agli uomini sia come Madre del Redentore sia come Madre degli uomini; ed anche perché intercede presso Dio a favore degli uomini sia come Madre di Dio sia come Madre degli uomini.

Poiché la Madonna è la Mediatrice di tutte le grazie, conviene che affidiamo sempre più fervorosamente, ed intensamente noi stessi a questa nostra Madre tenerissima e potentissima per poter vincere i nostri nemici: il Mondo, la Carne e il Diavolo o, in una parola, per vincere noi stessi: per adorare poi con Lei, in Cielo, il frutto benedetto del suo seno, Gesù.

Sia lodato Gesù Cristo +
In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

La santità

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+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Carissimi fedeli, l’unico scopo della vita umana è la nostra santificazione, per questo siamo stati creati, per nient’altro che questo.

Il Signore ci da ottanta o novanta anni di vita, normalmente, solo per questo. Se noi arriviamo alla fine dei nostri giorni e non siamo ancora santi, abbiamo fallito.

Cosa è la Santità?

La santità è la perfezione della Carità, ossia, la perfezione dell’Amore sovrannaturale, nel senso assoluto dei termini la santità, la perfezione della Carità, la perfezione dell’Amore sovrannaturale è solo Dio stesso, Dio è la santità, Dio è la Carità, e Dio Che è la santità e la Carità ci comanda di essere Santi anche noi: “siate Santi, perchè Io sono Santo”, dice il Signore quattro volte nel Libro del Levitico.

Ma cosa è la santità per noi? Cosa è la perfezione della Carità per gli uomini? Nostro Signore Gesù Cristo + risponde: “nessun uomo ha un amore più grande di questo, di dare la sua vita per i suoi amici”. Parla della santità, parla della perfezione dell’amore per un uomo, per noi, esprime la santità in termini di quell’atto che Lui ha compiuto da uomo per salvare il mondo. Questa è dunque la santità per noi: dare la nostra vita per i nostri amici.

Per quali amici? Per Dio stesso, perché Dio è il nostro più grande, più caro e amorevole Amico, è in un certo senso il nostro unico Amico, perché Lui ci ha creati, ci conserva in esistenza, ci ha dato e ci dà tutto ciò che siamo e che abbiamo; ci ha redenti con la Sua Passione e la Sua Morte e vuol dare tutto a noi, cioè Se Stesso e per sempre.

Dobbiamo, dunque, dare la nostra vita per Lui in primo luogo e in assoluto, e poi dobbiamo dare la nostra vita per il nostro prossimo, questo in secondo luogo e in modo relativo, perchè amiamo il prossimo solo in Dio e a causa di Dio, questo difatti è il soggetto del Comandamento nuovo del Signore: che vi amiate gli uni e gli altri, come Io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Questa stessa perfezione dell’amore viene insegnata in due altri testi particolari della Sacra Scrittura, il primo testo è: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze e il prossimo come te stesso”, il secondo testo è quello dei Dieci Comandamenti di cui i primi tre stabiliscono l’amore per Dio e gli altri sette stabiliscono l’amore per il prossimo: chi mi ama – dice il Signore – tiene i miei Comandamenti. Per spiegare meglio ciò che sono i Dieci Comandamenti bisogna sapere che non solo vietano ciò che è peccato, ma che anche ci incitano alla perfezione della Carità.

E difatti lo scopo della vita umana non è solo di evitare il peccato, soprattutto il peccato mortale per poter raggiungere il Cielo, bensì di perfezionarci, come ho detto all’inizio di questa omelia, per raggiungere quel grado di gloria in Cielo che Dio ha stabilito per noi prima della creazione del mondo.

Guardiamo un attimo il lato positivo dei Comandamenti:
– i primi tre stabiliscono l’adorazione e l’onore dovuto a Dio, tanto in privato quanto in pubblico, nonché la Fede, la Speranza e la Carità verso di Lui;
– il quarto stabilisce l’onore per i Genitori e per i Superiori,
– il quinto (con le parole del Catechismo di Trento) ci ingiunge, anche, di estendere la nostra concordia e caritatevole amicizia verso i nemici per avere pace con tutti, sia pure affrontando con pazienza, ogni contrarietà;
– il sesto ci ingiunge alla purezza dell’amore, alla castità ed alla modestia;
– il settimo ci impone di essere benevoli e generosi verso il prossimo;
– gli ultimi tre, l’ottavo, il nono e il decimo ci insegnano di non parlare male del prossimo, di pregare per ciò che ci conviene di possedere, di apprezzare i nostri beni e di ringraziarne il Signore.

Per tenere i Comandamenti e per perfezionarci occorre la pratica delle virtù, soprattutto le virtù Cardinali della prudenza, della giustizia, della temperanza e fortezza, occorre anche un lavoro assiduo contro le nostre imperfezioni di carattere o di abitudine, forse siamo approssimativi nelle azioni e nelle nostre parole, siamo rozzi, maleducati un pò, indifferenti al prossimo, un pò liberi nelle parole, un pò maliziosi, aspri, amari, suscettibili, permalosi, distratti, disordinati, inaffidabili, inclini al risentimento, pensieri contro la Carità, all’eccesso di tristezza, di ira, di paura o persino di gioia. Questo lavoro sul nostro carattere, sulle nostre abitudini, anche quasi più del lavoro contro il peccato è il lavoro più difficile che ci sia, si chiama “il lavoro dei Santi”, nelle parole di santa Teresina che provengono dalla Sacra Scrittura: “il lavoro fra tutti più penoso è quello che si intraprende sopra se stessi per arrivare a vincersi”.

Una parola sulla Preghiera.

