La Chiesa in sintesi

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

I.   LE QUATTRO NOTE

Ora, vi sono quattro ‘note’ o qualità che appartengono essenzialmente alla Chiesa di Cristo, che la distingue da tutte le altre comunità cristiane, e queste sono la sua Unità, Santità, Cattolicità, ed Apostolicità – come professiamo nel credo: credo in unam sanctam, catholicam, et apostolicam Ecclesiam.

UNA

La Chiesa è una in un doppio senso: È una nel senso che ella è unica: unica in quanto non vi sono altre chiese al di fuori della Chiesa cattolica. Le istituzioni che vengono chiamate “La chiesa protestante” e “ortodossa”, o “le Chiese protestanti” e “ortodosse” non sono in verità chiese, ma delle comunità di persone non sottomesse al papa, che professano, fino ad un certo grado, gli articoli della Fede cattolica.

La Chiesa è una anche nel senso che costituisce un’ unità in se, un’unità triplice, secondo la quale tutti i suoi membri professano la stessa Fede, partecipano agli stessi sacramenti, e sono sottomessi allo stesso papa. L’unità è fondata sul papa: la roccia che è Pietro, il capo visibile della Chiesa. Senza questo fondamento la Chiesa sarebbe una semplice somma di diverse parti (per esempio le parrocchie), tra le quali non vi sarebbe nessun vincolo di comunione.

SANTA

In quale senso la Chiesa è santa? È santa nel suo Capo invisibile Che è Cristo e nella sua anima Che è lo Spirito Santo. È santa nelle sue origini del costato aperto del Cristo morente in croce; è santa nel possesso di tutti i mezzi di santificazione, cioè la dottrina e i sacramenti; è santa nel suo fine: la glorificazione di Dio mediante la santificazione degli uomini. È altrettanto santa nella Fede, nella Speranza, e nella Carità soprannaturale dei suoi membri.

La proposizione che la Chiesa sia peccante, ecclesia peccatrix, è pura eresia. I fedeli che hanno commesso peccato mortale fanno ancora parte della Chiesa, ma non sul livello morale – cioè con i loro peccati – e dunque non rendono la Chiesa peccatrice. Fanno parto della Chiesa piuttosto 1) sul livello corporeo, ossia con i loro corpi, e 2) sul livello sovrannaturale – in virtù della loro Fede, Speranza, del loro Battesimo e delle grazie che possono possedere.

CATTOLICA

Dire che la Chiesa è cattolica significa che forma una totalità. La parola proviene dal greco holos – tutto. Questa totalità può essere intesa in diversi modi: riguardo alla totalità delle Verità ed alla totalità dei mezzi della salvezza che la Chiesa possiede; riguardo al comandamento del Signore di andare in tutto il mondo per annunziare il Vangelo a tutti gli uomini e per battezzarli tutti; come anche riguardo alla donazione totale di se stesso alla quale il Signore ci chiama: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, e con tutta la tua mente.

APOSTOLICA

La Chiesa è apostolica secondo le sue origini, particolarmente tramite l’apostolo san Pietro con il suo primato d’autorità e l’apostolo san Paolo con il suo primato dell’evangelizazzione; è apostolica secondo la sua dottrina che proviene dagli Apostoli ed anche secondo la successione apostolica, in quanto l’ordinazione sacerdotale ed episcopale provengono in una catena ininterrotta da san Pietro.
Osserviamo che i protestanti non hanno né la dottrina degli Apostoli, né la successione apostolica; gli ortodossi hanno la dottrina degli Apostoli (più o meno) e la successione apostolica, ma ne manca la legittimità.

*

La Chiesa di Cristo è dunque la Chiesa che è una, santa, cattolica, ed apostolica.

Concludiamo con due concetti importanti che riguardano la Chiesa: il primo è quello del Corpo Mistico.

II.   IL CORPO MISTICO DI CRISTO

Pio XII, nella sua enciclica “Mystici Corporis”, insegna che la descrizione della Chiesa come Corpo mistico di Cristo è la descrizione la più adatta di essa. L’elemento corporeo e visibile di questo corpo è la comunità dei fedeli che professano la stessa fede, ricevono gli stessi sacramenti, e che sono sottomessi alla stessa autorità. L’elemento spirituale ed invisibile, invece, si trova nel suo fine, (cioè la glorificazione di Dio mediante la santificazione e la beatitudine eterna degli uomini), altrettanto nella verità, nella grazia, e nel suo capo invisibile che è Cristo e nel suo principio vitale interiore che è lo Spirito Santo.

III.   EXTRA ECCLESIAM NON EST SALUS

Guardiamo finalmente il dogma che al di fuori della Chiesa non vi è salvezza: Extra ecclesiam non est salus. Questa dottrina si riferisce a colui che colpevolmente è al di fuori della Chiesa e che l’ha respinta.

Colui, d’altra parte, che senza propria colpa non fa parte della Chiesa, non avendone mai sentito parlare ad esempio, ma tuttavia vivendo secondo la sua coscienza, può essere salvato. La sua salvezza ne conseguirà non immediatamente, però, come conseguenza immediata di una buona vita, ma mediatamente: tramite la Fede e la Grazia che vengono esclusivamente dalla Chiesa e che sono necessarie per la salvezza. San Tommaso d’Aquino argomenta che Iddio illuminerà la persona che vive secondo la sua coscienza, inviandole un predicatore o un angelo ad esempio per illuminarla sufficientemente per credere, e per portarlo al battesimo, almeno in desiderio.

*

Carissimi fedeli, bisogna conoscere la Chiesa nella sua vera identità: come una, santa, Cattolica, ed apostolica, il Corpo mistico di Cristo, e l’unico mezzo di salvezza. Non è il nostro compito di inventare una nuova Fede a riguardo, seguendo la corrente di moda di una perversa generazione, o provando a far piacere a tutti. Il nostro compito piuttosto è di accettare in tutta umiltà cio’ che la stessa Chiesa ci insegna su se stessa da due mille anni. Bisogna essere fieri e profondamente grati di professare questa Fede e di essere membri della Chiesa cattolica, che è quella barca che sola sopravivrà l’inondazione, quella barca che solo contiene tutto cio’ è necessario per attraversare il mare amaro e pericoloso di questo mondo, e che solo ci puo’ portare, sotto la protezione della Stella Maris, la Beatissima e sempre Vergine Maria, al littore della Patria celeste. Amen.

La necessità della Fede

 

Il Concilio Vaticano Primo, citando la lettera agli Ebrei XI 6 , dichiara: “Senza la fede (…) è impossibile
essere graditi a Dio.” Qui la Chiesa dichiara la necessità della fede per la salvezza.
La Chiesa esprime la stessa dottrina quando dichiara la necessità del battesimo per la salvezza (a causa della relazione intima tra la fede e il battesimo). La Chiesa dichiara questa necessità per esempio nel Concilio di Trento con le parole: “Il sacramento del battesimo …è sacramento della Fede, senza cui nessuno raggiunge mai la giustificazione.” Questo insegnamento della Chiesa sulla necessità della Fede e del battesimo per la salvezza viene espresso chiaramente alla fine del Vangelo di San Marco: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato.”
La Chiesa esprime lo stesso insegnamento anche in termini dell’appartenenza alla Chiesa, perché essere fedele battezzato è essere membro della Chiesa. Nel Concilio Laterano Quarto la Chiesa dichiara nell’anno 1215: “Fuori della Chiesa nessuno affatto viene salvato”, e il beato Pio IX afferma nella sua Enciclica Singulari Quadam: “Sulla base della Fede è sicuro che nessuno possa raggiungere la salvezza fuori della Chiesa Romana Apostolica. Questo è l’unica arca di salvezza. Chiunque non entra qui perirà nell’ inondazione.”
Senza la Fede, senza il battesimo, fuori della Chiesa, non c’è salvezza: Extra Ecclesiam non est salus. Questo è dogma cattolico. Ma perché? Perché la fede è essenziale per la nostra salvezza? Abbiamo dato la risposta a questa domanda all’inizio delle nostre deliberazioni sulla Fede. Il nostro fine ultimo è soprannaturale: questo esige un mezzo soprannaturale per raggiungerlo: cioè la Fede.
Possiamo illustrare questa verità con l’immagine di un viaggio. Ora, quando facciamo un viaggio, dobbiamo sapere dove e come ci andiamo: dobbiamo conoscere la meta, e la via che ci porta a questa meta. Ebbene la vita è un viaggio, la meta è Iddio: La Santissima Trinità. La via che conduce a questa meta è Nostro Signore Gesù Cristo, Che prima di morire disse solennemente a noi: “Io sono la via… Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giov.14.6). Concludiamo che per arrivare alla meta del viaggio che è la nostra vita, dobbiamo conoscere i misteri della Santissima Trinità, e i misteri di Gesù Cristo cioè della sua Incarnazione e Redenzione. La nostra Fede comprende esplicitamente questi misteri (per così dire come il suo nucleo essenziale) ma anche implicitamente tutto ciò che Iddio ci ha rivelato e la Chiesa ci ha proposto di credere.
Dobbiamo concludere altresì che tutti che non credono saranno dannati? Per rispondere a questa domanda, bisogna considerare il versetto seguente della prima lettera a Timoteo (2, 4): “ Dio (…) vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità.” Ora poiché Iddio è onnipotente, possiamo dedurre da questa frase che è possibile per ognuno di essere salvato. Comunque, abbiamo visto che questo è possibile solo mediante la Fede, perché San Paolo scrive nella lettera agli Ebrei: “Senza la fede (…) è impossibile essere graditi a Dio.” La stessa dottrina viene espressa nella sua lettera a Timoteo col suo riferimento alla conoscenza della verità – cioè la verità soprannaturale: la Fede. E infatti San Paolo procede dopo questa frase parlando di Cristo Gesù come “unico mediatore fra Dio e gli uomini” e sulla Redenzione.
Ognuno può essere salvato dunque, ma solo tramite la Fede. Non è sufficiente vivere secondo la coscienza, e / o riconoscere l’esistenza di un Dio Creatore (soltanto), e / o seguire qualsiasi religione. Solo la Fede salva, ma tutti possono accedere alla Fede ed accettarla (se vogliono).

Ma quale è la situazione per coloro che vivono nell’ ‘ignoranza invincibile’, per esempio al di fuori della civiltà cristiana? Il beato Pio IX dichiara nella sua enciclica sopra citata: “Si può supporre con certezza che coloro che soffrono dell’ignoranza della vera religione, se questa ignoranza è invincibile, non sono colpevoli agli occhi del Signore.” Ma come possono queste persone accedere alla Fede? San Tommaso d’Aquino pronuncia il principio seguente: Se qualcuno fa ciò che rientra nelle proprie possibilità, Iddio non mancherà di concedergli ciò che gli è necessario. Ciò significa che se una persona vive nell’ignoranza invincibile e conduce una vita buona, accederà alla Fede. San Tommaso suggerisce che questo può capitare o tramite un’ispirazione interiore o tramite un predicatore umano o angelico.
Partendo dal fatto che la Fede è l’unico mezzo per raggiungere la salvezza, possiamo comprendere l’importanza dell’evangelizzazione. Iddio ci dà come comandamento di amare Lui e il nostro prossimo: amiamo il nostro prossimo soprattutto cercando il suo bene eterno: la sua salvezza – con la preghiera, con l’esempio, e con la predica. Abbiamo visto che il vangelo di San Marco termina con il comandamento agli apostoli di andare in tutto il mondo a predicare ed a battezzare; il Vangeli di San Matteo e di San Luca terminano in modo simile. Questo comandamento viene come conclusione logica dei vangeli, il veicolo per mezzo del quale i frutti dei vangeli, i frutti della vita, passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo possono essere diffusi nel mondo intero e essere goduti da tutti gli uomini. Questo è lo scopo del catechismo; questo è lo scopo dell’attività missionaria della Chiesa da duemila anni.
Questo scopo si esprime nella parola “cattolico” stessa che deriva dalla parola greca per intero, che significa, tra l’altro, la missione della Chiesa di diffondersi nel mondo intero. Questo scopo, finalmente, si esprime ugualmente nella parola ‘ecumenismo’ che deriva dalla parola greca per mondo – perché l’ecumenismo non ha altro scopo compatibile con la Fede che portare tutto il mondo “alla conoscenza della verità” – la verità soprannaturale, la Fede; e alla Chiesa Cattolica.
E la Chiesa è l’unica arca di salvezza che può portarci attraverso il mare turbolente di questo mondo, guidata dalla Stella Maris che è Maria, alla patria nell’aldilà: la Santissima Trinità,

a Cui ogni lode, onore, e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Il matrimonio sotto attacco di Don Pietro Leone

Presentazione di Alessandro Gnocchi

ilmatrimoniosottoattaccoDal divorzio all’omosessualismo, è visibile una lunga linea rossa che evidenzia l’attacco all’istituzione matrimonio voluta da Dio. Prima ancora della ribellione contro la natura e le sue leggi, si tratta di una ribellione all’ordine della creazione stabilito una volta per tutte del Creatore. E, proprio quando servirebbe una parola chiara da parte della Chiesa cattolica e dei suoi pastori, ecco che ci si trova davanti a sinodi dove trovano cittadinanza, e sono persino maggioritarie, teorie che sovvertono l’ordine naturale e sovrannaturale del matrimonio.
In questo quadro, l’opera di don Pietro Leone compie un atto di vera misericordia, di carità intellettuale, nel rimettere le idee al loro posto, facendole camminare sui piedi e con la testa rivolta verso l’alto. Ed è proprio questo il pregio maggiore del lavoro di don Leone, quello di riconoscere a fondamento dell’ordine naturale il volere e la legge di Dio.
Un lavoro che si raccomanda per la sua profondità dottrinale e per il suo afflato spirituale che offrirà a chiunque lo legga gli strumenti per capire in che cosa consiste la vocazione al matrimonio e alla famiglia.
[ISBN-978-88-7497-976-9]

Il Buon Samaritano

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

San Luca è stato chiamato l’evangelista della Misericordia di Dio, in gran parte a causa delle Parabole che si trovano nel suo Vangelo come quella del Buon Samaritano e del Figliol Prodigo. Ora, quando leggiamo la Parabola del Buon Samaritano nella luce dei Padri della Chiesa, vediamo che questa Parabola parla della Misericordia di Dio nel contesto di tutta la storia della Salvezza, come adesso vedremo insieme.

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico qui Gerusalemme, che significa “visione di pace” rappresenta, secondo i Padri, il Paradiso terreno, il Giardino di Eden, e Gerico che significa “Luna” rappresenta il mondo in cui tutto è mutabile, è instabile come la Luna stessa, l’uomo rappresenta Adamo e la discesa da Gerusalemme a Gerico è la caduta di Adamo all’occasione del Peccato Originale, e incappò nei briganti che lo spogliano e lo feriscono e lo lasciano tramortito.

Questi briganti sono, nelle parole di sant’Ambrogio, gli “angeli della notte e delle tenebre” che dopo il Peccato Originale hanno spogliato Adamo dei doni sovrannaturali che aveva ricevuti da Dio e l’hanno lasciato nello stato della natura caduta, dove è difficile conoscere la verità, agire bene, compiere i nostri doveri, dove è facile essere attratti e sedotti dalle nostre emozioni.

Cosa succede adesso nella Parabola?

Un sacerdote lo vede e passa, un levita lo vede e passa. San Giovanni Crisostomo interpreta il sacerdote come il sacrificio dell’Antico Testamento, il levita come la Legge dell’Antico Testamento, ne l’uno ne l’altro poteva guarire l’uomo caduto e dunque, nella storia, tutti e due passano senza fermarsi.

Un samaritano che percorreva la medesima strada si avvicinò a lui e vedendolo provò una compassione per lui, questo samaritano è nessun altro che Cristo stesso, anch’Egli scende da Gerusalemme a Gerico, ossia, dal Paradiso a questo mondo e porta con se il rimedio di cui l’uomo caduto ha bisogno, che nessuno prima di Lui nell’Antico Testamento poteva dargli: avvicinandosi gli ha fasciato le ferite, cosparso olio e vino e mettendolo sul suo cavallo, lo condusse all’albergo ed ebbe cura di lui.

Questa frase ci parla del rimedio portato dal Signore: l’olio e il vino sono i Sacramenti, l’olio simbolizza il Battesimo, la Cresima, il Sacerdozio e l’Estrema Unzione, il vino simbolizza la Santa Eucaristia, il fasciare simbolizza i Comandamenti, il cavallo, secondo tutti i Padri, è la sacra umanità di Nostro Signore + mediante la quale siamo salvati.

Beda il Venerabile, commenta: “fu conveniente che egli lo pose sul suo cavallo e lo guidava così, poichè nessuno che non sia unito a Cristo tramite il Battesimo entrerà nella Chiesa”.

L’albergo, dunque, simbolizza la Chiesa e san Giovanni Crisostomo spiega: “l’albergo è la Chiesa che accoglie i viaggiatori, che son stanchi del loro viaggio attraverso il mondo e oppressi dal peso dei loro peccati, dove il viaggiatore stanco viene sollevato quando depone il peso dei suoi peccati e viene ristorato con nutrimento salutare, e questo significano le parole “quando ebbe cura di lui” perchè tutto ciò che è fuori è conflittuale, dannoso e male mentre, dentro dell’albergo c’è tutta pace e salute”.

Quanto ai due danari questi possono significare i Comandamenti della Carità verso Dio e verso il prossimo, o la promessa della vita presente e la vita futura, da altre interpretazioni.

In breve allora, Nostro Signore Gesù Cristo + ci descrive in questa Parabola tutta la storia della nostra Salvezza: Adamo ha peccato ed è caduto, e con lui tutta l’umanità, Iddio alla vista della sua miseria fu commosso dalla Misericordia, scende dal Cielo e assume la nostra umanità che diviene il mezzo della nostra salvezza, Ci dona i Comandamenti e i Sacramenti, Ci conduce nella Chiesa che ci darà il rifugio fin quando Egli tornerà. Tutta la Parabola parla della Misericordia di Dio e la nostra reazione dovrebbe essere quella della gratitudine verso Dio e il desiderio di amare Dio e il nostro prossimo come Dio ci ha amati.

Ma chi è il mio Prossimo? chiede lo scriba. La parabola ci insegna che il nostro Prossimo è colui che incontriamo sulla strada della nostra vita e che soffre.

Riflettiamo un attimo, ognuno di noi, c’è qualcuno a cui sono vicino che ho incontrato e che soffre, che ha bisogno di me, che ci ha chiesto soccorso che non abbiamo ancora dato, soccorso fisico, spirituale, consiglio, preghiera, o semplicemente tempo per ascoltare le sue sofferenze? Questa persona è il nostro Prossimo, non lo trascuriamo!