Stiamo aspettando la Vita Eterna qua, dove vogliamo essere con Dio per sempre, se non pensiamo, se non parliamo, se non preghiamo mai a Lui, quale tipo di preparazione è questa per la Vita Eterna? Una mezza Ave Maria mentre mi addormento non basta! Devo afferrare del tempo, la mattina e la sera, per la Preghiera anzi, devo provare a vivere sempre nella presenza di Dio con l’attenzione della mente, verso di Lui, che non dimentichi mai che Lui è il mio più grande Amico Che occorre adorare, lodare, ringraziare, di Cui occorre chiedere favori, a Cui devo dare e dedicare tutta la mia vita.

Ho parlato del lato attivo della santificazione, ma c’è anche il lato passivo. La vita, dopo la caduta, è dura, siamo qua per lavorare e soffrire, per portare la nostra croce dietro a Lui, e questa sofferenza ci santifica più di tutte le azioni che potremmo compiere. Lui ha dato la Sua vita per i suoi amici, cioè a noi, nella sofferenza, quella sofferenza che ha manifestato il Suo Amore, così anche noi dobbiamo dare la nostra vita a Lui, con tutta la nostra sofferenza, perché questa manifesterà anche il nostro amore. Ci saranno sempre sofferenze e difficoltà, ma queste possiamo accettarle per amore di Lui ed offrirGliele come i nostri più preziosi tesori, uniti con le Sue sofferenze in Croce. Per la Sua gloria, per la salvezza del mondo, e per la santificazione della nostra anima.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Sia lodato Gesu’ Cristo.

Lo Spirito Santo

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Professiamo nel Credo: “credo nello Spirito Santo + che procede dal Padre + e dal Figlio +” e la Chiesa spiega che questo è un procedere, una processio, dall’Amore reciproco del Padre e del Figlio. Il Catechismo di Trento dichiara: che lo Spirito Santo procede della Divina Volontà come infiammata dall’Amore “a Divinae Voluntate veluti amore inflammata”.

Quanto all’operazione dello Spirito Santo nel mondo, citiamo la parola di sant’Agostino nella sua Opera De Trinitate (a cui il Papa Leone XIII si riferisce nella sua Enciclica Divinum Illud Munus, sulla Santissima Trinità), “come le Tre Persone Divine sono inseparabili, così operano inseparabilmente”.

Ma anche se ogni operazione di Dio nel mondo è operazione comune delle Tre Persone, viene attribuita ad una Persona particolare, secondo la proprietà particolare di queste Persone. Così l’opera di creazione viene attribuita al Padre, le opere di saggezza vengono attribuite al Figlio e le opere di Amore vengono attribuite allo Spirito Santo.

Ora, ci sono tre opere principali di Amore che vengono attribuite allo Spirito Santo:
1- l’Incarnazione; 2- la Chiesa; 3- e la santificazione delle Anime.
In questa piccola sintesi della dottrina cattolica ci appoggiamo sulla stessa Enciclica Divinum Illud Munus.

Primo punto: l’Incarnazione.

L’Incarnazione è l’opera di Amore di Dio verso gli uomini per eccellenza, un’opera completamente gratuita, un’opera della pura Grazia, per questo viene nominata “un’opera dello Spirito Santo”. Nel Credo professiamo: incarnatus est de Spiritu Sancto, come anche leggiamo nel Vangelo di san Matteo: “Sua Madre, Maria, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”, il versetto 20, “un Angelo disse quel che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo”, ma l’opera dello Spirito Santo non solo effettua l’Incarnazione ma anche accompagna ogni azione del Signore.

San Basilio il grande, dice che “ogni azione Sua fu compiuta nella presenza dello Spirito”, ciò che è particolarmente vero del Suo Sacrificio di Sè, nelle parole di san Paolo nella sua Lettera agli Ebrei: tramite lo Spirito Santo offrì Se stesso senza macchia, a Dio.

Secondo punto: la Chiesa.

La Chiesa è opera dello Spirito Santo, questo fatto viene espresso da sant’Agostino con le parole: “Quod est in corpore nostro anima, id est Spiritus Sanctus in corpore Christi quod est Ecclesia – ciò che è l’anima nel nostro corpo è lo Spirito Santo nel corpo di Cristo che è la Chiesa”. In altre parole lo Spirito Santo è l’Anima della Chiesa, cioè il principio della natura e della vita della Chiesa.

Questo fatto si manifesta in tre rispecchi:
1. lo Spirito Santo collega i membri della Chiesa, tra di loro, e con Cristo il loro Capo;
2. lo Spirito Santo conduce e accompagna con la Sua Grazia ogni operazione salvifica nelle membra del Corpo Mistico e promuove tutta la sua vita e crescita;
3. lo Spirito Santo sostiene la Gerarchia con la Sua assistenza nell’esercizio legittimo dei suoi tre Uffici di insegnare, di governare e di santificare, in particolare sostiene la Gerarchia nel Suo Ufficio di insegnare “munus docendi” come lo Spirito di Verità, in quanto procede dall’Eterno vero Dio e dalla Verità che è il Figlio +.

Questi benefici lo Spirito Santo ha cominciato ad elargire sulla Chiesa il giorno stesso di Pentecoste.

Terzo punto: la santificazione delle Anime.

Lo Spirito Santo abita ora nelle Anime dei giusti, questo avviene per mezzo di una infusione così ricca che il Signore dice nel Vangelo di san Giovanni: chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno, questo Egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in Lui.

Questa infusione dello Spirito Santo comincia con il Battesimo e continua con la Cresima, effettua una nuova creazione, rende l’anima simile a se, rende la persona figlio di Dio. “Lo Spirito Santo entrando nell’anima porta con se i Suoi Doni e le Sue ispirazioni che sono come il soffio di una brezza che viene, i moti di un cuore completamente nascosto, porta con se altrettanto i suoi frutti dolci e ricchi di gioia, Lui, che nella Santissima Trinità è la dolcezza del Padre e del Figlio e che elargisce a tutte le creature con una infinita pienezza”, nelle parole di sant’Agostino.