C’è un’altro livello ancor più profondo nella Parabola, perchè la persona sofferente è Cristo stesso. Stiamo quindi ben attenti ai nostri doveri perchè, come Nostro Signore ci dice nel Vangelo di san Matteo: “in quanto hai fatto questo buon atto ad uno dei più piccoli dei miei fratelli, lo hai fatto a me”

+ In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo!

La Divina Misericordia

Oggi è la Domenica in Albis, il Papa Giovanni Paolo II ha dato la possibilità
dell’Indulgenza plenaria in questo giorno dedicato alla Divina Misericordia, per
coloro che hanno fatto la Novena alla Divina Misericordia che termina oggi.
Dunque le condizioni sono come al solito: la Santa Comunione oggi nello stato
di grazia e la Confessione oggi o durante la settimana scorsa, oppure in questa
settimana e, naturalmente, l’orazione ad mentem Summi Pontificis che sono
un Pater un Ave e un Gloria.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Carissimi fedeli, in questo santo tempo di Pasqua dobbiamo tenerci
continuamente davanti agli occhi la Misericordia di Dio perché la Crocifissione
nell’ombra della quale ci riposiamo è la sua espressione definitiva.
Cosa è precisamente la Misericordia di Dio? ci chiediamo oggi. Può essere
descritta come l’Amore di Dio verso le sue creature bisognose. Quando
riflettiamo un attimo vediamo che siamo nel bisogno costante in ogni senso:
senza Dio non potremmo continuare nell’essere ma cadremmo tutti nel niente;
senza il Cibo e la Bevanda che ci provvede Lui non potremmo sopravvivere;
senza i Sacramenti, il Battesimo e la Confessione in particolare, saremmo tutti
condannati all’Inferno; inoltre siamo ignoranti, fallibili, e vulnerabili nel corpo e
nell’anima, ma Dio ci ama e si occupa di noi. La Sacra Scrittura non mette
nessuna qualità di Dio in più grande evidenza della Sua Misericordia.

Nell’Antico Testamento si legge, per esempio nel Salmo 118 “Della Tua
misericordia, Signore, è piena la terra”. Nel Nuovo Testamento si legge l’amore
di Dio, quanto ai nostri bisogni materiali, per esempio nella parabola dei gigli e
dell’erba del campo (Lc.12,27-28); si legge l’amore di Dio quanto alle nostre
sofferenze nella parabola del buon samaritano (Lc.10,25-37), e quanto ai
nostri peccati nella parabola del Figliol prodigo (Lc.15,11-32).

Questa Misericordia di Dio è già manifestata nell’Antico Testamento nella
persona del Padre amorevole, ma raggiunge il suo colmo, si può dire, nella
Persona di nostro Signore Gesù Cristo +. Dio Padre non può sentirela
Misericordia perché solo un corpo può sentire, mentre il nostro Signore Gesù
Cristo Che ha non solamente una natura divina ma anche la natura umana che
comprende un corpo, può sentire la Misericordia, ossia, nel Suo Sacratissimo
Cuore, paziente e di grande misericordia, come preghiamo nelle Litanie del
Sacro Cuore: ” Cor Iesu, pàtiens et mùltae misericòrdiae”.

Quando pensiamo alla Misericordia di Cristo, pensiamo spesso al Suo Sacro
Cuore o a Lui come il Buon Pastore, come nel brano seguente di San Matteo: ”
Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come
pecore senza pastore” (Mt.9,36). Ma l’espressione definitiva della Misericordia
di Dio, come già accennato, è la Crocifissione stessa. Qui viene espressa sia la
Misericordia di Dio Padre, sia la Misericordia di Dio Figlio.

Quanto alla prima scrive San Giovanni: ” Dio infatti ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma
abbia la vita eterna” (Gv.3,16), quanto alla seconda scrive: ” Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv.15,13). Se
vogliamo dunque conoscere la Misericordia di Dio, guardiamo e meditiamo la
Croce.

Ma se guardiamo la Croce, se la meditiamo anche per un attimo di tempo,
conosciamo non solo la Sua misericordia ma anche la nostra miseria, perché il
corpo che vediamo davanti ai nostri occhi, dovrebbe essere proprio il nostro
corpo, perché Cristo ha sofferto ed è morto in un nostro corpo umano, nella
nostra stessa condizione umana. Dobbiamo quindi essere riempiti di umiltà e di
un senso profondissimo della nostra miseria, della nostra indegnità, un
autentico senso di pentimento, di compunzione, e di gratitudine senza fine, e
dobbiamo implorare incessantemente giorno e notte la Sua misericordia.

Quando ci accorgiamo della Sua Maestà e della Sua bontà; quando ci
accorgiamo della nostra miseria, dei nostri limiti, delle nostre debolezze;
quando pecchiamo e quando soffriamo; dobbiamo implorare la Sua
misericordia.

Quando ci accorgiamo dei limiti anche degli altri; quando siamo tentati a
pensare che siamo qualche cosa mentre non siamo che niente; quando
riusciamo e quando non riusciamo; quando lavoriamo di giorno o quando ci
svegliamo di notte, sempre dobbiamo pregare: “Dio mio abbi pietà di me e del
mondo intero; Gesù Cristo Figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore”.
Però se vogliamo godere della Sua misericordia bisogna non solo implorarla
ma anche vivere secondo la Sua volontà. La Santissima Vergine esclama nel
Magnificat: … di generazione in generazione la Sua misericordia si stende su
quelli che lo temono.

Più precisamente possiamo dire che bisogna essere misericordiosi per godere
della Sua misericordia. La Preghiera che Cristo stesso ci insegnò lo specifica:
“rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori…” e San
Giacomo ci avverte: ” il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà
usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio
(Gc.1 13).

Meditiamo dunque la Croce e la Misericordia di Dio che la esprime,
riconosciamo il nostro nulla, abbiamo misericordia degli altri e imploriamo
incessantemente il frutto della Misericordia su di noi e sul mondo intero.
Amen.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Blasfemia

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

La natura precisa delle blasfemie recenti a Milano e al teatro Goldoni di Venezia non ci interessa perché, la conoscenza del male, è degradante e, come dice il Libro della Sapienza, “non è la saggezza”.

Cosa è la blasfemia? La blasfemia è la contumelia contro Dio, può essere o eretica, o non eretica.
Un esempio della blasfemia eretica è la dottrina di Calvino “che Dio sia la causa del peccato”, la blasfemia non eretica può essere o la semplice derisione o l’imprecazione. Un esempio della derisione è la parola dei giudei al Signore di “scendere dalla Croce se fosse il Figlio di Dio”, un esempio dell’imprecazione è la parola che Dio morisse. Se l’imprecazione è deliberata, comprende l’odio verso Dio che è il peccato il più grande in assoluto.
La blasfemia è un peccato contro la Religione e la Carità. Se è deliberato, è un peccato mortale.
La Religione è la virtù di rendere a Dio ciò che Gli è dovuto, cioè l’adorazione, la lode, il ringraziamento e la petizione; la Carità è la virtù, come sappiamo bene, di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, e con tutte le nostre forze.

La blasfemia può essere considerata assieme all’ateismo e al peccato in genere. Mentre l’ateismo è la negazione di Dio, la blasfemia è la contumelia contro Dio; mentre il peccato è una offesa indiretta verso Dio, la blasfemia è una offesa diretta contro Dio. La blasfemia, l’ateismo e il peccato in genere costituiscono una ribellione superba contro Dio, una ribellione che cresce sempre e che si manifesta nell’epoca moderna sempre più chiaramente.
Il Salmista dice: “la superbia di chi ti odiano cresce sempre – superbia eorum qui te oderunt crescit semper”.
La blasfemia in riparazione di cui questa Santa Messa viene celebrata è precisamente una ribellione contro Iddio Uomo, Nostro Signore Gesù Cristo + di cui il Nome sia sempre adorato. Di questa ribellione in genere parla il Salmo 2 “perché congiurano le genti e perché i popoli hanno meditato cose inani? Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia: spezziamo le loro catene ( dicono ), gettiamo via i loro legami”.

Ora, due caratteristiche particolari di questa ribellione sono la sua inanità e la sua impietà. La ribellione è inane, come viene espresso nel Salmo, perché è una ribellione contro l’Essere stesso, sempiterno, Onnipotente, somma di ogni perfezione, vestito di infinità Maestà e Gloria, una ribellione da un essere limitato e finito che esiste solo in quanto partecipa all’esistenza di Dio, e che è buono solo in quanto partecipa alla Sua bontà.
Tutto ciò che è nell’essere umano è mancanza: mancanza di essere, mancanza di bene: questo è proprio a lui. L’essere umano è una creatura di un’ora destinata a morire, polvere alla polvere, di cui il fiore appassisce, e la gloria, la bellezza, la forza passano, si sciolgono e periscono. “Perché dunque si insuperbisce la polvere?” chiede l’Ecclesiastico (cfr Siracide 10,9).

La ribellione è empia perché è contro il nostro Padre Celeste che occorre amare con l’amore di pietà: Egli che ci ha creati, che ci conserva in esistenza, che ci ha resi figli adottivi col dono gratuito della Grazia; è empio perché è contro il nostro Fratello e Redentore Gesù Cristo + che ha preso su Se stesso tutti i nostri peccati e li ha espiati tramite la Sua Passione e Morte in una certa infinità di sofferenza.
Ma Dio non è solo l’amore e la misericordia stessa, bensì anche la santità e la giustizia, e non sarebbe la santità né la giustizia se non vendicasse le offese commesse contro di Lui. “Colui che abita nei cieli riderà su di loro” leggiamo nello stesso Salmo 2. Ci sarà dunque una punizione per questa ribellione sui ribelli: una punizione temporale o eterno, secondo la gravità del peccato e secondo il loro pentimento.
Ma secondo la gravità del peccato, soprattutto coloro che sono direttamente contro Dio, ci può essere anche un castigo degli innocenti, per esempio tramite i disastri naturali o guerre, come la Madonna di Fatima ha chiaramente constatato.

Per evitare questo ultimo pericolo bisogna riparare. La Santa Messa odierna è già una riparazione, ma invito tutti, carissimi fedeli, e me per primo, di fare anche la propria riparazione, che può essere uno sforzo di combattere un determinato peccato o vizio abituale del nostro carattere, o un impegno più serio per la Preghiera o la conversione.
Il Signore è molto offeso, ma sarà consolato da un amore più grande, più fervente da parte dei suoi amici.
Amen.

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo

La sedicente teoria del “Gender”

Già il termine “Gender” è un indice sicuro della sua falsità, poiché se la teoria fosse vera, sicuramente sarebbe già stata proposta da qualche filosofo del passato.

Secondo la teoria, la sessualità viene determinata dalla sola cultura e deve essere liberata da ogni costrizione ed inibizione. Dietro a questo velo sottile di intellettualismo giace il tentativo di promuovere l’omosessualità e la pedofilia, e questo, secondo alcuni, per controllare la popolazione in vista di stabilire un regime totalitario mondiale.

Procediamo ad esaminare questa teoria alla luce di una sintesi della morale matrimoniale cattolica, prima riguardo alla ragione e poi alla Fede.

Ora è evidente che la sessualità può essere influenzata dalla cultura ed anche dalle circostanze particolari della vita, ma è anche evidente che si fonda sulla persona umana differenziata in due sessi diversi: maschile e femminile, ognuno con le proprie caratteristiche psico-fisiche.

La differenziazione sessuale ha senso nell’analisi finale solo in rapporto alla procreazione e la propagazione della specie o, in altre parole, alla conservazione del genere umano. La procreazione può avvenire solo dentro del matrimonio, poiché solo il matrimonio può fornire la base per l’educazione di una prole equilibrata e felice. La conservazione del genere umano è in assoluto il maggiore bene naturale: perciò la frustrazione di questo bene tramite l’uso della sessualità al di fuori del matrimonio o contro gli scopi del matrimonio, è una cosa pessima. La corruzione del migliore è la peggiore: corruptio optimi pessima est.

Queste verità della Legge naturale sono confermate da Santa Madre Chiesa nella sua dottrina sul matrimonio, sulla gravità del peccato dell’impurità di qualsiasi tipo, e sulla condanna dell’omosessualità e soprattutto della pedofilia.

La teoria del cosiddetto “Gender” è falsa per quattro motivi:

1. È irreale nel senso che non ha alcun fondamento nella realtà, fundamentum in re: non ha fondamento nella natura umana, nel carattere psico-fisico, o maschile o femminile, di una data persona. Riguarda piuttosto la persona come un tipo di barca, e la sessualità come un tipo di vela, su cui soffia il vento della Cultura, che spinge la persona là dove essa vuole.

2. È irrazionale perché, essendo contraria alla Legge naturale, è contraria anche alla ragione stessa.

3. È superficiale perché elegge l’emozione come guida del comportamento umano e non l’intelletto e la volontà ed i loro oggetti adeguati che sono il Vero ed il Bene.

4. È incoerente, per due versi: a) in quanto promuove la stessa azione che pretende di combattere: ossia l’influenza culturale sessuale; b) in quanto è un tipo di edonismo e come tale avoca la felicità mentre procura l’infelicità.

La teoria “Gender” è dunque falsa: irreale, irrazionale, superficiale, ed incoerente. Promuoverla nella scuole, invece, è un male grave, perché incoraggia l’omosessualità e la pedofilia. La sua gravità è tanto più grande in virtù del suo carattere pubblico – toccando un gran numero di persone e suscitando scandalo pubblico – e in virtù del suo effetto che è cioè di corrompere le anime di bambini innocenti fin dalla più tenera età. Di coloro che agiscono in questo modo, Nostro Signore Gesù Cristo dice: “È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzi anche uno solo di questi piccoli”. Noi, in cui la luce della ragione non è ancora completamente spenta, dobbiamo fare tutto il possibile per resistere a queste iniquità prima che i nostri figli vengano corrotti e che noi tutti periamo nell’inondazione.

 

La vigna

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

“Mi circondarono flutti di morte, mi avvolgevano i lacci degli inferi, nell’angoscia gridai al mio Dio”, così preghiamo al Signore della nostra salute nell’Introito adesso che, avendo percorso il primo ciclo dell’Anno Liturgico, quello di Natale, iniziamo oggi il secondo ciclo che ci condurrà, attraverso le sofferenze di Cristo + espresse nei paramenti viola, sino alla Sua gloriosa Risurrezione di Pasqua.

Un’eco lontano delle Sue sofferenze sono le nostre sofferenze in questa vita rappresentate nel Vangelo dal peso del giorno e dal gran calore del lavoro nella vigna.

Cos’è questa vigna? Secondo i Padri della Chiesa, questa vigna è la Chiesa, il Padrone della vigna è nostro Signore Gesù Cristo + che ci chiama alla Chiesa; la giornata passata nella vigna è la nostra vita nella Chiesa; le ore diverse, quando gli operai entrano nella vigna, rappresentano le tappe diverse della vita, quando ognuno entra nella Chiesa, o si converte: l’infanzia, una età più avanzata;o la vecchiaia; la sera quando il Padrone fa distribuire la ricompensa, è la fine della vita, e il denaro è la beatitudine eterna, ricompensa del nostro lavoro nella Chiesa in collaborazione con la grazia divina.

Questa parabola ci parla chiaramente della misericordia di Dio: Dio è il Padrone della vigna, che e descritto come padre di famiglia, Pater Familias: è il nostro Padre, ci tratta come suoi figli, e ci chiama nel Suo Amore paterno, alla Sua vigna, vinea sua, la Sua Chiesa. La Chiesa è la Sua, non abbiamo diritto nessuno, ad appartenerci, ma il Padre ci chiama ad Essa perchè ci ama. Ed infatti chiama cinque volte gli operai alla Sua Chiesa: molto presto, alle nove, a mezzogiorno, alle tre, e alle cinque di sera; e coloro che non hanno lavorato che per l’ultima parte della giornata, ricevono tanto quanto coloro che hanno lavorato dall’inizio.

Carissimi fedeli tutto, si può dire, è misericordia; la nostra creazione, la nostra fede, la nostra salvezza, il perdono dei nostri peggiori peccati, la ricompensa del nostro lavoro che è la Vita Eterna. E noi dobbiamo ringraziare il Signore per questo, dobbiamo guardare la nostra miseria, malizia, e la nostra indegnità di tutto ciò che Egli ci dà, e vedere che tutto è gratuito, è tutto misericordia.

Se conduciamo una vita abbastanza buona da qualche tempo, non siamo invidiosi, non abbiamo un occhio cattivo dicendo “questi non ha condotto una buona vita, io ho meritato molto di più”, poichè questo Vangelo ci dice esplicitamente che non è la lunghezza del nostro servizio che conta! Cosa conta? la collaborazione nostra con la Sua misericordia, la nostra fedeltà alla Sua grazia, il nostro cuore: conta il cuore, l’intensità del cuore, l’intensità dell’amore, così coloro che sono entrati nella vigna alle cinque di sera, coloro che si sono convertiti alla fine della loro vita, sono forse coloro che l’amano più intensamente, che lavorano per Lui con tutto il cuore e tutte le forze del loro animo, e Dio che è sia misericordioso, sia giusto, gli darà la loro ricompensa giusta, come darà la loro ricompensa giusta a coloro che hanno lavorato più a lungo ma forse con meno amore: “quello che è giusto, ve lo darò”, Ci dice.

Proviamo, dunque, a lavorare per Lui con tutto il cuore e con tutte le forze della nostra anima, e questo lavoro comprende tutte le faccende, azioni, e tutti i doveri della nostra vita. Facciamo questo senza guardare gli altri, ma solo Lui, nostro Padrone, nostro Padre e la nostra ricompensa eterna.

Consapevoli della Sua predilezione per gli ultimi, siamo noi gli ultimi, nel senso che cominciamo questo stesso giorno a applicarci bene al nostro lavoro nella Chiesa e per la Chiesa, anche se l’ora è tardiva; siamo gli ultimi nella scelta dell’ultimo posto alla tavola nella nostra umiltà; siamo ultimi nel prepararci per essere scherniti e considerati come gli ultimi per amore di Lui, e siamo ultimi nel perseverare sino alla fine, sino alla sera della nostra vita quando il Padrone tornerà e ci darà la nostra ricompensa, la Vita Eterna che Egli stesso è, Nostro Signore Gesù Cristo + Iddio Trino ed Uno a Cui sia ogni lode, gloria ed onore, nei secoli dei secoli.
Amen!