Ma il bene più grande che lo Spirito Santo porta è Se stesso, che si dona ai fedeli, Lui che procedendo dall’Amore reciproco del Padre e del Figlio viene giustamente considerato e nominato “il Dono dell’Altissimo Dio – Altissimi, Dominum Dei”.

Lo Spirito Santo donandosi dunque ai fedeli abita nelle loro anime dove Lui, come l’Amore stesso, li perfeziona nell’Amore e se la potenza e la saggezza di Dio si manifesta anche nelle anime degli ingiusti l’Amore, la Carità, si manifesta solo nelle anime dei giusti perchè è il segno proprio dello Spirito Santo al quale nessun altro, che il giusto, partecipa.

Preghiamo e amiamo lo Spirito Santo che è Dio, che occorre amare con tutto il cuore che è Dio Amore. AmiamoLo con una vita pura e santa che conviene al Suo tempio che siamo noi, invochiamoLo per poter amare e per perdonare gli altri, Lui che è il perdono di tutti i peccati, invochiamoLo con le parole “venite Padre dei poveri, venite datore dei doni, venite luce dei cuori, Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo”.
Amen.
+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

I misteri dolorosi

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+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

     Per il primo Mistero Doloroso, voglio leggervi un passo scritto dal Beato cardinal Newman:

“Ecco quel che ci narra di Gesù san Marco, il quale pare abbia scritto quanto udì dalla voce di san Pietro, uno dei testimoni oculari della Passione. Arrivano al luogo chiamato Getsemani, ed Egli disse ai suoi Discepoli: “Fermatevi qui, mentre io faccio orazione”. E prese con se Pietro, Giacomo e Giovanni e li incominciò ad allibire e ad angosciarsi.

Osservate come Egli agisce deliberatamente: si reca in un luogo determinato e poi, data la parola d’ordine, sottrae quasi l’anima sua al sostegno della divinità, la lascia preda della desolazione, al dolore, allo sgomento che tutta la sommergono. Continua in questo modo in una agonia di spirito, così ben determinata, come se si trattasse di qualche tormento fisico, il fuoco o la ruota del supplizio.

E che cosa, dunque, dovette sopportare quando lasciò irrompere nell’anima Sua questo torrente di predestinato dolore? Ahimè! Ebbe a sopportare ciò che a noi è ben noto, anzi familiare, ma che per Lui fu sofferenza inaudita. Cosa facile per noi e tanto naturale che non sappiamo neppur concepirla come una grande pena, ma per Lui fu come il soffio e il veleno della Morte, dovette sopportare il peso del peccato, dei nostri peccati, di quelli del mondo intero.

In quell’ora terribile l’Innocente stese le braccia e offerse il petto agli assalti del Suo mortale nemico, un nemico spirante veleno pestifero e il cui abbraccio era la morte.

Rimase prostrato immobile e silenzioso, mentre il nemico orribile inabissava l’anima Sua in tutto l’orrore e l’atrocità dell’umano peccato, penetrandogli Cuore e coscienza, invadendoGli sensi e pensieri e coprendoLo come di una lebbra morale. Quale terrore quando i Suoi occhi, le Sue mani, i Suoi piedi, le Sue labbra, il Suo Cuore gli sembrarono membra del nemico e non dell’Uomo-Dio, era proprio quello l’Agnello Immacolato prima innocente, ma ora macchiato del sangue di migliaia di crimini”.

     Per il secondo Mistero Doloroso citiamo un brano da santa Brigida di Svezia, parole ricevute dalla Madonna:

“Nel momento in cui si avvicinava il tempo della Passione di Mio Figlio, tutti i Suoi nemici lo trascinarono via con percosse sulle guancie e sul collo, e dopo averGli sputato addosso si presero beffa di Lui, poi Lo condussero alla colonna, qui si tolse gli abiti da solo e si avvicinò alla colonna con le proprie mani che i nemici legarono senza misericordia. I Suoi amici erano fuggiti e i Suoi nemici sollevandolo Lo circondarono da ogni parte e frustarono il Suo Corpo puro con ogni corruzione e ogni peccato. Vidi il Suo Corpo flagellato e straziato fino alle ossa, tanto che gli si scorgevano le costole e la cosa più amara fu che quando smisero di flagellarLo ne scavarono e straziarono le carni. Così il Mio Figlio si rimise gli abiti e allora vidi che i Suoi piedi erano in una pozza di sangue, i Suoi nemici non tolleravano che si vestisse e Lo spinsero obbligandoLo a camminare. Ecco figlia mia, cosa ha sofferto Mio Figlio per voi”.

     Per il terzo Mistero Doloroso cito il padre Luis di Palma, dalle sue Meditazioni sulla Passione:

“Dopo intrecciarono una corona di spine, la intrecciarono con molta attenzione per non pungersi, avvalendosi probabilmente di tenaglia o di qualche strumento affine. La corona era a forma di ghirlanda o con maggior probabilità a forma di caschetto che così veniva a coprire tutta la testa. Alcune spine erano lunghe e aguzze, altre corte e ricurve, non si sa bene quali spine abbiano usato perchè in Israele ve ne sono di molte varietà, ed anche a Gerusalemme. Composta la corona Gliela conficcarono sul Capo con forza, a colpi di tenaglia e bastoni per non ferirsi. Il dolore fu atroce, il sangue cominciò a scorrerGli sul volto, fu allora che cominciarono gli scherni al finto re, il Signore lasciò ai suoi amici incastonate nella Sua corona regale due gemme preziose di inestimabile valore: il dolore e il dileggio.

Poi Gli misero una canna nella mano destra perchè fungesse da scettro, giudicavano Cristo un uomo vuoto e oscillante come la canna e altrettanto pensavano del Suo Regno, fragile e senza stabilità come la canna, ne risero, s’inginocchiavano porgendoGli le congratulazioni per il Suo Regno e dicendogli: – Salve, re dei Giudei! – e fingevano di adorarLo come un re. Gli sputavano in faccia e la loro sudicia saliva si mescolava con il prezioso Sangue del Signore che gocciolava dalla testa. Questo ferì molto profondamente il Signore che l’aveva raccontato ai discepoli prima che avvenisse, un giorno in cui andarono a Gerusalemme: – rideranno di me e mi sputacchieranno -.

Gli diedero molti schiaffi, Gli venivano davanti e Gli dicevano: – Salve re dei Giudei! – e gli davano schiaffi. Si avvicinavano uno dopo l’altro a salutarLo, si inginocchiavano, fingevano di baciarGli la mano e poi tendendo il braccio Gli davano uno schiaffo con tutta la forza. Altri nell’atto di inginocchiarsi gli afferravano la canna battendogliela poi in testa, si che le spine si conficcavano più in profondità. Gli tolsero di mano la canna e Lo percuotevano sul capo”.

     Per il quarto Mistero Doloroso, dal padre Faber:

“Riguardo ai Dolori della Santissima Vergine, la lealtà superò di molto la più terribile attesa. Un’altro aggravamento dell’afflizione di Maria nel Suo Quarto Dolore era causato dal conoscere che la Sua vista aumentava le sofferenze di Nostro Signore. La vista del Viso addolorato di Maria, fu per Gesù più penosa della terribile flagellazione alla colonna. Era necessario per completare il ciclo dei Dolori della Madonna che Ella si assoggettasse anche a questo straziante incontro, tale era la volontà di Dio, volontà sempre dolce anche nel più estremo rigore, sempre amabile anche quando la carne, il sangue e lo spirito fuggono atterriti per evitare l’amplesso designato. Questa volontà guidava il triste corteo del Calvario, questa volontà restava sul Golgota come una luminosa nube ed era come un’altra corona di spine attorno al Capo del Signore, un’altra croce sulle Sue spalle, una spada nel Cuor della Sua Madre, Essa cambiava questo Cuore materno, quasi in una spada infissa nel Cuore del Figlio.

Qual santo dimostrò mai tale sommissione alla volontà Divina come la Regina dei Martiri, Maria ascese il Calvario con coraggiosa calma per aiutare a sacrificare il Suo caro Figlio. L’Addolorata vedeva Gesù in balìa degli altri che potevano toccarLo e avvicinarLo mentre Ella, Sua Madre, ne era trattenuta lontano. Nei giorni di Betlemme e dell’Egitto la gioia di Maria consisteva nello stringersi Gesù al Cuore, quando Ella si occupava dei Suoi doveri materni, il Suo amore per Lui era divenuto così’ grande da non potersi esprimere che per mezzo di una timorosa venerazione. Il ricordo di quei felici istanti si presentava allora, alla memoria della Vergine, e le onde del dolore si precipitavano contro il Suo Cuore, quasi per strapparGlielo. Durante tutto il Venerdì Santo Maria si aperse un varco attraverso a quegli orrori, reprimendo i sentimenti della Sua natura, Ella non avrebbe voluto neppure per tutto il mondo che Le fosse risparmiato uno solo di quegli orrori”.

     Torniamo alle Rivelazioni di santa Brigida per meditare l’ultimo Mistero Doloroso:

“Vidi i Suoi occhi tramortiti, le gote bagnate, il viso dolente e la bocca aperta con la lingua rossa di sangue. Il ventre aderiva al dorso, tutti i liquidi erano fuoriusciti come se non ci fossero più le viscere. Vidi il Suo Corpo pallido e sfinito a causa del sangue che aveva perso, con le mani e i piedi rigidi e tesi sulla Croce, con la basra e i capelli intrisi di sangue.  La Sua pelle era così morbida e delicata che bastava colpirla leggermente per farne sgorgare il sangue. Il Suo Sangue era così vivo che lo si vedeva scorrere sotto la pelle. Essendo Mio Figlio di natura forte, la vita lottava contro la morte in un Corpo lacerato; quando il dolore saliva dalle membra e dai nervi trafitti dal Corpo al Cuore, la parte più sensibile più pura in Lui, il Cuore provava una sofferenza incredibile, e quando il dolore scendeva dal Cuore alle membra lacere, Egli ritardava con amarezza la Sua morte. La Morte si avvicinava e poichè il Cuore di Mio Figlio si spezzò per l’intensità del dolore, tutte le membra ebbero un sussulto, Egli protese un poco il Capo e poi lo reclinò.

Vedevo la Sua bocca aperta e la Sua lingua coperta di sangue, le Sue mani si erano scostate lievemente dal foro della Croce, per questo i piedi sostenevano un carico maggiore; le dita e le braccia si distesero e la schiena aderì al tronco. Venne poi un soldato e affondò a tal punto la lancia nel costato di Mio Figlio che quasi usciva dall’altro lato, e non appena ebbe ritratto la lancia, il petto si coprì di Sangue. Allora vedendo che il Cuore del Mio amato Figlio era stato lacerato, mi parve che lo fossi anche Io. Poi Egli venne calato dalla Croce ed Io lo posi sulle mie ginocchia, come un lebbroso, completamente livido e straziato, poichè i Suoi occhi erano morti e pieni di sangue, la bocca era fredda come la neve, la barba sembrava corta e il volto era contratto”.

+ In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Cristo Re e il trionfo

Pantokrator+In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.

Talvolta qualcuno chiamerà la Chiesa “trionfalista” come se fosse una società mediocre, puramente umana, centrata sul mero uomo, una società che non abbia niente su cui gloriarsi, come se dovesse prendere un posto modesto vicino alle altre religioni e, modestamente, tacere.