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Ringraziamento nella Messa

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

San Paolo ci ammonisce oggi di non parlare della fornicazione, di impurità o di avarizia, né di ciò che è vergognoso, sciocco, o scurrile, ma piuttosto di ringraziare. Dice lui: siamo i figli dilettissimi di Dio e dunque dobbiamo camminare nel Diletto; siamo i figli della luce della quale i frutti sono la bontà, la giustizia e la verità.

Bisogna esaminarci, carissimi fedeli, sulle nostre parole: i giornali e la televisione ci presentano, quasi unicamente, una visione di una realtà tenebrosa, impura, e vergognosa che non è materia degna delle parole, né delle meditazioni di noi cattolici redenti che siamo nel Sangue preziosissimo del Signore. Piuttosto bisogna ringraziare.

Chiediamoci, dunque oggi, che cosa è il ringraziamento, o la gratitudine? La gratitudine è la virtù che inclina l’uomo a riconoscere ed a retribuire i benefici che ha ricevuto da un altro. E’ una virtù necessaria e bellissima, tra l’altro perché promuove la carità e l’umiltà.

Promuove la carità in quanto unisce i cuori di coloro che danno a coloro che ricevono, e promuove l’umiltà in quanto colui che rende grazie, si sottomette al suo benefattore. Per questi motivi è una virtù che i genitori devono istillare con la massima cura nei cuori dei loro figli.

L’oggetto principale, allora, della nostra gratitudine deve essere Dio stesso. Come tale fa parte della virtù della religione che è la virtù di rendere il culto debito a Dio, e si manifesta nella Preghiera.

La nostra Preghiera non deve essere solo petizione ma anche ringraziamento. Non siamo come coloro che chiedono qualche artefatto in un negozio con grande gentilezza, e quando lo ottengono non dicono più niente.

Non siamo come i lebbrosi guariti dal Signore di cui solo uno è tornato per ringraziarLo, ma piuttosto proviamo a far corrispondere la gratitudine alla petizione, in un equilibrio armonioso e perfetto, col cuore amorevole ed umile. Nel sublime nostro Prefazio della Santa Messa sta il dialogo tra Sacerdote e fedeli che, secondo Dom Prosper Guéranger, è “antico quanto la Chiesa e tutto ci fa credere che siano stati gli stessi Apostoli a fissarlo, poiché si incontra nelle Chiese più antiche e in tutte le Liturgie”.

In questo dialogo il Sacerdote dice: “Rendiamo grazie al Signore – Gratias agamus Domino Deo nostro”, i fedeli rispondono: “Dignum et iustum est– è degno e giusto”, il Sacerdote continua si può dire nella persona della Chiesa docente: ” Vere dignum et iustum est, aequum et salutare, nos tibi semper et ubique gratias agere: Domine, sancte Pater, omnipotens aeterne Deus: per Christum Dominum nostrum” (E’ veramente degno e giusto, è nostro dovere e nostra salvezza, renderti grazie sempre e ovunque, o Signore, Padre santo, Dio eterno e onnipotente, mediante il Cristo nostro Signore).

In questo dialogo osserviamo la frase “semper et ubique”, sempre e ovunque: Bisogna ringraziare il Signore dunque, per tutto, per il bene ma anche per il male, perché il male è per il nostro ultimo bene, così come ringraziamo un medico per un trattamento anche se ci fa male temporaneamente.

Se l’oggetto principale della nostra gratitudine e ringraziamento è Dio stesso, la sua forma più alta è la Santa Messa perché, nella Santa Messa, e solo nella santa Messa riconosciamo i benefici di Dio a noi e li retribuiamo in modo adeguato.

Riconosciamo i suoi benefici che sono soprattutto il Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo + per amore di noi sul monte Calvario, e Glieli retribuiamo con l’offerta di questo stesso Sacrificio a Lui durante i Sacri Misteri. Questa retribuzione è adeguata in quanto offre Nostro Signore Gesù Cristo + in riscambio per nostro Signore Gesù Cristo + : in quanto offre Dio in riscambio per Dio, come prega il Sacerdote nella Santa Messa: “Cosa renderò io al Signore per tutte le cose che ha dato a me? Prenderò il Calice della salvezza e invocherò il nome del Signore”.

Sempre nelle parole di Dom Guéranger leggiamo: “il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo è per noi il mezzo privilegiato per ringraziare la Divina Maestà, poiché solo attraverso di Esso possiamo rendere a Dio tutto ciò che Gli dobbiamo”. Il fatto che questo ringraziamento passa attraverso il Signore, viene espresso alla fine del Prefazio con le parole “per Christum Dominum nostrum”.

La Santa Messa, per questi motivi, è un grande atto di ringraziamento a Dio, anzi, l’atto di ringraziamento in assoluto: Perciò la Santa Messa si chiama anche Eucharistiache significa, appunto, ringraziamento.

Il ringraziamento a Dio, però, non è completo senza l’offerta di sé stessi a Dio Padre in unione all’offerta di Dio Figlio. Se nostro Signore si è dato completamente a noi, bisogna che noi ci diamo completamente a Lui. Così nel Santo Sacrificio della Messa, nella Eucharistia, ci uniamo a nostro Signore Gesù Cristo + nell’offertorio, quando il celebrante offre in anticipo il Divino Agnello al Padre; ci uniamo a Lui nella Consacrazione quando quel Divino Agnello viene immolato; e ci diamo a Lui in quella Preghiera che si chiama (in senso stretto) ‘il ringraziamento’ dopo la Santa Messa: ci diamo a Lui come Lui si dona a noi, ossia in modo completo ed intero.

Bisogna ringraziare, dice San Paolo, e questo soprattutto nella Santa Messa, ma anche in tutta la nostra vita in un atteggiamento di riconoscenza per tutti i benefici di Dio e nel desiderio di retribuirli; ma soprattutto con l’offerta a Dio costante di tutto ciò che facciamo, diciamo, e pensiamo, di tutto ciò che siamo, alla gloria della Santissima Trinità. Amen.

+ In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.
Sia lodato Gesù Cristo.

Adorazione (1)

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Queste ultime Messe dopo l’Epifania, prima del secondo ciclo dell’Anno liturgico, che va fino a Pasqua, le sante Messe cominciano con le parole « Adoráte Deum, omnes Angeli eius » e voglio cogliere l’occasione per parlare dell’Adorazione.

Uno scrittore francese ha detto una volta che si potrebbero risolvere tutti i problemi del mondo se l’uomo facesse una cosa sola, e questa cosa è adorare Dio. Questo è lo scopo della creazione dell’uomo e degli angeli. Questo scopo si raggiunge in parte già sulla terra, ma nella sua pienezza nel cielo.

Ora, l’adorazione è il tipo di onore che e’ dovuto a Dio. L’onore di se stesso e’ l’atteggiameto dovuto ad un altro in virtù della sua eccellenza superiore, per mostrare la propria sottomissione a lui, mentre l’adorazione e’ quell’atteggiamento dovuto proprio a Dio in virtu’ della Sua eccellenza infinita, che esige la nostra pienissima sottomissione. L’obbligo di adorare Dio viene espresso nel primo Comandamento: « Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio avanti a me », perchè questo Comandamento ci comanda di adorare Lui solo come nostro supremo Signore. Viene espresso ugualmente nel Deuteronomio con le parole citate dal nostro Signore Gesù Cristo + a Satana: « Adora il Signore Dio tuo, e a Lui solo rendi culto »  (cfr. Tentazioni di Gesù + nel deserto, riportate nei vangeli di: Matteo 4,1-11, Marco 1,12-13 e Luca 4,1-13).

L’adorazione è sia interna, cioè mentale; sia esterna, cioè corporale. L’adorazione interna è più importante di quella esterna, ma tutte e due sono dovute a Dio dall’uomo perchè l’uomo è composto dalla mente e dal corpo, e deve adorare Iddio pienamente, ossia con mente e anima altrettanto. Di fatti l’atto esterno di adorazione è necessario per eccitare il nostro affetto per sottomettersi a Dio, e l’adorazione interna, se è autentica, ci preme a manifestarla in gesti esterni.

L’Adorazione si rende a Dio in tutti gli atti del culto divino, e in un senso particolare nel culto del Santissimo Sacramento, Che, per ricordare, non è ne segno, ne figura, ne virtù (come hanno preteso gli eretici), non è pane che contiene Dio come tutte le cose contengono Dio, non è pane benedetto, non è pane sacro, non è neanche la divinità sotto le apparenze di pane, ma Gesù Cristo + sotto l’apparenza di pane nella Sua divinità e nella sua umanità: Corpo, Sangue, ed Anima: per questo il Santissimo Sacramento esige un culto particolare dell’adorazione.

Per ricordare: quando il Santissimo Sacramento è esposto, si fa una doppia genuflessione e un inchino di testa profondo entrando in chiesa, passando davanti al Sacramento, e lasciando la chiesa; quando il Sacramento è nel tabernacolo, si fa una genuflessione semplice entrando, passando, e uscendo, si prende l’acqua benedetta, si fa un segno di Croce + venendo e partendo, e non si parla. Se si deve comunicare qualche cosa ad altrui nella chiesa, si fa a voce bassa.

In questo riguardo, carissimi fedeli, non possiamo non accennare alla mancanza di adorazione da parte dei fedeli moderni, purtroppo anche dei membri del clero, intermediari che siamo fra Dio e l’uomo, entrando in chiesa e passando davanti al Santissimo senza il minimo segno di rispetto, parlando a voce alta come se fossero in un luogo di incontro pubblico, o in un museo, anche al telefonino, e, carissimi amici, ricevendo la santissima Eucarestia dopo esser mancati alla santa Messa domenicale, o alla santa purezza con altrui o da soli…

La Santa Eucarestia è, come scrive Romano Amerio: il fastigio del sacro, il mezzo per cui tutte le anime vengono condotte indietro all’Uno Dio, che è la loro origine. Non c’è niente che è più grande, più glorioso, ne più prezioso sulla terra. Se abbiamo trascurato la Santissima Eucarestia, abbiamo trascurato tutto!

L’atto principale dell’Adorazione è il Sacrificio, nel quale la sottomissione dell’uomo a Dio viene espressa, nel senso stretto, dalla distruzione di una cosa sensibile che rappresenta l’uomo stesso. Così l’uomo riconosce la Maestà e la perfezione infinite dell’Essere Divino, ed il Suo sovrano dominio sopra l’uomo, che è venuto all’esistenza, che esiste, e che è stato salvato per mezzo Suo.

La distruzione della cosa sensibile rappresenta l’offerta definitiva a Dio della vita e di tutto l’essere dell’uomo: il suo corpo, la sua anima, la sua intelligenza, la sua volontà, e tutto ciò che è.

Il Sacrificio perfetto, l’atto di Adorazione perfetto, è quello del Calvario, perchè è il Sacrificio di Dio a Dio, il puro e il perfetto Sacrificio, il Sacrificio per eccellenza. Questo Sacrificio viene perpetuato nel santo Sacrificio della Messa che è lo stesso Sacrificio.

A questo Sacrificio l’uomo partecipa: il celebrante in modo sacramentale e spirituale, il fedele in modo spirituale. La partecipazione spirituale a questo Sacrificio consiste nel sacrificare se stessi in unione col santo Sacrificio del Calvario. Quanto sublime è la nostra vocazione cattolica, non è per niente che siamo obbligati ad assistere alla Santa Messa ogni settimana!

Adoriamo dunque Dio durante la Santa Messa, e ogni giorno col sacrificio di noi stessi e di tutta la nostra vita e tutta la nostra persona, colle gioie e colle pene, affinchè un giorno possiamo adorarLo + pienamente in Cielo con gli Angeli, secondo lo scopo unico della nostra creazione.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

La vigna (2)

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

“Mi circondarono flutti di morte, mi avvolgevano i lacci degli inferi, nell’angoscia gridai al mio Dio”, così preghiamo al Signore della nostra salute nell’Introito adesso che, avendo percorso il primo ciclo dell’Anno Liturgico, quello di Natale, iniziamo oggi il secondo ciclo che ci condurrà, attraverso le sofferenze di Cristo + espresse nei paramenti viola, sino alla Sua gloriosa Risurrezione di Pasqua.
Un’eco lontano delle Sue sofferenze sono le nostre sofferenze in questa vita rappresentate nel Vangelo dal peso del giorno e dal gran calore del lavoro nella vigna.
Cos’è questa vigna? Secondo i Padri della Chiesa, questa vigna è la Chiesa, il Padrone della vigna è nostro Signore Gesù Cristo + che ci chiama alla Chiesa; la giornata passata nella vigna è la nostra vita nella Chiesa; le ore diverse, quando gli operai entrano nella vigna, rappresentano le tappe diverse della vita, quando ognuno entra nella Chiesa, o si converte: l’infanzia, una età più avanzata; o la vecchiaia; la sera quando il Padrone fa distribuire la ricompensa, è la fine della vita, e il denaro è la beatitudine eterna, ricompensa del nostro lavoro nella Chiesa in collaborazione con la grazia divina.
Questa parabola ci parla chiaramente della misericordia di Dio: Dio è il Padrone della vigna, che e descritto come padre di famiglia, Pater Familias: è il nostro Padre, ci tratta come suoi figli, e ci chiama nel Suo Amore paterno, alla Sua vigna, vinea sua, la Sua Chiesa. La Chiesa è la Sua, non abbiamo diritto nessuno, ad appartenerci, ma il Padre ci chiama ad Essa perchè ci ama. Ed infatti chiama cinque volte gli operai alla Sua Chiesa: molto presto, alle nove, a mezzogiorno, alle tre, e alle cinque di sera; e coloro che non hanno lavorato che per l’ultima parte della giornata, ricevono tanto quanto coloro che hanno lavorato dall’inizio.
Carissimi fedeli tutto, si può dire, è misericordia; la nostra creazione, la nostra fede, la nostra salvezza, il perdono dei nostri peggiori peccati, la ricompensa del nostro lavoro che è la Vita Eterna. E noi dobbiamo ringraziare il Signore per questo, dobbiamo guardare la nostra miseria, malizia, e la nostra indegnità di tutto ciò che Egli ci dà, e vedere che tutto è gratuito, è tutto misericordia. E se conduciamo una vita abbastanza buona da qualche tempo, non siamo invidiosi, non abbiamo un occhio cattivo dicendo “questi non ha condotto una buona vita, io ho meritato molto di più”, poichè questo Vangelo ci dice esplicitamente che non è la lunghezza del nostro servizio che conta! Cosa conta? la collaborazione nostra con la Sua misericordia, la nostra fedeltà alla Sua grazia, il nostro cuore: conta il cuore, l’intensità del cuore, l’intensità dell’amore, così coloro che sono entrati nella vigna alle cinque di sera, coloro che si sono convertiti alla fine della loro vita, sono forse coloro che l’amano più intensamente, che lavorano per Lui con tutto il cuore e tutte le forze del loro animo, e Dio che è sia misericordioso, sia giusto, gli darà la loro ricompensa giusta, come darà la loro ricompensa giusta a coloro che hanno lavorato più a lungo ma forse con meno amore: “quello che è giusto, ve lo darò”, Ci dice.
Proviamo, dunque, a lavorare per Lui con tutto il cuore e con tutte le forze della nostra anima, e questo lavoro comprende tutte le faccende, azioni, e tutti i doveri della nostra vita. Facciamo questo senza guardare gli altri, ma solo Lui, nostro Padrone, nostro Padre e la nostra ricompensa eterna. E consapevoli della Sua predilezione per gli ultimi, siamo noi gli ultimi, nel senso che cominciamo questo stesso giorno a applicarci bene al nostro lavoro nella Chiesa e per la Chiesa, anche se l’ora è tardiva; siamo gli ultimi nella scelta dell’ultimo posto alla tavola nella nostra umiltà; siamo ultimi nel prepararci per essere scherniti e considerati come gli ultimi per amore di Lui, e siamo ultimi nel perseverare sino alla fine, sino alla sera della nostra vita quando il Padrone tornerà e ci darà la nostra ricompensa, la Vita Eterna che Egli stesso è, Nostro Signore Gesù Cristo + Iddio Trino ed Uno a Cui sia ogni lode, gloria ed onore, nei secoli dei secoli.
Amen!

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Gioia

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Oggi siamo proprio nel mezzo della Quaresima, la Domenica laetare, quando anticipiamo nella liturgia la gioia della Pasqua e quella della vita eterna, simbolizzata dalla Santa Comunione a cui la moltiplicazione dei pani accenna.
Ma il tema che ho scelto per la predica di oggi è un tema diverso, un tema che dai primi tempi della Chiesa viene sempre ritenuto come il tema principale della meditazione. Il tema che ci porta, meditando, su di esso fra l’altro alla vera gioia spirituale.
Ludovico Blosio (benedettino del XVI secolo) asserisce che il considerare il leggere qualunque cosa della Passione, apporta più bene che ogni altro esercizio devoto, sant’Agostino dice persino che vale più una sola lacrima sparsa meditando la Passione di Nostro Signore che un pellegrinaggio a Gerusalemme, o tutto un anno di digiuno a pane ed acqua.
Il valore di queste meditazioni è soprattutto l’amore che ci guadagnano per Nostro Signore Gesù Cristo +.
Chi poi potrà non amare Gesù, chiede sant’Alfonso ( che è poi la sostanza di questa omelia), vedendoLo morire fra tanti dolori e disprezzi alfine di ottenere il nostro amore?
Un devoto solitario pregava Dio di insegnargli che cosa potesse fare per amarLo perfettamente, gli rivelò il Signore che per giungere al Suo perfetto amore non vi fosse esercizio più adatto che meditare spesso la Sua Passione.
Similmente fu rivelato da Dio ad un santo anacoreta che non vi è esercizio più alto ad infiammare i cuori del Divin Amore quanto il pensare alla morte di Gesù, e san Bonaventura parlando delle piaghe del Crocifisso le chiama “piaghe che impiagano i cuori più duri ed infiammano le anime più fredde”, Vulnera dura corda vulnerantia, et mentes congelatas inflammantia.

Voglio così meditare qualche aspetto della Passione del Signore proprio per accendere il nostro amore per questo Amore Crocifisso del Signore.

Il primo punto è che il Signore ha sofferto la punizione dovuta da ogni peccato (da Lui)mai commesso.
Sant’Ambrogio quando parla della Passione del Signore dice che Gesù Cristo ha dei Discepoli, ma nessuno uguale: discipulos habent, ares non habent.
I Santi hanno provato di imitare Nostro Signore nelle loro sofferenze per rendersi come Lui, ma chi ha raggiunto una sofferenza uguale a Lui? Davvero ha sofferto per noi più di tutti i penitenti, gli anacoreti, i martiri hanno sofferto, perchè Dio ha fatto ricadere su di Lui il peso di una soddisfazione rigorosa alla giustizia divina per i peccati degli uomini, Isaia dice “il Signore fece ricadere su di Lui l’iniquità di noi tutti”, et posuit Dominus in eoiniquitatem omnium nostrum (Is.53,6), e san Pietro dice ” Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno, qui peccata nostra ipse pertulitin corpore suo super lignum” (1Pt.2,24), san Tommaso d’Aquino scrive che “Gesù Cristo redimendoci non solo ha guadagnato la virtù e i meriti infiniti che appartenevano alle Sue sofferenze, ma ha scelto di soffrire una profondità di dolore sufficiente a soddisfare abbondantemente e rigorosamente tutti i peccati del genere umano”.
Questa Sua sofferenza comprende anche la vergogna personale del peccato, del peccatore, il Signore si fece tutt’uno con noi, con il capo e con il corpo, volle che le nostre colpe fossero considerate colpe sue e perciò pagò non solo con il Suo Sangue ma anche con la vergogna di questi peccati.
“L’infamia mi sta sempre davanti e la vergogna copre il mio volto” (Salmo 43),
“la vergogna mi copre la faccia; Tu conosci la mia infamia, la mia vergogna, il mio disonore” (Salmo 68).

Secondo punto: il Signore ha sofferto tutto il dolore dovuto al peccato.
Quando leggiamo le vite dei martiri, dice sant’Alfonso, ci pare al primo sguardo che alcuni abbiano sofferto dei dolori più amari di quelli del Signore, però san Bonaventura dichiara che il dolore di nessun martire poteva mai assomigliare in intensità ai dolori di Nostro Signore.
San Tommaso scrive che i dolori di Cristo erano i dolori più severi che si possono sperimentare in questa vita, san Bonaventura aggiunge che (Gesù) ha scelto di soffrire tanto dolore come se avesse commesso Egli stesso tutti i nostri peccati.
San Lorenzo Giustiniani scrive che in ognuno dei tormenti che ha subito, in virtù dell’agonia e dell’intensità della sofferenza, ha sofferto tanto quanto tutti i tormenti di tutti i Martiri insieme.
Il re Davide l’aveva predetto quando disse, nella persona di Cristo, nel Salmo 87: “Pesa su di me il tuo sdegno, sopra di me è passata la tua ira” – 8 Super me confirmatus est furor tuus; 17 In me transierunt irae tuae.
Sant’Alfonso commenta: “tutta l’ira di Dio che aveva concepito contro i nostri peccati, si è versata sulla Persona di Gesù Cristo + così che l’apostolo poteva dire di Lui che era divenuto peccato per noi, che era divenuto una maledizione per noi.

Sia lodato Gesù Cristo.
In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Castità

In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

In una visione di Santa Gertrude la Grande, vissuta nel duecento in Germania ed
una delle più grandi mistiche della Chiesa Cattolica, l’evangelista San Giovanni le
apparve e le disse che come premio della sua insigne Castità: “Ho ricevuto in Cielo
un posto che si distingue per la sua dignità particolare in cui io, nella gloria e nel
Sovraluminoso Splendore raccolgo più direttamente i raggi di quell’amore che è ‘uno
Specchio senza macchia dell’attività di Dio e un riflesso della luce perenne’ ” (Sap.
7.26).

Vediamo che la Castità è una virtù di grande bellezza e splendore, una virtù difatti
che vale più di tutti i tesori di questa terra. Allo stesso tempo sappiamo che è una
virtù difficile da acquistare in quanto richiede un’ascesi intensa e continua, cosa che
si manifesta già nella parola stessa “castità” che viene dalla radice “castigare”.
S.Paolo dice: ”Castigo il mio corpo e lo trascino in schiavitù.”
Per non sposati, la castità consiste nell’astinenza da tutti atti e piaceri sessuali; per
sposati consiste nella moderazione in questi atti e piaceri, o in alternativa
nell’astinenza totale se tutti e due sono d’accordo nel farlo.

Un‘altra parola per la castità è la ‘purezza’ nel senso di purezza del cuore,
dell’amore. Questa parola ci mostra che la virtù in questione è qualcosa di assoluto ed
incontaminato. La ragione di questo è che qui si tratta del nostro amore per Dio o
immediatamente, o mediatamente tramite le creature.
Questa castità, questa purezza del cuore, perché è così difficile da acquistare?
Perché richiede una specie di castigazione di sé stessi? A causa del Peccato Originale,
che ha diminuito il controllo della ragione sui sensi (che comprendono anche le
emozioni), e perciò ha condotto alla ‘Concupiscenza’: la concupiscenza che è il
desiderio di soddisfare i sensi contro il giudizio della ragione. Ora la virtù che si
oppone a questo male è la virtù cardinale della temperanza o moderazione. La
temperanza nel campo della sessualità si chiama la castità.

Per l’uomo ferito nella sua natura dal Peccato Originale, è già abbastanza difficile
resistere alla tentazione della carne, ma nella nostra epoca, quando si riuniscono
insieme il Mondo, la Carne, e il Demonio in una vera e propria congiura contro
l’integrità dell’uomo, è divenuta ancor più dura la resistenza.
Il Mondo si manifesta nel cinema, nella televisione, in internet, libri, pubblicità,
musica, mode, e tutti i mass-media, ed anche nei programmi scolastici delle scuole,
che, nel nome della ‘letteratura’ introducono l’oscenità nei cuori della gioventù e
persino dei bambini, per non parlare dei corsi di educazione sessuale che seguono
l’idealogia pervertita e pervertente di ‘Gender’.

Satana, di cui la presenza è segnalata dalla natura universale e sistematica delle
sue operazioni, agisce qua in una maniera attenta e spietata. Il suo motivo è il suo
odio contro Dio che vuole ferire, attaccando l’uomo fatto secondo la Sua immagine e
somiglianza, particolarmente se membro del Corpo Mistico di Cristo. Opera qui con
un assalto brutale sugli occhi e sulla fantasia tramite immagini sempre più audaci,
con le sue promesse vuote, e le sue proposte di gioia senza nome, di felicità terrena,
intimità, e soprattutto dell’amore. Si insinua nella parte più intima e segreta della
persona, per contaminarla poi e attirarla verso di lui.

Perché il Demonio si interessa ai peccati contro la castità? Solo perché sono
peccati gravi, peccati mortali. Ma perché sono gravi? Per capire questo, bisogna
chiederci qual’è lo scopo, il fine della sessualità. Nostro Signore ha creato tutto con
uno scopo, una finalità. La sessualità ha la finalità della procreazione, dice San
Tommaso, “come l’ occhio è fatto per vedere”. Ora, in quanto la procreazione, o più
precisamente la conservazione del genere umano in vita, è il bene naturale più
grande di tutti secondo San Tommaso, ne consegue che la corruzione di questo bene è
un gran male, secondo il proverbio scolastico: Corruptio optimi pessima est. Per
questo è un grave peccato la impurezza in castità.

Vogliamo sentire ciò che San Pio X dice sull’impurezza nel suo Catechismo. ‘E’
grande il peccato di impurezza?’ chiede lui, e risponde: ‘Il peccato di impurezza è un
peccato gravissimo ed abominevole dinanzi a Dio e agli uomini; avvilisce l’uomo
alla condizione dei bruti e lo trascina a molti altri peccati di impurezza e provoca i
più terribili castighi in questa vita e nell’altra’.

La peccaminosità particolare dell’impurezza sta nel fatto che questi peccati
vengono commessi contro il proprio corpo, secondo S.Paolo nella I lettera ai Corinzi.
Sono ancora più gravi quando la persona è battezzata, perché allora pecca anche
contro Nostro Signore Gesù Cristo di cui (in quanto Corpo Mistico) è membro, e
contro lo Spirito Santo, di cui è il tempio.

Aggiungiamo che ricevere la santa Comunione nello stato di peccato mortale che
è conseguenza di questo tipo di peccato, è un ulteriore peccato mortale, ossia un
sacrilegio. Lo stesso Catechismo insegna al riguardo : “Chi sa di essere in peccato
mortale che cosa deve fare prima di comunicarsi? Chi sa di essere in peccato mortale
deve, prima di comunicarsi, fare una buona confessione, non bastando l’atto di
contrizione perfetta senza la Confessione a chi è in peccato mortale, per comunicarsi
come conviene”.

I peccati contro la purezza sono tutti gravi: sia quei commessi da soli, sia con
qualcun altro, sia colla contraccezione, sia colla fantasia; sono ancora più gravi se la
persona in questione è battezzata, e, se si tratta di due persone, se uno dei due o tutti e
due sono sposati con un altro, se uno o due sono consacrati, o se tutti i due sono dello
stesso sesso. Anche è un peccato grave suscitare la passione sessuale, senza però
completare l’atto, perché è già l’inizio dell’atto e l’incontro fornisce l’occasione per
completare l’atto. Si ricordi che nell’atto di dolore si promette di ‘evitare le occasione
del peccato’.

Purtroppo nel mondo di oggi questi peccati non vengono più considerati come
peccati, ma persino come un diritto dell’uomo.
Come ci dobbiamo comportare da buoni cattolici? Noi cattolici dobbiamo nuotare
contro la corrente di una perversa generazione, perché solo chi nuota contro la
corrente può raggiungere l’acqua sana, fresca, e pura. Ascoltiamo gli Apostoli che
vissero in un’epoca simile alla nostra.
San Pietro scrive (I. 4. 2-4): non si deve “servire più alle passioni umane ma alla
volontà di Dio, nel tempo che gli rimane in questa vita mortale. Basta col tempo
trascorso nel soddisfare le passioni del paganesimo, vivendo nelle dissolutezze, nelle
passioni… per questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro verso
questo torrente di perdizione e vi oltraggiano”.

San Paolo scrive (1. Tess. 4. 3-5, 7): “Perché questa è la volontà di Dio, la vostra
santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il
proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine, come i
pagani che non conoscono Dio. Dio non ci ha chiamati all’impurezza, ma alla
santificazione.”
San Pio X insegna nel suo Catechismo che per mantenerci casti “Conviene
fuggire cattive compagnie, la lettura di libri e dei giornali cattivi, l’intemperanza, il
guardare immagini indecenti, gli spettacoli licenziosi, le conversazioni pericolose e
tutte le occasioni di peccato. Una persona che trova che le sue forze naturali sono
inadeguate a mantenere la castità deve pregare l’aiuto di Dio che non chiede mai
l’impossibile”.

Viene raccomandato il ricorso frequente al Sacramento della Penitenza, alla santa
Comunione quando la persona è in uno stato di Grazia, e la recita fervorosa del Santo
Rosario. Verrà dato l’aiuto necessario in modo particolare agli sposi mediante le
grazie che provengono dal Sacramento del Matrimonio.
Per fidanzati: come si devono comportare? Il fidanzamento non ha senso se non in
rapporto al matrimonio. In vista del matrimonio, però, si devono comportare in modo
modesto, puro, moderato e disciplinato, mai comportandosi in un modo in cui si
vergognerebbe essere visti ad esempio dai propri genitori.

Solo così si possono preparare a un matrimonio stabile e duraturo. La
preparazione peggiore al matrimonio è l’impurezza tra i fidanzati perché crea un
terreno edonistico incapace di sostenere una vita matrimoniale autentica fino alla
morte. Anzi, è il modo ottimo per distruggerla già prima che non venga in esistenza.
Talvolta qualcuno si chiede perché tanti matrimoni falliscono oggi. La risposta
deve essere perché vengono visti come qualcosa di ordine meramente naturale. I
sentimenti vengono glorificati, preparano un terreno fatale per il matrimonio,equando
dopo il matrimonio vengono meno,il rapporto si scioglie. C’è un edonismo
onnipresente, un ‘ignoranza sulla natura del matrimonio, la sua istituzione divina, la
sua natura sacramentale; non c’è preghiera, non c’è Fede. La Fede illuminata dalla
dottrina cattolica e vivificata dalla Carità, è la preparazione indispensabile per il
matrimonio e per qualsiasi altra scelta o azione della nostra vita.

Una parola sulla Castità perfetta. Questa specie di castità si distingue per un voto
o una promessa solenne e per il suo scopo che è cioè di dare sé stessi a Dio
completamente con il cuore indiviso. Una differenza particolare tra la vita
matrimoniale e la vita consacrata è la capacità della persona consacrata di darsi
completamente a Dio con cuore indiviso.

Anche se San Paolo ne parla esplicitamente, molti uomini della Chiesa di oggi
pretendono che tutti e due i tipi di vita siano sullo stesso livello. Non è vero. La
castità perfetta o verginità consacrata, è un segno più chiaro del matrimonio, dell’
unione di Cristo alla Sua Chiesa. Sappiamo che una caratteristica del matrimonio
sacramentale è il segno dell’Unione di Cristo alla Sua Chiesa, ma la vita consacrata
ne è un segno ancor più chiaro, come dice Papa Pio XII nella sua enciclica Sacra
Virginitas. Nella parola di S. Cipriano,queste anime consacrate sono uguali agli
angeli di Dio. Il loro amore possiede una purezza e splendore particolare.

La vita consacrata si caratterizza per i tre voti: i voti della castità, obbedienza, e
povertà. Questi voti combattono le tre concupiscenze conseguenti al Peccato
Originale. La prima è la concupiscenza degli occhi che è il desiderio di possedere
cose e informazioni in modo eccessivo: contro questa concupiscenza sta il voto di
povertà; la seconda è la concupiscenza della carne, di cui ho appena parlato: il voto in
questione è quello della castità; la terza è la concupiscenza della propria eccellenza,
la concupiscenza spirituale, la superbia della vita: il voto che contrasta questa
concupiscenza è quello della ubbidienza.

Per mostrare che questo tipo di vita, la vita di perfetta castità, è più alta di quello
matrimoniale, il concilio di Trento dichiara infallibilmente che è beatius et melius,
vivere così: vuol dire più felice e migliore.

Con queste riflessioni sulla Castità perfetta, siamo tornati all’inizio di questa
conferenza: lo splendore della castità. La dottrina della Santa Chiesa Cattolica sulla
castità è logica anche se è considerata eccessiva dai figli del mondo. In verità però
non è eccessiva, ma molto realista: è un richiamo alla ragione e al buon senso, una
sfida alla maturità, alla responsabilità, alla integrità, ed al coraggio.

Non siamo irrazionali; non cediamo alle convenzioni di un mondo sempre più
degradato e pervertito; non seguiamo le nostre emozioni disordinate a causa del
Peccato Originale, che conducono, infine, solo al sentimento del vuoto, della
tristezza, e persino alla disperazione, per non parlare dell’Inferno. Bensì
controlliamoci e moderiamo le nostre emozioni con la facoltà più alta della Ragione
per vivere in pace e felicità, nella pienezza delle virtù.
In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Amore

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

In una frase profetica, il grande filosofo, oratore romano, Cicerone dichiarò “due cose rivelano l’amante: che fa del bene all’amato e che sopporta la sofferenza di croce, e quest’ultima cosa è il segno più grande dell’amore”.
Similmente san Pietro Crisologo, Vescovo e Dottore della Chiesa, dice che l’Amore di Dio per l’uomo non sarebbe stato soddisfatto se non avesse sofferto fino alla morte per lui. Riteneva che fosse troppo poco se non avesse mostrato il Suo amore verso di noi tramite la sofferenza, e san Gregorio Nazianzieno scrive: in nessun altro modo l’amore di Dio per noi poteva essere dichiarato.
Seguendo san Bernardo, san Bonaventura asserisce, nel suo trattato “la vita mistica”, le parole seguenti: “Nella passione e nel rosso della Passione si rivela l’ardore della Carità grandissima ed impareggiabile – e continua – come rosa chiusa dal notturno gelo, quando il Sole Levante la riscalda, si apre tutta e dai petali aperti mostra, nella sua porpora, un ardore giocondo, così il delizioso Fiore del Cielo, l’ottimo Gesù, che nelle lunghe età da dopo il Peccato di Adamo era chiuso dal freddo notturno, e non somministrava ancora pienezza di grazia ai peccatori finalmente, avvicinandosi la pienezza dei tempi, acceso dai raggi dall’Amore ardententissimo, si aprì tutto in ogni parte del Suo Corpo e la Fiamma della Rosa d’Amore rifulse nel rosso vivo del Sangue”.
Quando Nostro Signore Gesù Cristo + il cui Nome sia sempre Benedetto, ci chiede oggi di amarLo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente, ci chiede di amarLo fino alla sofferenza, il segno più grande dell’amore.
Di tenere i Suoi comandamenti fino al punto che ci fa soffrire lottando contro la nostra natura caduta, nei nostri desideri bassi e meschini, la nostra riluttanza di fare grandi sforzi compiendo i doveri nel nostro stato di vita, anche quando si sembrano insopportabili, facendo quel lavoro che è, nelle parole di santa Teresina ispirate dalla Sacra Scrittura, fra tutti il più penoso e che consiste in quello che si intraprende sopra se stessi per arrivare a vincersi, e infine, accettando ed offrendo a Dio, per l’intercessione della Madonna, senza lamentarsi, tutti gli sconforti, tutti i dolori e tutte le sofferenze che Dio, nei Suoi disegni e nel Suo amore insondabili per noi, si degna di mandarci per Amore di Lui, per glorificare il Suo Santo Nome e per la nostra eterna beatitudine.
Amen

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo.

Adorazione (2)

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

In queste ultime domeniche dopo l’Epifania, la santa Messa, come ho menzionato l’altra volta, comincia con le parole: “Adoráte Deum, omnes Angeli eius”.

La settimana scorsa ho parlato dell’Adorazione in genere; questa volta vorrei parlare dell’Adorazione propria alla santa Messa.

Come anche l’altra volta ho detto: l’atto principale dell’adorazione è il sacrificio, e il sacrificio per eccellenza è il Sacrificio della Croce, lo stesso Sacrificio della santa Messa. Questo Sacrificio, come ogni sacrificio, consiste in tre elementi:
– l’offerta della Vittima;
– la distruzione della Vittima;
– e la comunicazione della grazia.

Nella santa Messa l’offerta della Vittima è l’Offertorio, quando nostro Signore Gesù Cristo + tramite il celebrante offre Se Stesso a Dio Padre nei simboli del pane e del vino, non offre pane e vino a Dio Padre, non avrebbe senso, ma offre se stesso al Padre in modo simbolico, in un modo che anticipa l’offerta di se stesso più tardi nel corso della santa Messa.