La realtà carissimi fedeli, però, è ben diversa: la Chiesa è una società perfetta animata dallo stesso Spirito Santo, santificante, infallibile, tutta pura, l’immacolata Sposa di Cristo.

Le altre religioni sono tutte false, i loro seguaci devono convertirsi, devono essere evangelizzati, catechizzati, battezzati e santificati, sottomessi al dominio di Cristo Re, Re di tutti gli uomini, non c’è un altra via di salvezza perché Cristo è Dio, l’unico Dio, “uno simile a Figlio d’uomo – dice san Giovanni – con occhi fiammeggianti come fuoco, la voce simile al fragore di grandi acque, che nella destra teneva sette stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio, il Suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza e mi disse: – Io sono l’Alfa e l’Omega, il Vivente, Io ero morto ma ora vivo per sempre ed ho potere sopra la morte e sopra gli inferi”.

Dunque, il Nostro Signore Gesù Cristo + che è già Re dell’Universo, Pantocrator, sia da Dio sia da Uomo in virtù dell’unione ipostatica fra la Sua divinità e la Sua umanità, è anche Re di tutti gli uomini in virtù della Sua Passione e Morte in Croce.

La Santa Chiesa Cattolica non si vergogna di Lui, dunque, che altrimenti si vergognerà di Lei davanti al Suo Padre e ai Suoi Angeli, bensì esulta soprattutto oggi nella Festa di Cristo Re, quando ricorda il Suo trionfo su Satana, sul peccato e sulla morte, esulta per Lui ed anche per se stessa, perché sa con certezza assoluta che seguendo il suo Re sul campo di battaglia di questo mondo, trionferà anche Lei.

Quaggiù facciamo parte della Chiesa Militante, militante contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti, e ci gloriamo di combattere sotto i vessilli di Cristo Re, per poter regnare con Lui dopo come Chiesa Trionfante in Cielo, per sempre.

La parola “trionfalista” come la parola “tradizionalista” sono parole moderne invitate da persone moderne per presentare come falso e male ciò che è vero e bene.

La Chiesa ha sempre visto la nostra vita terrena come una lotta dura contro i nemici della nostra salvezza, cioè, il mondo, la carne, il diavolo.

Il mondo, tutto ciò che ci circonda che sia male, le cattive compagnie, le pubblicità, i fiori del male sparsi attraverso i tratti interminabili del computer, la carne, tutti i desideri, gli istinti, le emozioni che lottano contro la ragione, e il diavolo, lui che aumenta i nostri disagi in tutto, obnubilando la nostra fede e la nostra fiducia in Dio insinuando pensieri cattivi, negativi, meschini nella mente, ingannandoci e seducendoci.

Contro questi nemici noi lottiamo in collaborazione con Nostro Signore Gesù Cristo + una collaborazione che culminerà nella Sua gloriosa vittoria sul mondo.

Questa è la visione della Chiesa, la visione tradizionale che, come tutto ciò che è tradizionale nella Chiesa è da accettare da noi come pienamente cattolica.

Gloriamoci, dunque, di combattere sotto i vessilli di questo Re vestito di una Corona e di una Porpora più gloriose di quelle di tutti i re che abbiano mai vissuto su questa terra, essendo gli strumenti dell’opera del Suo Divin Amore; gloriamoci nel Nostro Re, per cui saremo onorati di versare la nostra vita, come Lui ha versato la Sua per noi fino all’ultima goccia del Suo preziosissimo Sangue; gloriamoci di seguirLo in questa vita non con l’arroganza e la superbia, però, bensì nella profondissima umiltà portando la nostra croce dietro a Lui, consapevoli solo della Sua infinita maestà e della nostra iniquità e della nostra nullità, la nostra iniquità che l’ha messo in Croce, e seguendoLo così nell’umiltà, rinnegandoci, e portando la nostra croce vinceremo nella battaglia contro i nostri nemici, e trionferemo e regneremo con Lui per sempre nella gloria della Patria Celeste.

Amen

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo +

La morte

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+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

“E quel gentiluomo conosciuto come persona divertente e anima della compagnia, ora dov’è?

“Se entrate nella sua stanza, ora non c’è più; se cercate il suo letto, è stato occupato da un altro; le sue vesti, le sue armi, altri se le sono già prese e divise. Se volete vederlo, affacciatevi a quella fossa, dove si è trasformato in sozzura, in ossa prive di carne.

E così sarà anche per te, e in quella stanza nella quale tu avrai esalato l’ultimo respiro e sarai stato giudicato da Gesù Cristo +, si ballerà, si mangerà, si giocherà, e si riderà come prima. E l’anima tua allora dove sarà?”

Mettiamoci carissimi, nell’immaginazione sul letto di morte e guardiamo ciò che avremo cambiato nella nostra vita. Ringraziamo il Signore per il tempo che ci ha concesso adesso per mettere a regola la nostra vita, cominciamo con questo lavoro di conversione anche oggi.

“Davvero non vi è realtà più preziosa del tempo, ma non vi è oggetto meno stimato o più disprezzato dagli uomini del mondo: osserva un fannullone che si intrattiene ore intere sulla strada a guardare i passanti e far discorsi osceni, o a parlare di cose inutili. Se gli domandi che cosa stia facendo ti risponderà: ‘Faccio passare il tempo’. Poveri ciechi! Perdono tanti giorni, ma sono giorni che non torneranno più. O tempo disprezzato! tu sarai la realtà maggiormente desiderata dagli uomini di mondo al momento della morte. Desidereranno allora un altro anno, un mese, un giorno, ma non l’avranno.

“San Lorenzo Giustiniani afferma che ognuno ‘Sarebbe disposto a sacrificare le ricchezze, gli onori, i piaceri in cambio di una sola misera ora, ma questa ora non gli sarà data. Il sacerdote assistendo al letto già sta dicendo: ‘Parti anima di cristiano da questo mondo'” – proficiscere anima Christiana de hoc mundo – , mentre l’anima nostra sta per uscire dal corpo, come un uccello bianco lottando per liberarsi dal gabbio del corpo, ma noi non saremo in grado di indirizzarla dove vogliamo, volerà dove volerà: in Paradiso o all’Inferno.

“E poi l’ingiusto si accorgerà che gli è preclusa la possibilità di compiere alcun bene: per questa ragione esclamerà, tra le lagrime: ‘Come sono stato stolto! Tempo perso! Vita stessa persa! Anni persi nei quali avrei potuto farmi santo, ma non l’ho fatto, ed ora non c’è più tempo di farlo.’

“Ma a che serviranno questi lamenti e questi sospiri? – chiede sant’Alfonso – allora che sta per chiudersi la scena, la lampada è sul punto di spegnersi, e il morente si avvicina al momento decisivo dal quale dipende l’eternità.

“Gesù mio, Voi avete speso tutta la Vostra vita per salvare l’anima mia. Non c’è stato nessun momento della Vostra vita in cui non Vi siate offerto per me all’Eterno Padre per ottenermi il perdono e la salvezza eterna. Ed io ho vissuto per molti anni in questo mondo e quanti ne ho spesi finora per Voi? Tutto quanto mi ricordo di aver fatto, mi dà rimorso di coscienza. Il male è stato molto, il bene compiuto troppo poco e troppo pieno di imperfezioni e di tiepidezze, di amor proprio e di distrazioni.

“Non permettete che io perda più questo tempo che Voi mi date per Vostra misericordia. Ricordatemi sempre, amato mio Salvatore, l’Amore che mi avete portato, e le pene che avete patito per me, fate che io mi scordi di tutto, affinchè, in questa parte di vita che mi resta, io non pensi ad altro che amarVi e compiacerVi, datemi la santa perseveranza, affido tutto ai meriti del Vostro Sangue e confido nella Vostra intercessione o Maria, cara Madre mia. Amen.”

+In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Il Purgatorio

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+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

L’esistenza del Purgatorio come luogo reale è dogma di fede, affermato nei concili di Lione, di Firenze, e di Trento contro le proposte eretiche di una parte dei greci scismatici e contro quelle di Lutero e di Calvino.

La negazione del Purgatorio ritorna nell’epoca moderna con l’atteggiamento che tutti vanno in cielo subito dopo la morte a causa della ‘misericordia di Dio’ – quando per esempio un celebrante dirà ai fedeli durante un funerale di un qualsiasi membro della parrocchia “Adesso è in cielo”.

La verità però è che Dio non è solo misericordioso ma anche Santo e Giusto, per cui ci deve essere un luogo, nelle parole di Dante: “dove l’umano spirito si purga, e di salir al ciel diventa degno.”

San Cesario di Arles dice: “si incontrano cristiani i quali, benché convinti dell’esistenza del Purgatorio dicono con imperdonabile leggerezza: “Non temo il Purgatorio purché mi salvi!” parlano così perché non sanno cosa siano quelle sofferenze”.

Le pene del Purgatorio sono simili a quelle dell’Inferno: consistono nella pena del danno (la pena della perdita di Dio – pur non eterna – che Santa Veronica Giuliani chiama la pena maggiore) e la pena del senso. Queste pene vengono causate dal fuoco, che è il fuoco dell’Inferno. La differenza essenziale tra le sofferenze del Purgatorio e quelle dell’inferno è che le prime finiranno, mentre le seconde non finiranno.

Le pene del Purgatorio non sono simili a quelle di questa terra primo perché il grado più piccolo delle pene del Purgatorio (secondo l’insegnamento di tutti i Padri della Chiesa) supera in intensità qualunque sofferenza della terra, e secondo perché le pene di questa terra per una persona nello stato di grazia sono meritevoli, mentre per un’anima del Purgatorio non lo è.

San Bernardo commenta dopo una visione del Purgatorio: “Noi infelici se non faremo tutta la nostra penitenza sulla terra e ci toccherà un giorno andare a farla in questo fuoco più insopportabile, più tormentoso, più veemente di quanto possiamo immaginare in questa vita”.

La materia che alimenta il fuoco del Purgatorio sono i peccati commessi in questa vita dei quali non si è fatta la dovuta penitenza. L’intensità e la durezza di questa punizione dipende dalla gravità del peccato e il grado nel quale è radicato nell’anima.

Santa Veronica Giuliani, che esperimentava le pene del Purgatorio per un periodo di una, di tre, o di cinque ore a vari momenti della sua vita, parlava di “ore eterne”. Diceva: “Noi mortali non sappiamo che cosa sia il fuoco del Purgatorio. Si chiama così per modo di dire: ma esso è tanto scottante, è tanto penetrante, è tanto potente che in un tratto ti distrugge, annienta e consuma; ha un ardore così grande che in un baleno distruggerebbe il mondo tutto… Pensate che pene e che tormento sia a quelle povere anime! Sono nel fuoco come lo stesso fuoco, sono incorporate in esso, e nelle sue fiamme ardenti bruciano e si consumano senza pietà. La Divina Giustizia fa l’ufficio suo rettissimamente; nessuno può fuggire; ivi si deve stare sino a che sia purgato ogni minimo neo.”

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Proviamo a santificarci per evitare le pene indicibili del Purgatorio (per non parlare di quelle dell’Inferno). A noi dunque la sapienza di approfittare dell’esilio terreno per vivere santamente e per purificarci quaggiù attraverso tutte le difficoltà, le pene ed i disagi che la Divina Provvidenza vorrà inviarci, e la Carità di pregare per i defunti, per liberarli quanto prima dai loro eccessivi dolori.