La distruzione della Vittima secondo l’opinione comune dei teologi, compreso il Doctor Angelicus san Tommaso d’Aquino, avviene alla Consacrazione, quando il Signore si immola sull’Altare con la spada spirituale delle parole di consacrazione, nell’immagine di san Gregorio Nazianzeno.

La comunicazione della grazia avviene soprattutto nella santa Comunione quando nostro Signore Gesù Cristo + si comunica Se Stesso ai fedeli, come la grazia increata.

La differenza tra i sacrifici dell’Antico Testamento e quell’unico Sacrificio del Nuovo Testamento è che, nell’Antico Testamento, un animale viene offerto ed immolato a Dio, Che poi elargisce la sua grazia all’uomo, nel Nuovo Testamento Dio Stesso si offre e si immola a Dio, il Quale poi elargisce Se Stesso all’uomo.

Vediamo chiaramente come il sacrificio dell’Antico Testamento non è che un’ombra e un segno di quel Sacrificio per eccellenza del Nuovo Testamento.

Noi che assistiamo alla santa Messa siamo chiamati ad unirci al Sacrificio del Figlio divino al Suo Padre divino, col dono completo di noi stessi. All’Offertorio offriamo a Dio tutte le nostre azioni, le nostre gioie, le nostre sofferenze, la nostra persona e persino la nostra vita intera. Alla Consacrazione ci immoliamo completamente a Lui nello spirito, come i santi Martiri si sono immolati completamente a Lui nel corpo. Alla santa Comunione, come riscambio per il Suo dono intero di se a noi, ci diamo interamente a Lui, e nel ringraziamento che raccomando a tutti, almeno per qualche minuto dopo la santa Messa, prolunghiamo questo dono di noi stessi a Lui per la gloria del Suo santissimo Nome. Così partecipiamo al santo Sacrificio della Messa, sacrificandoci con l’Ostia Divina all’Offertorio, alla Consacrazione e dandoci a Lui nella santa Comunione.

Questo sacrificio che facciamo di noi alla santa Messa in modo diretto ed esplicito, lo dobbiamo fare anche in ogni momento della nostra vita, cioè, in modo indiretto ed implicito: tutte le nostre azioni, tutte le nostre gioie e pene vengono offerte, quando sono compiute o sentite, a Dio, così la nostra persona e la nostra vita viene trasformata in un olocausto alla Maestà Divina, viene santificata e divinizzata. Le pene e le difficoltà non ci conducono più all’impazienza, al risentimento, alle lamentele in pensiero o parola, ad un atteggiamento nichilista che la vita non abbia senso, che Dio non esista, che non si occupi di me, ad un atteggiamento, in una parola, di sfiducia in Dio, ma nella luce della fede divengono occasioni per un atto di offerta, un atto di amore verso Dio, per guadagnare meriti per l’eternità. Questo Sacrificio, questo atto principale dell’adorazione che compiamo con tutta la nostra vita e in particolar modo alla santa Messa, è un sacrificio totale, di noi stessi.

Il Signore disse: se uno non avrà rinunciato a tutto, non potrà essere il Mio discepolo.

Voglio concludere in questo riguardo con un passo di Tommaso a Kempis nel suo libro L’Imitazione di Cristo.

“Parola del diletto.
Con le braccia stese sulla Croce, tutto nudo il corpo, Io offersi liberamente Me Stesso a Dio Padre, per i tuoi peccati, cosicché nulla fosse in Me che non si trasformasse in sacrificio, per placare Iddio. Allo stesso modo anche tu devi offrire a Me volontariamente te stesso, con tutte le tue forze e con tutto il tuo slancio, dal più profondo del cuore, in oblazione pura e santa. Che cosa posso Io desiderare da te più di questo, che tu cerchi di offrirti a Me interamente? Qualunque cosa tu Mi dia, fuor che te stesso, l’ho per un nulla, perché Io non cerco il tuo dono, ma te. Come non ti basterebbe avere tutto, all’infuori di Me, così neppure a Me potrebbe piacere qualunque cosa tu Mi dessi, senza l’offerta di te. Offriti a Me; dà te stesso totalmente a Dio: così l’oblazione sarà gradita. Ecco, Io Mi offersi tutto al Padre, per te; diedi persino tutto il Mio Corpo e il Mio Sangue in cibo, perché Io potessi essere tutto tuo e perché tu fossi sempre con Me. Se tu, invece, resterai chiuso in te, senza offrire volontariamente te stesso secondo la Mia volontà, l’offerta non sarebbe piena e la nostra unione non sarebbe perfetta”
(Imitazione di Cristo Libro IV cap.VIII)

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Giudizio Universale

SECONDO SANT’ALFONSO DE LIGUORI

 

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

“Oggi, se facciamo ben attenzione, dice sant’Alfonso, non c’è persona al mondo più disprezzata di Gesù Cristo+; il Suo santo Nome viene da tanti pronunziato solo in momenti di sorpresa, o di ira; la Sua Divinità e il Suo divin Sacrificio per cui ha salvato il mondo in mezzo ai dolori più atroci, sono disonorati. Il Suo Corpo mistico, la Chiesa, oltraggiato dai nemici esterni ed interni, e tutto questo ‘come ci fosse niente che potesse fare l’Onnipotente’, nella parola del santo Profeta Giobbe.

Ma il Redentore ha destinato un giorno, chiamato dalle Scritture “il Giorno del Signore”, in cui Gesù Cristo si manifesterà come realmente è nella Gloria della Sua Maestà, quando, nella parola del Salmo: ‘si manifesterà facendo giustizia’. Questo giorno non sarà più chiamato “Giorno di misericordia” né di perdono, ma “Giorno di ira”: ‘Dies irae, dies tribulationis et angustiae, dies calamitatis et miseriae’, così il Profeta Sofonia, come ripresa nella sequenza Dies Irae. In questo giorno, che è il giorno del Giudizio Universale, il Signore ristabilirà il Suo onore che i peccatori su questa terra hanno cercato di toglierGli.

Allo stesso tempo tutti gli uomini saranno giudicati, non da individui come nel Giudizio Particolare, bensì nel loro rapporto agli altri; e tutte le loro azioni, buone e cattive, saranno palesate.

Vediamo ora come si svolgerà quell’ultimo giorno della storia umana.

1. L’Incendio

Prima del suo arrivo verrà il fuoco dal cielo e brucerà la terra intera, corrotta come è stata dai peccati: Ecco la fine cui andranno incontro tutte le ricchezze, i lussi, e le raffinatezze di questo mondo.

2. La Risurrezione dei morti

Suonerà la tromba ed i morti risorgeranno (1Cor15, 22-58). Le Anime dei beati scenderanno dal cielo per riunirsi ai loro corpi con cui hanno servito Dio in questa vita, che splenderanno allora come il sole nella bellezza della loro santità; le anime dei dannati invece saliranno dall’Inferno per riunirsi ai loro corpi maledetti, con i quali hanno offeso Dio e che appariranno deformi, neri, e puzzolenti.

3. Il Raduno

Gli uomini si raduneranno nella valle di Josaphat per essere giudicati. Gli Angeli separeranno i cattivi dai buoni: i cattivi alla sinistra, i giusti alla destra. I cattivi che per aver fatto una breve apparizione sulla scena di questo mondo, dovranno poi far la parte dei dannati nella tragedia del Giudizio; mentre gli eletti, a loro maggiore gloria, secondo l’Apostolo Paolo, saranno sollevati in aria sopra le nubi per andare incontro, con gli Angeli, a Gesù Cristo.

4. L’Arrivo degli Angeli

I Cieli si aprono e gli Angeli scendono ad assistere al Giudizio portando i segni della Passione del Signore, come dice San Tommaso d’Aquino: “Veniente Domino ad iudicium, signum crucis, et alia passionis indicia demonstrabuntur”. Padre Cornelius a Lapide scrive: Oh come allora al veder la Croce piangeranno i peccatori, che in vita non fecero conto della loro salute eterna, che tanto costò al Figlio di Dio! “Plangent qui salutem suam, quae Christo tam cara stetit, neglexerint”.

5. L’Arrivo dei Beati

Gli Apostoli e la Regina degli Angeli e dei Santi giungeranno ad assistere al Giudizio, e alla fine l’Eterno Giudice arriverà in un trono di luce e di maestà: ‘Vedranno il Figlio dell’Uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria, e davanti a Lui tremeranno i popoli’.

Per i dannati sarà meglio sopportare le pene dell’Inferno che la presenza del Signore in questo giorno, come dice San Girolamo: La vista di Gesù Cristo consolerà gli eletti, ma a’ reprobi ella apporterà più pena che lo stesso Inferno: “Damnatis melius esset inferni poenas, quam Domini praesentiam ferre”. E come dice anche San Basilio: “Superat omnem poenam confusio ista”. Allora avverrà quel che predisse S. Giovanni, che i dannati pregheranno i monti a cader loro sopra e nasconderli dalla vista del loro Giudice irato: “Dicent autem montibus: Cadite super nos, et abscondite nos a facie sedentis super thronum, et ab ira Agni” (Apoc 6,6).

6. Il Processo

La Corte si siede e i libri vengono aperti. I Libri sono le coscienze di ogni individuo che insieme agli Angeli e ai Diavoli, daranno testimonianza della loro condotta su questa terra. Il Maestro delle Sentenze ed altri commentatori dicono che i peccati degli eletti non saranno manifestati per un atto di misericordia divina, mentre secondo San Basilio i peccati dei reprobi saranno tutti visti con un unico colpo d’occhio, come in un quadro.

7. La Sentenza

Ai Giusti il Giudice dirà: ‘Venite figli benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi sin dalla fondazione del mondo’ (Mt.25,34). Io benedico il Sangue che ho sparso, dirà il Signore, per voi; benedico le lagrime che avete versato per i vostri peccati. Anche la Madonna Santissima benedirà i Suoi devoti e li inviterà a salire con Lei in Paradiso.

Ai Dannati invece, l’Eterno Giudice dirà: Via lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno (Mt.25,41). Dopo questa sentenza, dice S. Ephrem, i reprobi si licenzieranno dagli angeli, da’ santi, da’ congiunti e dalla divina Madre; poi in mezzo alla valle si aprirà un grande abisso nel quale cadranno insieme i Demoni e i Dannati per non uscirne mai più in eterno.

*

“Mio Salvatore e Dio – prega sant’Alfonso – quale sarà la sentenza che mi toccherà in quel giorno se ora, Gesù mio, mi domandaste conto della mia vita? Che altro risponderVi se non che merito mille volte l’inferno. Oh Gesù mio! Voi condannate i peccatori ostinati, non certo quelli che si pentono e Vi vogliono amare! Eccomi pentito ai Vostri piedi. Oh Gesù mio, salvatemi!

La mia salvezza sia amarVi sempre e sempre lodare le Vostre misericordie: canterò in eterno le misericordie del Signore – Misericordias Domini, in aeternum cantabo. Maria, Madre mia, speranza e rifugio, aiutatemi ed ottenete per me la santa perseveranza, non si è mai perduto nessuno che abbia fatto ricorso a Voi. A Voi mi raccomando: abbiate pietà di me”.

 

Umiltà ed orgoglio

+In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

Nel Vangelo di oggi, Nostro Signore ci parla dell’umiltà e dell’orgoglio, è uno dei grandi temi dei Vangeli, della Sacra Scrittura e della nostra vita spirituale in tutte le sue tappe.

Si può definire l’umiltà così: l’agire nella consapevolezza che si è niente, e Dio è tutto. Santa Teresa d’Avila scrive che l’umiltà è la verità, la ragione deve essere che l’umiltà si basi su questa verità, che io sono niente e Dio è tutto. Sant’Agostino scrive che l’umiltà è il fondamento dell’edificio spirituale perchè, come si può presumere, se si agisce secondo questa verità, questa consapevolezza, si agirà sempre bene, sempre santamente. Ebbene, se l’umiltà procede dalla certezza che sono niente, l’orgoglio procede, ovviamente, dall’idea che io sia tutto, che io sia, in una parola, Dio stesso.

La scelta tra l’orgoglio e l’umiltà sarebbe dunque la scelta tra l’atteggiamento che io sia dio e l’atteggiamento che io sia niente, che io sia il centro dell’universo, o Dio sia il centro, la scelta e non tanto teorica, quanto pratica, anche se sappiamo che Dio è tutto, è il centro dell’universo, spesse volte non agiamo così.

Come, dunque, possiamo raggiungere l’umiltà? Abbiamo detto che l’umiltà si basa sulla verità, la verità che sono niente e Dio è tutto, per raggiungere l’umiltà bisogna quindi prima conoscere, ed accettare questa verità: io sono niente, non esisto in me stesso, ma solo in Dio; non sono buono in me stesso ma solo in Dio, mentre tutta la mia cattiveria e malizia viene unicamente da me, Dio invece è tutto, è la pienezza della realtà, è la somma di tutte le perfezioni, se sono tentato all’orgoglio e alla superbia, posso dunque guardare la mia miseria e i miei tantissimi peccati, di cosa posso io essere orgoglioso? Può essere orgogliosa la polvere? ci chiede la Sacra Scrittura, alternativamente posso guardare la Maestà, la bontà, l’amore infinito di Dio e apprendere ad umiliarmi davanti a Colui che solo davvero è grande, o posso guardare l’umiltà di Dio che si è spogliato della Sua gloria divina per divenire uomo e servo, e per essere Crocifisso per amore di me.

Un’altro metodo per acquistare l’umiltà è di praticare l’ubbidienza o ai genitori, o ai superiori, o se non ho dei superiori posso seguire i consigli degli altri piuttosto delle mie idee, così mi sottometto agli altri e imparo così a prendere il secondo posto.

Descriviamo allora, brevemente, l’uomo orgoglioso e l’umile.
L’uomo orgoglioso ha una opinione alta di se stesso, parla di se stesso, si vanta, si attende molto dagli altri nei suoi confronti, se viene deluso nelle sue attese si offende, si arrabbia, si rattrista, si lamenta; quanto agli altri non chiede mai dei consigli perchè crede di sapere tutto lui, non si cura di nessuno perchè si cura solamente di se stesso, se un altra persona ha un successo qualsiasi, ne è geloso perchè vuole avere per lui ogni successo.

Mentre l’uomo umile ha una opinione bassa di se stesso, sa che è niente, non parla dunque mai di se stesso, non si vanta, non si attende niente dagli altri perciò non si offende, non si arrabbia, non si rattrista, non si lamenta. Chiede consigli perchè sa che è limitato, si cura degli altri, si rallegra dei loro successi
e della loro felicità.

Con un riguardo a Dio, l’orgoglioso non pensa mai a Lui perchè ha fatto di se stesso un dio, mentre l’umile pensa sempre a Dio, riferisce tutti i suoi pensieri e tutte le sue azioni a Lui, perchè sa che Dio è tutto e che si vive in Dio e che solamente in Dio si può essere felici in questa e nella prossima vita, e che tutta la bontà che si può possedere viene da Dio, mentre tutto il male viene da se stesso, e non osa neppure alzare lo sguardo in alto, ma si percuote il petto dicendo: o Dio, sii clemente con me peccatore.

+In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

L’amore per il mondo

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Oggi giorno che c’è una certa confusione sulla natura del Mondo, alcuni valutandolo come qualche cosa di positivo, ritengo opportuno di meditare sulla sua natura secondo il costante insegnamento della Santa Madre Chiesa, soprattutto sull’amore per il Mondo.

‘Vi sono alcuni che sanno le cose terrene, nelle parole di San Paolo oggi (cfr Filipp.3,17-21 e 4,1-3), che cercano i piaceri terreni e mondani che sono nemici della Croce di Cristo, di cui la fine sarà la perdizione’.

L’uomo è creato per amare l’Infinito che è Iddio. Se non ama Dio, cercherà di appagare il suo amore per l’Infinito con cose finite, così tormentando e sfigurando la sua anima. In altre parole ci sono solo due amori: l’amore per Dio e l’amore per il Mondo.

L’amore per il Mondo consiste nelle tre concupiscenze che, come ho detto alla Festa di Ognissanti, sono: la concupiscenza della propria eccellenza, cioè la superbia, la concupiscenza della carne, cioè per i piaceri carnali, e la concupiscenza degli occhi, cioè per i beni terreni. Il male dell’amore per il Mondo è che mette il mondo al posto di Dio: il suo male, in una parola, è l’idolatria. Per alcuni come Abshālōm (Assalonne) questo idolo è l’onore; per altri, secondo la parola odierna di San Paolo, è il ventre; per altri, come Giuda, sono i soldi; e così via.

Il principio di questi “figli del Mondo” viene espresso dal Profeta Isaia con la parola: “si mangia e si beva perché domani moriremo” (Is. 22,13). Questa prudenza, la prudenza del Mondo, è la prudenza della carne; e la sapienza del mondo è stoltezza davanti a Dio, dice san Paolo nella 1Corinzi 3,18.

L’amore per il Mondo fa perdere la grazia santificante e l’eterna beatitudine. Nostro Signore Gesù Cristo + il cui Nome sia sempre adorato, dice: “chi ama la sua vita la perde” (Gv.12,24-26) e “guai a voi che ora siete sazi perché avrete fame; guai a voi che ora ridete perché sarete afflitti e piangerete” (Lc.6, 24-26).

Come spiega il prelato Spirago nel suo ammirevole Catechismo di cui prendo la sostanza di questa Omelia: come la nave attaccata alla terra con la sua ancora non può partire dal porto, così l’uomo che ama il Mondo non può raggiungere il porto della beatitudine. L’amore per il Mondo acceca lo spirito dell’uomo e lo allontana sempre di più da Dio. E siccome i raggi del sole non possono penetrare, né attraversare, l’acqua sporca, così lo Spirito Santo non può illuminare l’anima del figlio del Mondo.

San Paolo scrive di nuovo: ‘l’uomo sensuale non comprende le cose dello Spirito di Dio, esse sono follia per lui e non è capace di intenderle perché se ne può aggiudicare solo per mezzo dello Spirito’ (1Cor. 2,14). Per questi uomini la preoccupazione del Mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la Parola di Dio come le spine soffocano il seme crescente, nella parabola del Signore (Mt 13, 3-23).
Loro sono quelli invitati alla Cena Celeste che si assentono a causa di un campo, un paio di buoi, o una donna (Lc. 14, 16-24). L’amore per il Mondo turba l’anima: coloro che seguono le loro concupiscenze sono come coloro che non possono dormire la notte cambiando sempre posizione nel letto; mentre coloro che seguono il Signore possiedono la pace vera e stabile: ‘Vi lascio la pace – dice il Signore – vi do la mia pace, non come la da il mondo io la do a voi’ (Gv. 14, 27).