 

La gloria dei Beati

In questo articolo consideriamo la gloria dei beati sotto l’aspetto dell’immagine che li raffigura tipicamente, cioè la stella. Dopo una breve introduzione guarderemo:

1. La gloria dei beati in cielo;
2. I gradi di questa gloria.

Introduzione

a) Il senso dell’immagine della stella

Il paragone dei beati con le stelle risale ultimamente al fatto che Dio è Luce, e che Egli presta ai beati qualcosa della propria luce. Rispetto al mondo, il Signore dichiara: ‘Sono la luce del mondo’ e dice ai discepoli, in modo analogo: ‘Siete la luce del mondo’. La luce di cui parla è quella della Verità e della Bontà di cui la perfezione è la Santità.

Questa luce ‘brilla nelle tenebre’ (Gv. 1) e per quello viene simbolizzata dalla stella. ‘Io sono la stella radiosa del mattino’, dice Nostro Signore Gesù Cristo (Apc. 22.16), ma anche i suoi santi, già su questa terra, vengono descritti come stelle, o associati ad esse.
b) La gloria dei santi in terra

Nell’Antico Testamento (Dan. 12.3) leggiamo: ‘Coloro che erano dotti, brilleranno come lo splendore del firmamento, e coloro che istruiscono molti alla giustizia, come le stelle per la perpetua eternità’; Similmente (Ecclesiasticus 1.6) leggiamo che brillava l’arciprete Simone, figlio di Onia: ‘Come astro mattutino in mezzo alle nubi, come la luna nei giorni in cui è piena, come sole sfolgorante sul tempio dell’ Altissimo’.

Nel libro dell’Apocalisse la stella rappresenta soprattutto la luce della Verità, ma anche la bontà, come nella parola (1.20): ‘le sette stelle sono gli angeli (delle sette chiese)’ che si riferisce ai dottori ed ai vescovi; e nella passo (12.1) sulla donna con una corona di 12 stelle che significano i 12 apostoli, che, come stelle, versavano la loro luce sulla Chiesa, cioè ai suoi inizi (simbolizzati dal capo).

Nella vita di san Domenico si legge che come giovane apparve ad una matrona nobile in una visione, con una stella radiosa sulla fronte, che irradiava il mondo intiero. Si può supporre che la stella rappresentasse insieme la luce della verità e della bontà di questo insigne santo e del suo ordine.

Nella sua Epistola ai Filippesi (2. 15) san Paolo ammonisce i fedeli alla santità, istruendogli di essere ‘figli di Dio immacolati in mezzo ad una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo…’

2. La gloria dei beati in cielo

Se l’immagine della stella viene adoperata soprattutto in un senso morale per i santi durante la loro vita terrena, cioè per rappresentare le loro opere radiose di insegnamento e di Carità; viene adoperata in un senso piuttosto spirituale quando loro raggiungono il cielo, cioè per rappresentare la loro gloria.

Nostro Signore dice (Apc.2.28): ‘A chi vincerà darò la stella mattutina’. Abbiamo già visto come è proprio Se Stesso che Egli descrive in questi termini, e di conseguenza un senso di queste parole è che ciò che il Signore darà a chi vincerà è Se Stesso.

In un altro senso, invece, un senso che si rapporta al soggetto che possiede Dio, (vide per questo punto – e per tutta questa sezione – il commentario di Cornelius a Lapide su1 Cor. 15. 41) questa ‘stella mattutina’ viene intesa come la gloria e la visione beatifica dell’eletto: viene chiamata ‘stella’ in virtù della splendore della sua luce e la chiarezza della visione; viene chiamata ‘ mattutina’ sia perché è data dopo la notte di questo mondo, sia perché costituisce l’inizio della beatitudine che sarà completata alla Risurrezione del proprio corpo.

Già nell’Antico Testamento, Dio promette ad Abramo una discendenza come le stelle del cielo: ‘Guarda il cielo e numera le stelle se puoi: così sarà il tuo seme’. La parola viene intesa non solo in senso carnale degli ebrei, ma pure in senso allegorico dei credenti e dei cristiani. In questo secondo senso si intende anche la frase seguente della santa Messa di Requiem: ‘Signifer sanctus Michael repraesentat eas in lucem sanctam, quam olim Abraham promisisti et semini eius.’

Cornelius a Lapide (nel commentario a Rom. 4.18) paragona la discendenza di Abramo alle stelle in quanto sarà: ‘innumera et maxima, sublimissima et caelestis, constans, ordinatissima et aeterna, potentissima, famosissima, splendidissima et gloriosissima’.

Il fondamento teologico dello splendore dei beati in cielo è la dottrina della chiarezza (claritas) del corpo trasfigurato. Questa chiarezza significa essere privi di ogni deformità, e pieni di bellezza e splendore. L’archetipo del corpo trasfigurato è quello del Signore Stesso sul Monte Tabor (Mt.17.2): ‘E fu trasfigurato davanti a loro, ed il suo volto brillava come il sole, ed il suo vestimento fu bianco come la luce’. In termini simili viene descritto ‘Uno come il Figlio dell’uomo’: ‘… il suo volto era come il sole brilla nella sua potenza’ (Apc. 1. 13- 16).

I corpi dei beati saranno trasfigurati alla loro Risurrezione, alla fine dei tempi. Nostro Signore Gesù Cristo, servendoSi dell’immagine del sole, ci assicura (Mt.13.43): ‘I giusti brilleranno come il sole nel Regno del Padre’.

Il motivo intrinseco della trasfigurazione del corpo è il traboccamento della gloria dell’anima sul corpo. Scrive san Tommaso d’Aquino (Suppl. 85.1): ‘La chiarezza dell’anima sarà recepita nel corpo in modo corporeale… in un corpo glorificato si conoscerà la gloria dell’anima, siccome per il cristallo si conosce il colore di un corpo contenuto in un vaso di cristallo’.