Il figlio del Mondo non può amare allo stesso tempo il Mondo e Dio, non può servire Dio e a Mammona (Lc.16,13): anzi, egli è pieno di odio verso Dio, verso la Santa Madre Chiesa, e i suoi servitori. Dice San Giacomo: ‘Gente infedele, non sapete che amare il mondo è odiare Dio?’ (Gc.4,4).

Finalmente, carissimi amici, i figli del Mondo hanno una grande paura della morte e muoiono spesso in grande turbamento di spirito, in disperazione o sofferenza, come pesci che sentono il dolore dell’amo, soprattutto quando vengono tirati fuori dall’acqua: Perché alla morte i loro idoli vengono spaccati ed il loro amore per questi cessa, lasciandoli ignudi e privi di tutto.

L’amore per il Mondo è insito nel cuore dell’uomo e abita in tutti gli uomini ad un grado maggiore o minore, anche in coloro che cercano la santità, che è la perfezione della Carità, perché, come ho detto alla Festa di Ognissanti: l’amore per il Mondo, le tre concupiscenze, sono i tre ostacoli alla Carità.

Bisogna dare, dunque, il nostro amore non al Mondo bensì a Dio, e non essere mai nemici della Croce di Cristo ma piuttosto prendere ogni giorno la nostra croce per amore di Lui. Bisogna portare questa croce per amore di Lui; bisogna pensare non alle cose della terra che prima o poi finiranno, ma alle cose di lassù che sono eterne, come spiega San Paolo: Col. 3,2 / Filipp. 3,19; bisogna cercare non ciò che è incostante, ma ciò che è stabile, non ciò che passa ma ciò che è eterno, non l’amico che ci lascerà alla morte ma Colui Che ci rimarrà fedele alla morte e dopo questo passaggio perché siamo stati fedeli a Lui, Che è Dio sopra ogni cosa benedetto.
Amen.

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo +

L’opera di Satana

52

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

“La nostra battaglia, infatti, non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i principati e le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle legioni celesti”. Così parla San Paolo oggi sul Demonio e la sua schiera di cui voglio parlare oggi, non per turbarci ma affinché noi possiamo meglio conoscere il nostro Avversario.

L’esistenza del Demonio è dogma. Il Quarto Concilio lateranense dichiara che: Dio ha creato esseri spirituali di cui una parte si è fatta cattiva.

Molte cose si potrebbero dire sul Demonio e sui demoni: sulla natura diabolica, sul modo in cui l’hanno acquistata, sul loro scopo ultimo, sulla loro operazione nel mondo e nel Peccato Originale, sul mondo moderno in particolare, sui fenomeni straordinari come la possessione ed infestazione; ma ci limiteremo oggi ai fenomeni ordinari perché ci riguardano nella nostra vita quotidiana, morale e spirituale. Mi riferirò al libro “Discernimento degli spiriti” di Padre Giovanni Battista Scaramelli scritto nel ‘700.

Innanzi tutto bisogna sapere che l’unico scopo del diavolo nei nostri confronti, è di privarci della nostra beatitudine nel Paradiso o in modo assoluto, o di quel grado di essa che Dio ci ha previsto da tutta l’eternità. Questo scopo il demonio prova a compiere tentandoci al peccato mortale o veniale.

In seguito parlerò dello ‘spirito diabolico’ che significherà in prima luogo il demonio stesso, ma poi può significare altrettanto la natura caduta o il nostro carattere cattivo.

Ora, ci sono due campi in cui il demonio ci assale: l’intelletto e la volontà.

Il campo dell’Intelletto

Primo guardiamo il campo dell’intelletto. Incominciamo distinguendo lo spirito diabolico dallo spirito divino: – lo spirito divino è uno spirito di verità, di utilità, di luce, di docilità, di moderazione, e di umiltà; mentre lo spirito diabolico è uno spirito di falsità, inutilità, di tenebre, di protervia, di eccesso, e di superbia.
Adesso guardiamo lo spirito diabolico in dettaglio.

1 – lo spirito diabolico è spirito di falsità, esso ci pone in testa specie contrarie alla fede, o suggerisce massime poco confacenti alla grandezza della Divina Misericordia e della Divina Provvidenza, per abbattere il nostro spirito, e anche ci suggerisce pensieri immorali.

2 – lo spirito diabolico ci suggerisce cose inutili, leggeri, ed impertinenti per sviarci dai pensieri santi e profittevoli, soprattutto nella Preghiera.

3 – lo spirito diabolico reca alla mente le tenebre e falsa luce, offusca la mente, oscura l’intelletto, riempie l’anima di turbamento, di ansietà, di angustie, di scrupoli, e di penose perplessità.

4 – lo spirito diabolico è protervo. San Giovanni Cassiano, Dottore della Chiesa, scrive che: “con nessun altro vizio conduce più sicuramente l’anima alla perdizione, che con la pertinacia, per cui non curando il consiglio dei più autorevoli, si appoggi solo al suo giudizio”.

5 – lo spirito diabolico è indiscreto ed eccessivo. Ci suggerisce buone opere ma senza conservare ne la debita misura, ne il debito tempo, ne il dovuto luogo, ne il debito riguardo alla qualità delle persone. Per esempio può portarci al digiuno eccessivo, o a fare opere buone in pubblico così che ci possiamo far notare, o può indurre una persona contemplativa al troppo attivismo.

6 – lo spirito diabolico inserisce sempre pensieri vani e superbi.

Il campo della volontà

Mentre lo spirito Divino è uno spirito di pace, umiltà, fiducia, docilità, ricerca della volontà di Dio, pazienza, mortificazione, sincerità, distacco, imitazione di Cristo e di Carità; lo spirito diabolico è uno spirito di turbamento, superbia, falsa umiltà, sfiducia in Dio, non sommissione al direttore spirituale o chiusura a lui, uno spirito di perversità, di impazienza, risentimento, passioni eccessive, finzione, attaccamento ai piaceri, odio verso il nostro Signore Gesù Cristo +, falsa Carità e falso zelo.

1 – Il primo segno che il demonio opera nelle emozioni e nei movimenti della nostra volontà è l’inquietudine, il turbamento e la torbidezza. Tipicamente ci attira con diletto sensibile a compiere qualche atto per poi lasciarci con l’amarezza e l’agitazione.

2 – la superbia e la falsa umiltà: un esempio della seconda è la malinconia che si può sentire alla memoria dei peccati passati o alle imperfezioni presenti. Per contrastare a questo dobbiamo praticare uno spirito di compunzione.

3 – la disperazione e la diffidenza. Tipico del demonio è di farci scoraggiare e dubitare della bontà e della Provvidenza di Dio, per allontanarci da Dio e avvicinarci così a lui. Per contrastare questi peccati dobbiamo coltivare uno spirito di fiducia in Dio.

4 – la disubbidienza ai superiori o ai direttori. Contro questo peccato dobbiamo aprire il nostro cuore ad un uomo saggio e pio, soprattutto al nostro direttore spirituale, se lui ha queste qualità.

5 – la mala intenzione nell’operare il bene, per esempio il desiderio di comparire alle preghiere, alle elemosine, agli atti di Carità sotto gli occhi altrui.

6 – l’insofferenza nei travagli: l’ira, i risentimenti alla memoria di torti ricevuti, impazienze, lamenti, querele, smanie, disperazione all’occasione di dolori, di infermità corporali, della perdita della roba, alla morte o alle malattie di parenti e amici.

7 – lo sconvolgimento delle passioni. La natura comincia con movimenti miti che il demonio attizza, accende, e avvalora affinché le passioni offuschino la ragione e facciano violenza alla volontà per farla cadere. L’operazione del demonio si manifesta soprattutto quando le passioni si sollevano: in un subito, per moti leggeri, con insolita violenza, e in un modo poco connaturale.

8 – la finzione, doppiezza e simulazione. “La sapienza di questo mondo, dice San Gregorio Magno, consiste nel fare che il falso appaia vero, e il vero falso”.

9 – l’attacco contrarissimo alla libertà dello spirito. Il Demonio trasfigurato in angelo di luce pasce l’anima, staccata dal mondo con certi cibi delicatissimi della preghiera, che a lei può far trascurare le obbligazioni del suo stato, o le opere della Carità.

10 – l’avversione verso Nostro Signore, verso la venerazione della Sua santissima umanità e verso la Sua imitazione.

11 – la falsa Carità e il falso zelo che sono pieni di impazienza, di sdegno, di superbia, piuttosto che di pazienza, compassione, e di umiltà.

Facciamo adesso qualche consiglio e qualche appunto generale.

Il Demonio non conosce il nostro rapporto più intimo e segreto con Dio, ma conosce le nostre debolezze, morali e psicologiche, che si tradiscono nelle nostre azioni e reazioni. Sa chi è avaro, lussurioso, invidioso, iracondo, superbo; sa chi è triste, ansioso, eccessivamente affettuoso, suscettibile, pauroso. Egli sfrutta  queste debolezze per provare a perderci.

Come combattiamo questo nemico predito di cento occhi e di mille astuzie? Come difendiamo la fortezza della nostra anima contro questo potente generale con lunga esperienza e contro la sua forte e crudele soldatesca?

Subito, quando assale nei modi che abbiamo evocato, lo respingiamo e facciamo ricorso a Dio; coltiviamo tutte le virtù cristiane; riconosciamo le nostre debolezze morali e psicologiche e lavoriamo per superarle ogni giorno della nostra vita. Chiediamo la luce e la forza di Dio, preghiamo assiduamente affidandoci senza riserva a Dio e alle mani della Sua Madre Santissima ed Immacolata.

+ In nomine Patris, et Filii et Spiritus Sancti . Amen.

 

La dottrina cattolica sul demonio

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Su questa Domenica, normalmente, faccio una piccola sintesi della Dottrina Cattolica sul Demonio. L’esistenza del Demonio è un articolo di fede, malgrado tutto ciò i modernisti possono dirci con i loro sforzi e fino a diminuire allo zero la nostra fede.
In Principio Dio creò il Cielo e la Terra, il Cielo può riferirsi qua, alla creazione degli Angeli, dopo la creazione degli Angeli è seguita la prova degli Angeli.

La natura di questa prova (secondo la Tradizione è certa, ma la natura non è certa), è che un buon numero di Padri della Chiesa la intendono come il Comandamento di Adorare Dio-Uomo, ossia Gesù Cristo + visto da loro in una visione. Lucifero ed una parte degli Angeli hanno rifiutato perchè non volevano adorare un essere di una natura inferiore alla loro, Gesù Cristo + avendo come ben sappiamo non solo una natura Divina ma anche una natura umana, ossia inferiore alla natura angelica, di per sé la sua natura, l’esito di questo rifiuto era la caduta degli Angeli dal Cielo, il loro cambiamento, da Angeli in Demoni. Questa caduta viene espressa nell’Apocalisse dove si legge che la coda del Drago trascinava giù un terzo delle Stelle del Cielo e le precipitava sulla Terra.

Come già possiamo capire, il peccato di questo Drago, Lucifero e di altri Demoni di cui è il capo, è quello della superbia, non volevano adorare Gesù Cristo + , questo peccato viene espresso nelle due parole del Libro di Geremia: “non servirò/non serviam”, si può dire che il grido di guerra di san Michele Arcangelo invece, che li ha cacciati dal Cielo, era “chi è come Dio? – Quis ut Deus?” Micha’el, il grido del Demonio rappresenta, “non serviam”, la pretesa di essere “come Dio”, mentre la parola di san Michele rappresenta la verità che nessuno è come Dio.

Diversi passi della Sacra Scrittura vengono applicati al peccato degli Angeli, in Tobia si legge: “la superbia è la causa di ogni rovina”; in Ecclesiastico: “il principio di ogni peccato è la superbia”; e in Isaia: “come mai sei caduto dal Cielo, Lucifero, Figlio dell’Aurora? Come mai sei stato steso a terra signore dei popoli, eppure tu pensavi – salirò in Cielo, sulle Stelle di Dio innalzerò il trono, mi farò uguale all’Altissimo e invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso” (Isaia 14,11-15).

Dunque, dal peccato della superbia segue un secondo peccato, quello dell’invidia, perché il superbo prova risentimento verso un altro che possiede delle qualità che attribuisce falsamente a sé stesso.
Questa invidia spinge il Demonio ad attaccare il Signore Gesù Cristo + durante la Sua vita sulla Terra, lo spinge ad attaccare il Suo Corpo Mistico che è la Chiesa, e più generalmente tutto il genere umano in quanto è creato ad immagine e somiglianza di Dio. Il suo odio particolare verso l’uomo si basa sul fatto che l’uomo, di fatto, può divenire “come Dio”, non di per se stesso però, ma tramite la Grazia.

Questa, dunque, è la lotta spirituale di cui parla san Paolo nell’Epistola di oggi: non una lotta contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potestà delle tenebre.

Come agiscono i Demoni in questa lotta spirituale?
Loro ci tentano al peccato, il peccato mortale in primo luogo e il peccato veniale in secondo luogo, come un passo verso il peccato mortale. Esempi di peccati mortali, purtroppo comuni, sono la mancanza alla Santa Messa domenicale e alla santa purezza o da solo o con un altro/a. Colui che ha un peccato mortale sulla coscienza deve confessarlo quanto prima e fare il proponimento di abbandonarlo, con la Preghiera e la Grazia di Dio questo è sempre possibile, il peggiore è, come lo dico spesso, ricevere la Santa Comunione in questo stato perché ciò costituisce un secondo peccato mortale, quello del sacrilegio.

Lo scopo dei Demoni è nient’altro che di sedurci, ora, l’uomo è creato per conoscere il vero, amare il Bene ed essere felice con Dio per tutta l’eternità.
Il Demonio, perché vuole che siamo infelici all’inferno, per tutta l’eternità, deve ingannarci travestendo il falso come il vero, il male come il bene, e perciò si chiama l’ingannatore. Perché cerca la morte eterna per noi, il perché ha causato la morte fisica mediante il Peccato Originale, si chiama anche l’omicida.

Un altro nome del Demonio è dio o Principe di questo mondo, ma non bisogna avere paura del Demonio perché non ha il dominio su questo mondo ma soltanto un influenza; Dio ha il dominio, Egli regna, Egli comanda, il Demonio è soggetto a Lui e può agire unicamente fino al punto che Dio lo permette per i propri scopi, cioè, affinché noi ci santifichiamo per mezzo delle prove, e Dio non permetterà che siamo messi alla prova oltre alle nostre forze, ma ci da tutte le armi delle quali abbiamo bisogno per vincere.

Quali sono queste armi?
In una lotta spirituale le armi sono spirituali: la Fede, i Sacramenti e le Virtù, come ci insegna oggi san Paolo. Non bisogna avere paura del Demonio, dunque, ma sfregiarlo, perché con queste armi lo vinceremo. Con queste armi, cioè con una buona vita cattolica secondo la Fede, secondo i Comandamenti, con l’aiuto dei Sacramenti soprattutto la santa Confessione e la santa Comunione, e con una vita di Preghiera intensa, affidandoci totalmente a Dio, alla Santissima Vergine Maria attraverso il Rosario, e al nostro Angelo Custode e a san Michele Arcangelo, così vinceremo, così ci santificheremo e così diverremo “come Dio” nel senso giusto, ossia mediante la Sua Grazia, per poter vivere in unione con Lui qua e nel Cielo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo

La carità (1)

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.
La Carità è la chiave della vita spirituale, la chiave d’oro che aprirà per noi la porta del Cielo, se moriamo con essa in mano. Questo vediamo chiaramente nel Vangelo di san Luca quando un Dottore della Legge chiede al Signore: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?”, e Gesù gli disse: “che cosa sta scritta nella Legge, che cosa vi leggi?” Costui rispose: “amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza, e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso “, e Gesù: “hai risposto bene, fa questo e vivrai.”

La Carità ora ha un doppio oggetto: Dio e il prossimo.
Come amiamo Dio e come amiamo il prossimo?
Amiamo Dio direttamente nella preghiera, e indirettamente con tutto quel che facciamo per Lui, e possiamo addirittura fare tutto per Dio proponendo di compiere ogni azione per Lui. Amiamo Dio indirettamente anche tramite il nostro prossimo, perchè nella Carità amiamo il prossimo per Dio e in Dio – o almeno affinchè sia in Dio, nelle parole di san Tommaso d’Aquino. Amare il prossimo in Dio è come ammirare la luce in un vetro colorato di una chiesa E’ un’amore che consiste nel cercare il suo bene, il suo bene corporale ma soprattutto il suo bene spirituale.

Essenziale sapere che per amare con la Carità dobbiamo essere nello stato di grazia perchè la Carità è un amore soprannaturale; senza la grazia soprannaturale non possiamo amare Dio in questo modo, ossia, in modo soprannaturale. Dunque, se qualcuno cade nel peccato mortale a causa per esempio dell’impurezza, da solo o con un altro; a causa della mancanza alla Santa Messa domenicale per pigrizia; a causa di un furto di un oggetto di gran valore; o dell’aborto; deve confessarsi e convertirsi quanto prima, perchè altrimenti non può amare Dio nè il prossimo come Dio ci comanda, ossia, nella Carità, e non può acquistare questa chiave d’oro che sola aprirà la porta del Cielo.

Oggigiorno si parla molto dell’amore e si dice “questa è la cosa che distingue la Fede cristiana dalle altre religioni”, ma questa parola è vaga ed incompleta, perchè ciò che distingue la Fede cristiana, o piuttosto la Fede cattolica, dalle altri religioni, non è solo ‘l’amore’ bensì l’amore soprannaturale, cioè la Carità.
Allora, ci sono due brani nella Sacra Scrittura che ci dà una vista generale della Carità.

Il primo brano viene costituito dai Dieci Comandamenti: i primi Comandamenti stabiliscono la Carità verso Dio direttamente, ossia l’adorazione di Dio; gli altri Comandamenti stabiliscono la Carità verso il prossimo. Il Signore Stesso ci insegna chiaramente che i Comandamenti esprimono la Carità verso di Lui quando dice: “colui che Mi ama tiene i Miei Comandamenti” e San Paolo ci insegna chiaramente che i Comandamenti esprimono la Carità verso il prossimo, quando scrive ai Romani che i Comandamenti si riassumono in queste parole: “amerai il prossimo tuo come te stesso”.

Il secondo brano della Sacra Scrittura che ci dà una vista generale della Carità è l’epistola di san Paolo ai Corinzi. Qua la Carità è, per così dire, personificata: la Carità è paziente, è benigna, non è invidiosa, la Carità non si vanta, non si gonfia, tutto sopporta.

Chi sarebbe questa Persona, possiamo chiederci, se non la seconda Persona della Santissima Trinità, Dio fatto Uomo, la Carità Stessa? Vediamo come in uno specchio, dice san Paolo, e questo specchio è Gesù Cristo + Stesso, Che è lo specchio del Padre, lo specchio in cui vediamo la Carità: Egli è paziente, benigno, e tutto sopporta come un Agnello, Che soffre tutto nella Sua Passione per amore di noi.

[In questa Domenica] la Chiesa ci presenta la Carità infinita di Dio verso le Sue creature nell’epistola, e nel Vangelo la Passione di Cristo, che ne è l’espressione definitiva: sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi, e dopo averLo flagellato Lo uccideranno.

Adesso che stiamo per iniziare il santo Tempo della Quaresima, impregniamo il nostro cuore di questa Carità di Dio che è il modello per la nostra Carità verso di Lui. Questa Carità di Dio si distingue dalla sua assolutezza che deve anche distinguere la nostra Carità verso di Lui, Che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza e con tutta la mente. Amen.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.
Sia lodato Gesù Cristo

La carità (2)

+ In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Cosa è la Carità?

Non è l’atto di dare un soldo a qualcuno in bisogno, bensì in primo luogo è l’amore di Dio per Sé stesso dentro la Santissima Trinità; l’Amore del Padre per il Figlio + il Figlio per il Padre + nell’unità dello Spirito Santo +; l’amore di Dio anche per l’uomo, l’amore dell’uomo per Dio, per Dio come è in Sé stesso, la Santissima Trinità Padre, Figlio e Spirito Santo; e infine l’amore dell’uomo per l’uomo in Dio.

Questa carità dell’uomo consiste essenzialmente nel compimento dei Comandamenti, perché Nostro Signore Gesù Cristo è il cui Nome sia sempre benedetto, ha detto: “Chi accoglie i Miei comandamenti e li osserva, questi mi ama” (Gv.14,15-21), più largamente poi consiste in ogni atto che l’uomo compie per amore di Dio.

La carità e l’amore sovrannaturale che ha per oggetto Dio come è di per Sé stesso e richiede la grazia sovrannaturale; l’uomo infatti non può amare Dio con la carità se non è battezzato e non è nello stato di grazia.

La carità è un dono totale di sé a Dio, un dono totale del Padre al Figlio + del Figlio al Padre + nell’unità dello Spirito Santo, un dono totale di Nostro Signore Gesù Cristo + all’uomo mediante la Sua Passione e morte e mediante il Santissimo Sacramento dell’altare; un dono totale dell’uomo a Dio quando questa sua carità raggiunge la perfezione nella santità.

La carità dell’uomo in questo mondo consiste in atti – nel prossimo mondo consisterà nel riposo – atti molteplici in questo mondo, un riposo unico nel prossimo, atti molteplici di tutto ciò che facciamo quaggiù nello stato di grazia per amore di Lui, un riposo unico in Cielo della nostra volontà in Dio, un riposo della volontà in Lui che sarà la conseguenza della nostra contemplazione di Lui nell’intelletto, di Lui come è di per Sé stesso la Santissima Trinità, faccia a faccia (cf.1Cor. 13,12) quando il velo sarà squarciato, quando dopo i sette giorni della nostra vita terrena così breve, noi riposeremo in Lui in quel sabato – come dice Sant’Agostino – che non ha fine.

“Signore Dio – scrive Sant’Agostino alla fine delle sue Confessioni – poiché tutto ci avete fornito, donateci la pace. La pace del riposo, la pace del sabato, la pace senza tramonto. Tutto questo stupendo insieme di cose assai buone, una volta colmata la sua misura, è destinata a passare, esse ebbero un mattino e una sera. Ma il settimo giorno è senza tramonto e non a caso l’avete santificato per farlo durare eternamente, il riposo che prendeste al settimo giorno, dopo compiute le vostre opere buone, assai pur rimanendo in riposo, è una predizione che ci fa l’oracolo del Vostro Libro: noi pure, dopo compiute le nostre opere buone e assai per Vostra generosità, nel sabato della vita eterna, riposeremo in Voi. Possono alcune opere nostre essere buone, certamente per Vostro dono, ma non eterne, eppure dopo di esse speriamo di riposare nella Vostra immensa santità. Bene mancante di nessun bene, riposate eternamente poiché Voi stesso siete il Vostro proprio riposo”.

La carità su questa terra ci porta al nostro fine ultime in Cielo dove la fede diviene visione, la speranza il possesso e la carità il completamento della nostra beatitudine eterna. E questa beatitudine eterna consisterà prima nel nostro amore in Dio in Sé stesso e poi nel nostro amore per noi in Dio, e così Dio sarà tutto in tutto, sarà glorificato da noi ed in noi come deve essere glorificato da ogni creatura, secondo i Suoi disegni eterni nel creare tutto l’universo. Amen.

Il vero amore

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

In una frase profetica, il grande filosofo, oratore romano, Cicerone dichiarò “due cose rivelano l’amante: che fa del bene all’amato e che sopporta la sofferenza di croce, e quest’ultima cosa è il segno più grande dell’amore”.

Similmente san Pietro Crisologo, Vescovo e Dottore della Chiesa, dice che l’Amore di Dio per l’uomo non sarebbe stato soddisfatto se non avesse sofferto fino alla morte per lui. Riteneva che fosse troppo poco se non avesse mostrato il Suo amore verso di noi tramite la sofferenza, e san Gregorio Nazianzieno scrive: in nessun altro modo l’amore di Dio per noi poteva essere dichiarato.

Seguendo san Bernardo, san Bonaventura asserisce, nel suo trattato “la vita mistica”, le parole seguenti: “Nella passione e nel rosso della Passione si rivela l’ardore della Carità grandissima ed impareggiabile – e continua – come rosa chiusa dal notturno gelo, quando il Sole Levante la riscalda, si apre tutta e dai petali aperti mostra, nella sua porpora, un ardore giocondo, così il delizioso Fiore del Cielo, l’ottimo Gesù, che nelle lunghe età da dopo il Peccato di Adamo era chiuso dal freddo notturno, e non somministrava ancora pienezza di grazia ai peccatori finalmente, avvicinandosi la pienezza dei tempi, acceso dai raggi dall’Amore ardententissimo, si aprì tutto in ogni parte del Suo Corpo e la Fiamma della Rosa d’Amore rifulse nel rosso vivo del Sangue”.

Quando Nostro Signore Gesù Cristo + il cui Nome sia sempre Benedetto, ci chiede oggi di amarLo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente, ci chiede di amarLo fino alla sofferenza, il segno più grande dell’amore. Di tenere i Suoi comandamenti fino al punto che ci fa soffrire lottando contro la nostra natura caduta, nei nostri desideri bassi e meschini, la nostra riluttanza di fare grandi sforzi compiendo i doveri nel nostro stato di vita, anche quando sembrano insopportabili, facendo quel lavoro che è, nelle parole di santa Teresina ispirate dalla Sacra Scrittura, fra tutti il più penoso e che consiste in quello che si intraprende sopra se stessi per arrivare a vincersi, e infine, accettando ed offrendo a Dio, per l’intercessione della Madonna, senza lamentarsi, tutti gli sconforti, tutti i dolori e tutte le sofferenze che Dio, nei Suoi disegni e nel Suo amore insondabili per noi, si degna di mandarci per Amore di Lui, per glorificare il Suo Santo Nome e per la nostra eterna beatitudine. Amen.

+ In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen
Sia lodato Gesù Cristo.

Fede come luce e conoscenza

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

La Colletta di questa santa Messa parla del Lume di Verità e ci dà l’occasione
per meditare sulla Fede come Luce, come conoscenza, in questo ciclo di
prediche sulla Fede.

Il fine ultimo dell’uomo è di unirsi con Dio nel Cielo, nella visione beatifica per
la gloria di Dio e la beatitudine eterna dell’uomo. Sappiate però che l’uomo è
un essere naturale appartenendo alla natura, alla creazione, mentre Dio è
soprannaturale, nel senso di essere al di sopra della natura e di tutta la
creazione; soprannaturale è assolutamente trascendentale.

L’uomo è naturale, Dio è soprannaturale, senza un aiuto speciale di Dio,
dunque, l’uomo non potrebbe mai unirsi con Lui, tentare di unirsi con Dio con
le proprie forze puramente naturali, sarebbe come tentare di costruire una
torre di Babele con l’idea di salire su di essa per incontrarLo al di là delle
nuvole. Comunque, se le nostre forze naturali non possono condurci al nostro
fine ultimo possono già prepararci, perchè per mezzo delle forze naturali
dell’uomo, più precisamente della sua intelligenza, e della sua volontà, le due
facoltà principali dell’anima, l’uomo può in maniera naturale conoscere ed
amare Dio.

Per mezzo della sua intelligenza, cioè tramite la luce della ragione, può
conoscere Dio, può dimostrare di fatti, secondo la parola di san Pio X nel
Giuramento Antimodernista, con certezza che Dio esiste, che Dio è l’inizio e il
fine di tutte le cose, l’inizio nel senso che è il Creatore, il fine nel senso che è il
Giudice e il fine ultimo dell’uomo, l’inizio e il fine, Alfa ed Omega, è poichè
l’uomo può conoscere Dio come tale, può anche amarLo come tale, cioè come
Creatore e fine ultimo e come Colui in cui esiste tutto ciò che è di vero, di
buono e di bello.

Ma per conoscere Dio come E’ di per se stesso, per amare Dio come E’ di per
se stesso nella Sua intima natura, per elevare l’intelligenza umana e la volontà
umana ad un livello soprannaturale bisogna avere un aiuto speciale di Dio, cioè
la Grazia.
La Grazia è soprannaturale, è al di sopra della natura, un dono gratuito di Dio
dato nei Sacramenti, principalmente nel Battesimo, restituito nella
Confessione, aumentato negli altri Sacramenti come la Santa Comunione. E’
una qualità dell’anima che permette all’intelligenza di conoscere Dio in modo
soprannaturale, cioè alla luce della fede e permette alla volontà di amare Dio, il
prossimo in Dio in modo soprannaturale, cioè con la Carità.

Vediamo che ci sono due ordini di conoscenza, due luci: la luce della ragione e
la luce della fede; la luce della ragione che è una luce naturale e la luce della
fede che è una luce sovrannaturale.

Vediamo anche che ci sono due oggetti di conoscenza: l’oggetto della ragione
che consiste nelle conclusioni a cui ci può condurre il ragionamento, e l’oggetto
della fede che consiste dei misteri in Dio nascosti, nelle parole del Concilio
Vaticano Primo “che non possono essere noti se non divinamente rivelati”.
La ragione e la fede sono compatibili, il Vaticano Primo, nella Costituizione Dei
Filius dice: “benchè la fede sia sopra la ragione, non è in nessun senso
contrario ad essa, e non può darsi mai qualsiasi reale disaccordo tra la fede e
la ragione, poiché il Dio che rivela i misteri della fede e la infonde in noi è lo
stesso che ha infuso il lume della ragione nell’animo umano; Dio non può
quindi negare se stesso, né la verità contraddire la verità”.

Dunque, la ragione e la fede sono due tipi di luce, il primo naturale, il secondo
sovrannaturale, esse ci prestano aiuto per attraversare, per così dire, la notte
scura di questo mondo, non sono incompatibili, sono solo diverse, e i loro
oggetti sono anche diversi sono due tipi di verità: il primo naturale, il secondo
sovrannaturale, anche loro non sono incompatibili, ma sono diverse, perchè
questi due tipi di verità appartengono alla stessa realtà, all’una, unica realtà
costituendone due dimensioni diverse.

Diamo l’esempio di un cammino attraverso un bosco durante la notte:
la luna ci mostra il bosco e la torcia ci mostra il cammino dentro al bosco, due
luci compatibili ma diverse che ci mostrano entrambe una unica realtà.

La fede non è un insieme di credenze come nelle altre religioni, non è
un’esperienza o sentimento che viene da dentro dell’uomo, come pretendono i
modernisti, ma è una Luce, una conoscenza data da Dio.
L’Oggetto della fede non è una fabbricazione dell’uomo o del Demonio, come
nell’Induismo per esempio; non è una fabbricazione mescolata con la Verità,
come l’Islam per esempio; non è una verità parziale come il giudaismo o il
protestantesimo, ma è la Verità tutta intera che, nell’analisi finale, è Dio
stesso.

La luce della fede ci rivela il suo Oggetto in modo oscuro in questo mondo, ma
nell’altro mondo questa luce di fede si trasformerà nella luce della gloria che ci
rivelerà il suo Oggetto chiaramente, dentro dei limiti del Soggetto finito che
siamo: “adesso vediamo come nello specchio e ora faccia a faccia” (1Cor.
13,12), “Dio come è” sicut est, la visione per la quale siamo stati creati, per la
quale siamo stati elargiti dell’anima della conoscenza e della fede.

Proviamo a santificarci, dunque, in questa notte scura della vita terrena, per
l’intercessione della Santissima Vergine Maria, Sede Sapientiae, Mater Boni
Consilii, per godere pienamente e perfettamente della luce Divina in cielo, alla
Gloria del Santissimo Nome di Dio.
Amen.
In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

UNICITÀ DELLA FEDE

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Il Santo Padre ha dichiarato l’anno cominciato giovedì scorso “Anno della Fede”. In vista dell’ignoranza e confusione quasi generali in materia di fede bisogna ammettere che questa è un’iniziativa ben lodevole.

Tornando al brano di San Paolo agli Efesini (5, 15-21) “ un solo Signore, una sola fede…” vogliono meditare brevemente sull’unicità della Fede. C’è una tendenza oggi di mettere la Fede cattolica sullo stesso livello delle altre “fedi” o “religioni”. Dietro a questa tendenza si può nascondere l’idea che tutte le fedi o religioni siano vere in un modo o in un altro.

Bisogna rispondere che c’è un’unica realtà e che ogni fede o religione ne presenta una visione diversa ed esclusiva. Così che l’aderente convinto di qualsiasi fede o religione pretende che la sua visione sia giusta e le visioni degli aderenti delle altre sia
falsa: pretende, in una parola, che la sua fede o religione sia l’unica fede o religione.

La Santa Chiesa Romana Cattolica può andare ancora più lontano e dire non solo che la sua è la vera fede e religione, bensì l’unica fede e religione in assoluto. Perché la Chiesa insegna infallibilmente che la Fede è un tipo di conoscenza, ossia conoscenza della realtà, cioè di Dio; e come c’è solo una realtà e un solo Dio, non ci può essere più di una conoscenza di questa unica realtà, cioè di questo unico Dio. La Chiesa ci insegna inoltre che solo la Fede cattolica (insieme al battesimo) ci unisce a questo Dio, e che dunque la Fede cattolica è anche l’unica religione, poiché “religione” non significa altro che il sistema spirituale che lega l’uomo a Dio.

A questo punto qualcuno potrebbe dire che non sappiamo se la nostra fede sia vera, e dunque non siamo giustificati a imporla agli altri. Come sappiamo che la nostra religione è vero? Non possiamo dimostrarla. Ma questo non è un difetto della nostra religione, ma piuttosto conseguenza del fatto che consiste di verità sovrannaturali e di misteri che trascendono la ragione. La crediamo non perché la possiamo dimostrare, ma piuttosto sulla base della sua credibilità che è l’autorità di Dio stesso, e non c’è autorità più grande, né fondamento del credere più solido o più sicuro. In altre parole facciamo un atto di fiducia in Dio per credere: ciò che si chiama il “salto della fede”.

Ciò che ci aiuta in questo “salto della fede” e tutto ciò che sappiamo della rivelazione cristiana: le profezie, la vita e la morte di Nostro Signore Gesù Cristo +, e i miracoli che ha operato, assieme alla propagazione miracolosa della Chiesa. Un esempio di
questo salto della fede lo abbiamo visto nel Vangelo di oggi quando, tutti gli abitanti della casa, hanno creduto a Nostro Signore Gesù Cristo + alla vista del miracolo di guarigione operata da Lui.

C’è un altra ragione per cui sappiamo che la nostra religione è vera e questo è che, come abbiamo già detto, è un tipo di conoscenza. Se i rappresentanti di altre religioni fossero presenti oggi e un ebreo dicesse: questa è una sinagoga – un musulmano
dicesse: – questa è una moschea – un buddista dicesse: – questo è un tempio – e finalmente uno di noi dicesse: – questa è una chiesa – e poi un critico ci chiedesse: – come sapete questo? – noi risponderemmo che “è così!”, “è evidente!”.

Così è anche nel caso della nostra fede: le verità della nostra fede sono evidenti, appunto, perché la fede è conoscenza. Anzi la Chiesa insegna che il tipo di conoscenza che è la fede è molto più sicuro e certo della evidenza dei sensi stessi. La ragione ne è che Dio stesso è l’oggetto della fede, così che chi crede viene in contatto con la Verità Stessa e dunque non ne può dubitare.

Forse il nostro critico farà un altra obiezione dicendo: “anche se la fede cattolica è vera, non la si deve imporre agli altri: si deve rispettare la libertà dell’altro che deve scegliere la religione che gli sembra giusta”. Rispondiamo che la libertà non è affatto un bene assoluto, piuttosto è un bene in quanto ci permette di scegliere il Vero e il Bene. Noi che siamo in possesso del Vero e del Bene dobbiamo renderli accessibili agli altri ed aiutarli ad accettarli. Questa è l’autentica base dell’evangelizzazione e di tutta l’attività missionaria della santa Madre Chiesa.

Dunque, se qualcuno di noi viene tentato di pensare che tutte le religioni possono essere vere in un senso o in un altro, o di esitare sulla verità della nostra fede, o sull’evangelizzazione, l’ora è suonata e il dubbioso è chiamato a rinforzare la sua fede vivendola in modo più coerente, partecipando alla Santa Messa con più fervore, e pregando con maggior assiduità: Perché la fede è davvero un estimabile tesoro che bisogna condividere con tutti: ci da la conoscenza di Dio stesso; ci unisce a Lui già in questa vita; ci conduce al Cielo dove possiamo poi adorare per sempre Lui per cui siamo stati creati: la Verità assoluta e la somma di ogni perfezione.

 

Fede e credibilità

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Carissimi fedeli, oggi continuo il ciclo di Prediche sulla Fede, interrotta dalle feste
recenti.

Questa settimana abbiamo celebrato la Festa di san Pietro e di san Paolo; in questa
Festa viene raccontata la “Confessione” di san Pietro al Signore: “Tu sei il Cristo + il
Figlio del Dio vivente”, a cui il Signore rispose: “Beato te, Simone, figlio di Giona,
perchè ne la carne ne il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli”.
Queste parole, ora, ci danno l’occasione per esaminare i motivi della fede, ossia, la sua
credibilità.