3. I gradi di gloria dei beati in cielo

‘Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luce, e altro lo splendore della stelle. Ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore’(1. Cor. 41). La citazione significa che i giusti goderanno di diversi gradi di gloria in Cielo. In questa sezione guarderemo prima l’ ineguaglianza di ricompensa dei giusti, e poi due modi diversi in cui il beato viene illuminato.
a) Ineguaglianza di ricompensa

La santa Chiesa cattolica insegna dogmaticamente che il grado di perfezione della Visione beatifica concesso all’uomo giusto corrisponde ai suoi meriti. Il Decretum pro Graecis del Concilio di Firenze dichiara che le anime dei perfettamente giusti ‘scorgono Iddio Uno e Trino chiaramente come lo è, ma secondo la diversità dei propri meriti: l’uno più perfettamente dell’altro’. Similmente il Concilio di Trento definisce che l’uomo giustificato merita un incremento della gloria celeste tramite le buone opere.

La contrapposizione eretica sull’eguaglianza nella Visione beatifica viene sostenuta da Gioviniano, che (sotto l’influsso dei Stoici) insegnava che tutte le virtù fossero dello stesso grado; e da Martin Lutero con la sua dottrina dell’imputazione esterna della giustizia di Cristo.

Nella sacra Scrittura, Nostro Signore Gesù Cristo promette (Mt 16. 27): ‘Egli (il Figlio dell’uomo) renderà a ciascuno secondo le sue opere’; e san Paolo scrive (1 Cor 3.8): ‘E ogni uomo riceverà la propria ricompensa, secondo il suo lavoro’; e (2 Cor 9.6) ‘Chi semina sparsamente, mieterà sparsamente: e chi semina in benedizioni, mieterà benedizioni’.

I padri della Chiesa si riferiscono alla parola del Signore sulle molte mansioni nella casa del Padre e la intendono della diversità dei meriti dei beati. Sant’Agostino per esempio, mentre intende il singolo denaro nella parabola della vigna della ricompensa della vita eterna, aggiunge (de Sanct. Virg. c.26): ‘In quella vita eterna, la luce dei meriti brillerà con una distinzione: ci sono molte mansioni nella casa del Padre… nelle molte mansioni l’uno viene onorato con uno splendore più grande di un altro’.
All’obiezione che questa ineguaglianza porterà all’invidia, risponde (in Joan. tr.67.2):
‘Non ci sarà invidia a causa della gloria ineguale poiché l’unità di amore regnerà in tutti’.

Scrive san Lorenzo Giustiniani (La Passione di Cristo 23): ‘..sarà più copiosa la ricchezza di splendore dove sarà più ardente il fuoco della Carità, e più puro il torrente di amore. Mirabili ornamenti la rivestiranno, e anche questi non tutti li potranno avere, ma solo quelli che li meriteranno per grazie particolare di Dio: radioso decoro a chi riuscirà a raggiungerli, e gaudio ineffabile a chi saprà contemplarli. Ciascuno però sarà lieto e felice, senza che alcuna miseria di invidia o bruttura di odio li conturbi, sapendo di possedere negli altri quello che mancherà a sé.’

Si nota d’altronde che ‘la stella della virginità brilla tra tutte come la luna tra le luci inferiori’ (Cornelius a Lapide), e che già sulla terra l’anima che si è consacrata alla castità perfetta per il Regno dei cieli, presta al proprio corpo una luce celeste.
b) Due modi di illuminazione

Abbiamo visto che il beato viene simbolizzato da una stella, in virtù della sua gloria e della visione beatifica. La luce del beato è una partecipazione alla luce di Dio, come la luce di una stella è una partecipazione alla luce del sole. Questa luce illuminerà l’anima prima della Risurrezione universale; dopo di che illuminerà l’anima e il corpo insieme.

E’l’una e la stessa luce che illuminerà il beato in due modi: allo stesso tempo lo glorificherà e lo renderà capace di vedere Dio. La luce infatti illuminerà l’anima intiera: il suo essere, per glorificarlo, e le sue facoltà, per poter conoscere Dio: ‘nella Vostra luce vedremo la luce’. Nel secondo caso la luce viene conosciuta come la luce della Gloria: il lumen gloriae.

San Tommaso d’Aquino spiega che più c’è Carità: più c’è il desiderio per Dio e più l’attitudine per accogliere la luce della Gloria nell’intelletto; più c’è l’attitudine: più perfetta sarà la visione di Dio in Cielo (Summa 1.12,6).

In sintesi allora: più grande è la Carità del beato: più vicina sarà a Dio in cielo; più grande sarà la sua gloria; più perfetta infine sarà la sua visione di Dio per tutta l’eternità.
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Scrive santa Teresa d’Avila (Vita 38): ‘Di alcune (anime) piacque al Signore di mostrarmi il grado di gloria che godono ed il posto che occupano in cielo. La differenza che separa le une dalle altre è molto grande’; e (Vita 37): … ‘non vorrei porre misura neppure io, quando si tratta di servire Sua Maestà, vorrei consacrare a Lui tutta la mia vita, le mie forze e la mia sanità, e non vorrei mai perdere per mia colpa neppur un minimo grado di gloria.

‘Se mi domandassero quale preferisco di queste due cose: rimanere su questa terra fino alla fine del mondo, in mezzo ad ogni sorta di travagli e poi salire al cielo con un pochino di gloria di più; oppure, andar subito in cielo senza nulla soffrire, ma con un grado di gloria di meno, accetterei ben volentieri tutti i tormenti del mondo, pur di avere in più quel minimo grado di gloria, e così meglio comprendere le grandezze di Dio. Vedo, infatti, che chi meglio comprende Dio, più lo ama e meglio ancora lo loda’.

Deo Gratias!