Cominciamo con la definizione del Primo Concilio Vaticano: “La fede è una virtù
sovrannaturale, per mezzo della quale, tramite l’ispirazione e l’aiuto della grazia di
Dio, crediamo che ciò che Dio ci ha rivelato è vero, non perchè nella luce della ragione
percepiamo la sua Verità intrinseca ma per l’autorità del Dio rivelante, che non può
ingannare, nè essere ingannato”.

Vediamo qui che il fondamento della fede non è la ragione ma l’Autorità di Dio, in
questo ci distinguiamo dai così detti “razionalisti”, che pretendono che la sola ragione
sia affidabile, che la sola ragione sia la facoltà per raggiungere la Verità assoluta, che
non ci sia un’altra specie di evidenza, che non ci sia una Luce superiore, e che non ci
sia altra Verità superiore a quella che raggiunga la ragione; mentre noi professiamo
che c’è un’altra specie di evidenza, cioè l’Autorità di Dio, che c’è una Luce superiore,
cioè la Luce della Fede, e che c’è una Verità superiore, cioè la Verità della Fede.

Come danno i razionalisti una tale importanza alla ragione? forse perchè ritengono che
la ragione ci possa dare una certezza assoluta delle cose e vogliono avere una certezza
di questo grado su la Verità assoluta, ma quando riflettiamo un attimo, vediamo che la
ragione purtroppo non può darci la certezza assoluta di molte cose, non sappiamo con
certezza assoluta quasi nulla nella nostra vita, non sappiamo con certezza assoluta che
i nostri genitori siano davvero i nostri genitori, che i nostri amici non siano in verità i
nostri nemici, se la ragione non può darci la certezza assoluta di tante cose nella
nostra vita, come dovrebbe darci una tale conoscenza della Verità assoluta?

Possiamo concludere che la ragione non è un fondamento molto sicuro quando si tratta
della Verità assoluta, abbiamo bisogno di un’altra forma di certezza che i razionalisti
non apprezzano, forse perchè non è scientifica neppure intrinseca alla mente come la
certezza della ragione.

Questa è la certezza della credibilità, la specie di certezza normale nella nostra vita,
una certezza che si basa sulla parola di un altro, sull’autorità di un altro, la certezza,
per esempio, che i nostri genitori sono davvero i nostri genitori, e che i nostri amici
sono i nostri amici, la Fede è un esempio di questa specie di certezza, la certezza di
credibilità e si basa sulla Parola di un Altro, sull’Autorità di un Altro che, in questo
caso, è nessun’altro che Dio stesso, e non c’è un’autorità più grande, nè un
fondamento del credere più solido, ne più sicuro.

Qualcuno potrebbe obiettare, chiedendo: come sappiamo che il contenuto della Fede
provenga davvero da Dio e che la Bibbia e l’insegnamento della Chiesa non siano
soltanto delle fabbricazioni dell’uomo? l’evidenza sta nei miracoli e profezie e la
Chiesa stessa.

Nostro Signore Gesù Cristo + confermava le Sue parole con segni e miracoli e i Suoi
Santi hanno fatto lo stesso, la conversione di quasi tutto quanto il mondo dal
paganesimo a Cristo e la santificazione di tante anime, malgrado la natura caduta,
malgrado tutte le persecuzioni e gli ostacoli, e per mezzo di Predicatori umili e
semplici è un miracolo che attesta la Verità di questa predicazione, come anche la
propagazione della Chiesa, la sua santità, la sua inesauribile fecondità per ogni bene, la
sua unità e stabilità, invincibili.

Si può aggiungere che l’altra evidenza della Verità della nostra fede sta nella sua
profondità, la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, predica “Dio Amore” che si da
fino alla morte di Croce per noi, la Chiesa Cattolica ci da la spiegazione più profonda
della vita umana e di ciò che c’è di più profondo in essa, cioè, la sofferenza e l’amore.
Nessun altra cosiddetta “fede” o religione è paragonabile con il Cattolicesimo in questi
riguardi, e nessun altra proclama nessuna verità che non sia già contenuta nel
Cattolicesimo.
Possiamo dunque concludere che la Fede è una forma di certezza, la certezza della
credibilità ed in questo senso è inoltre ragionevole, anche se non dipende dalla sola
ragione, ma proprio per questo motivo la Fede esige l’umiltà, il sacrificio, il sacrificio
del desiderio di conoscere tutto con le proprie forze, con la certezza scientifica ed
intrinseca della ragione, come i razionalisti.

Siamo dunque umili e accettiamo la Fede e tutto ciò che contiene, come siamo anche
“obbligati” perchè, come dice il Signore: “beati quelli che pur non avendo visto
crederanno”.

In nomime Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo +

Fede e volontà

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Il Concilio Ecumenico Vaticano Primo dichiara, dogmaticamente, che la Fede è
una virtù sovrannaturale per mezzo della quale, con l’aiuto e sotto l’ispirazione
della Divina Grazia, crediamo essere veri i Misteri rivelati da Dio. Questo non
per la intrinseca verità delle cose intelligibili alla luce naturale della ragione, ma
per l’autorità del Dio rivelante che non può né ingannarSi né ingannare.

Vediamo che il fondamento dell’atto della Fede non è né ragionamento, né
l’evidenza della verità che ci induca a credere, bensì la volontà.
San Tommaso D’Aquino descrive l’atto di Fede come un atto dell’intelletto che
consente alla Verità Divina tramite un ordine della volontà mossa da Dio,
mediante la Grazia, dove la volontà possiede la principalità e l’intelletto
aderisce alla verità perchè lo vuole “quia vult”.

La Fede anche se non è conseguenza di ragionamenti, non è per questo
irrazionale né un annullamento della ragione, bensì, ragionevole e san Paolo la
chiama “un ossequio ragionevole”. Si crede sull’autorità di Dio stesso,
sull’evidenza dei miracoli, e dell’espansione e della santità della Chiesa, e della
vita, la dottrina, e l’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo +, per questo è
ragionevole.

La Fede libera, si può accettare o no. Se qualcuno vuole fare la volontà di Dio,
lui conoscerà la dottrina, dice il Signore, e Ludolfo il Certosino commenta: ” O
discorso pieno di consolazione! Venite dunque, ignoranti che non conoscete la
dottrina, per illuminarvi, Dio non chiede che una cosa la semplice disposizione
del cuore, se qualcuno volesse, conoscerà. Non dite “non so dove è la verità,
ed ignoro ciò che Dio chiede di me”, volete e basta! Volete, e conoscerete!”
basta dunque volere, basta volere per avere la Fede, basta volere anche per
divenire Santi.

E dove voglio mettere la mia fiducia se non in Dio? Se non nella Verità assoluta
da Dio rivelata?

Occorre però l’umiltà e l’ubbidienza, l’ubbidienza della Fede di cui parla San
Paolo e per questo i superbi e i disubbidienti non accetteranno la Fede, i farisei,
nel Vangelo di oggi, riconoscono che Nostro Signore Gesù Cristo + è verace, e
lo dicono, ma non lo accettano, vedono i Suoi miracoli, ma non credono, e gli
agnostici, gli atei, gli eretici che sanno ciò che è la Fede, e non sono
semplicemente ignoranti, confusi, e non la accettano, mancano le virtù
dell’umiltà e dell’ubbidienza, e come dice il Signore preferiscono le tenebre alla
luce, perché le loro opere sono cattive.

Ma la Fede non è solo una possibilità per tutti, bensì, anche un dovere;
un dovere per ogni uomo, perché Dio vuole che ogni uomo sia salvato e venga
alla conoscenza della verità, che è la Fede, così che chi non crede fallisce nel
suo dovere, anzi, come dice il Signore: chi non crederà sarà condannato, e in
un altro luogo: se non credete che Io Sono, morirete nel vostro peccato.
Sant’Agostino commenta: cosa bisogna credere? Bisogna credere che Gesù è
“quia ego Sum”, bisogna credere che Egli è Colui stesso che ha detto a Mosè:
“Ego Sum, Qui Sum”, bisogna confessare la Sua Divinità.

L’Atto di Fede è libero, dunque, e deve essere libero perché Dio vuole l’amore e
solo un atto libero può essere amore, difatti l’atto di Fede è proprio l’inizio
dell’amore verso Dio che illuminerà la Fede, illuminerà la mente con la verità
divina che ci permetterà, poi, di amare Dio pienamente e in tutte le cose.
L’Atto di Fede è un atto di amore, anzi un atto di sacrificio, un sacrificio di ciò
che è la facoltà, la più alta, la più nobile dell’uomo, cioè, l’intelligenza, è un
sacrificio dell’intelligenza a ciò che è ancora più alto e più nobile di essa, cioè la
Verità assoluta e definitiva che è Dio stesso.

Questo sacrificio conduce ad un secondo sacrificio, ossia della volontà al Bene
assoluto, definitivo che è Dio.

Così la Fede conduce alla Carità che è un sacrificio di tutto ciò che non è Dio,
per santificare l’uomo e per trasformarlo in Dio. Questo sacrificio
dell’intelligenza e della volontà non danneggiano l’anima, però, come il
sacrificio che fa colui che rifiuta la Fede, che piega l’anima su se stessa e la
degrada nel fine di compiere quell’atto che è il più misero di tutti gli atti che è
l’adorazione di se stesso, bensì il sacrificio che è l’atto di Fede porta l’anima
alla sua somma e nobilissima elevazione; la ragione e la volontà divengono
illuminate, la mente e il corpo intero divengono luce, con la luce che ci mostra
la strada verso il Cielo, per adorare lassù quella Verità e quella Bontà che è Dio
stesso, quella Luce che è la fonte e il Padre di tutte le luci per immergersi in
Lui, e contemplare per sempre poi gli splendori infiniti della Sua gloria.
Amen.

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo +

Fede come verità

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Carissimi fedeli, continuando questo ciclo di prediche sulla Fede, vogliamo oggi
considerare l’oggetto della Fede: l’oggetto della Fede è la Verità sovrannaturale
conosciuta mediante la grazia.

Cosa significa “Verità” in questa frase?
Nei termini più generali la verità è la corrispondenza tra una idea e una cosa,
in altre parole tra una idea e la realtà. La Verità che è l’oggetto della fede è la
realtà fin quanto è conoscibile, un esempio di questo tipo di verità è la frase:
“io cerco la verità”, qua la verità significa la realtà delle cose fin quanto è
conoscibile.

L’oggetto della fede è la Verità fin quanto è conoscibile, la realtà fin quanto è
conoscibile.
La Chiesa insegna che questa Verità, questa realtà, è nient’altro che Dio stesso
che è la Verità, la realtà e l’Essere nel senso supremo e assoluto del termine.
Dire che Dio è la Verità, o la realtà fin quanto è conoscibile, significa che la
conoscenza di Dio dipende dal Soggetto che lo conosce; l’uomo essendo finito
può conoscere Dio solo in modo finito, ossia con la fede, mentre Dio può
conoscere se stesso in modo infinito e perfetto, perchè in Dio c’è una
corrispondenza e unità perfetta tra Soggetto che conosce e Oggetto che è
conosciuto.

Abbiamo detto che l’Oggetto della fede viene conosciuto mediante la grazia,
nella predica scorsa abbiamo visto che la grazia è una luce sovrannaturale che
ci fa conoscere Dio come è di per Se stesso, la Chiesa distingue tra la fede che
è una luce sovrannaturale (e fa conoscere Dio come è di per Se stesso), e la
ragione che è una luce naturale che ci fa conoscere Dio come la causa e la fine
della creazione.

Se noi chiediamo cosa dobbiamo credere per conoscere Dio come è di per Se
stesso, la Chiesa risponde con san Paolo che dobbiamo credere che Egli esiste
e che Egli ricompensa coloro che lo cercano, san Tommaso d’Aquino,
sant’Alfonso e altri teologi insieme alla prassi universale della Chiesa, ci
insegna che bisogna inoltre credere nel Mistero della Santissima Trinità + e in
Cristo Redentore, come accenna Giovanni nel suo Vangelo: “Questa è la vita
eterna, che conoscano Te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù
Cristo +”.
Per conoscere Dio come è di per Se stesso, per avere la fede, dobbiamo
credere queste dottrine, dunque, più in dettaglio, dobbiamo credere queste
dottrine esplicitamente e tutti gli altri dogmi della fede, implicitamente, o
nell’ultima analisi dobbiamo credere in Gesù Cristo + perchè se crediamo in
Gesù Cristo + crediamo tutti i dogmi della fede, crediamo nel Dio-Uomo, la
Seconda Persona della Santissima Trinità, fatta Carne per redimerci e
giudicarci, e per rimunerarci nella prossima vita.

Se crediamo in Gesù Cristo + crediamo la Verità che è Dio fin quanto è conoscibile, come san Giovanni scrive nel Prologo del suo Vangelo: “Dio nessuno lo ha mai visto, proprio il Figlio
Unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato”.

In sintesi, Nostro Signore Gesù Cristo + è l’Oggetto della nostra fede, Lui che
ha detto: “Io sono la Verità”, è la Verità che è l’Oggetto della nostra fede.

Le sedicenti “altre” fedi, o religioni, presentano altre visioni della realtà
incompatibili con questa nostra visione, questa visione è vera, dunque, le altre
sono false!
Se sono false, che lo sono, non sono da Dio ma dall’uomo e, o, dal demonio:
“omnes dii gentium Demonia” ” tutti gli dei delle genti sono Demoni” Salmo
95,5, san Paolo dice nella seconda epistola ai Corinzi: quale unione tra la luce e
le tenebre, quale intesa tra Cristo e Baal, o quale collaborazione tra un fedele
ed un infedele, quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli?

Le altre religioni sono da rigettare mentre i loro aderenti sono da convertire, da
istruire, affinchè possano assumere il dolce giogo di Cristo: Lui è solo da
accogliere, solo da abbracciare, solo da servire, da seguire, da adorare da
testimoniare fino alla morte, perchè Lui è l’unica manifestazione della Verità
suprema ed assoluta di tutte le cose, fin quanto è conoscibile all’uomo, perchè
Lui è la Verità e non solo la verità ma anche la Via e la Vita e chi conosce Lui
conosce la Via e avrà la Vita, la vita di grazia in questo mondo, e la vita di
gloria nel Cielo.
Amen.
In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

L’immutabilità della Fede

Talvolta, carissimi amici, qualcuno dirà: “Comunque la Chiesa è molto cambiata” e pensiamo subito al suo insegnamento, o alla sua liturgia.
Oggi voglio parlarvi dell’insegnamento, nel testo del ciclo di prediche che sto facendo sulla Fede.

In quale senso, dunque, è cambiato l’insegnamento?

Fino, forse, a cinquant’anni fa, gli uomini della Chiesa presentavano una visione della realtà, a cui ho accennato domenica scorsa (leggasi la predica del 15.5.2011), di Dio Uno e Trino, assolutamente trascendente e soprannaturale,nel senso che è al di sopra di tutto il Creato, che elargisce sugli uomini la grazia soprannaturale, così creando l’ordine sovrannaturale illuminando la loro conoscenza con la fede e accendendo la loro volontà con la carità, affinchè l’uomo si possa elevare ed unire a Lui quaggiù e nel Cielo, per questo scopo crea la Chiesa a cui affida la grazia dei Sacramenti e tutte le verità soprannaturali sulla fede e la morale, soprattutto i Dieci Comandamenti di cui l’uomo avrà bisogno per attraversare questo mondo. Coloro che seguono questa strada, apparecchiata per loro da Dio, raggiungeranno il Cielo, coloro che non la seguiranno finiranno nell’Inferno; la strada che conduce al Cielo è stretta e richiede ascesi e mortificazione, anche se porta con se la pace e la più profonda felicità possibile in questo mondo; la strada che conduce all’Inferno è larga invece, non richiede sforzi e porta con se piaceri, ma piaceri passeggeri che cedono poi alla tristezza e spesso alla disperazione.

Da circa cinquant’anni, dunque, molti uomini nella Chiesa presentano un’altra visione della realtà, la grazia e l’ordine soprannaturale non sono più menzionati, la fede cattolica sarebbe secondo loro un sistema di credenze sullo stesso livello di quello dei protestanti, o di qualsiasi altra confessione cristiana o di quelle di tutte le altre religioni; il “Credo” non sarebbe più necessario, per raggiungere il Cielo.

La fede come vediamo, per esempio, nella trascuratezza della dottrina del Limbo, non sarebbe più necessario a questo fine neanche il Battesimo, né l’appartenenza alla Chiesa Cattolica, il Battesimo diverrebbe così una convenzione e la Chiesa solo un raggruppamento di persone con le stesse credenze; non sarebbe necessaria neppure la Carità dell’amore soprannaturale, ma basterebbe l’amore in senso assai vago e indefinito, relativo solo alle necessità umane dell’uomo, quell’amore che secondo molti è l’essenza dell’Ecumenismo, mentre la prima finalità del Matrimonio (che è uno dei Sette Sacramenti) sarebbe la chiave della vita eterna.

Questo amore e la gioia a cui conduce, costituiscono un vangelo positivo opposto ad un Vangelo negativo che si occupa di mortificazione, di peccato e dell’Inferno. Questa visione rappresenta un allontanamento dall’oggettivo, dalla realtà, dalla verità oggettiva, l’ordine soprannaturale, l’autorità, le leggi, la giustizia verso il soggettivo, l’amore, la comunione e la vera gioia.
L’insegnamento è cambiato, dunque, la nostra domanda perciò è: “quale insegnamento è giusto, quello tradizionale o quello moderno? O forse l’insegnamento tradizionale era giusto, e allora adesso, l’insegnamento moderno è giusto?”

Diamo un esempio: la fede e la carità sono necessarie alla salvezza, o non lo sono? Oppure, erano necessarie nel passato, ed ora non lo sono più? Carissimi amici, la risposta è chiara come la luce: l’insegnamento tradizionale è giusto e quello moderno è falso!
La fede e la carità sono necessarie per la salvezza e lo saranno sempre!

Perchè è giusto l’insegnamento tradizionale?
Perchè l’insegnamento tradizionale è l’ insegnamento della verità oggettiva che la Chiesa ha ricevuto da Dio stesso, secondo le parole del Signore nel Vangelo di oggi: “quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera”, l’insegnamento tradizionale è insegnamento di verità oggettive, dunque, che come tali sono immutabili, immutabili come le verità della matematica: se due più due fanno quattro, oggi, lo faranno anche domani!
Questo insegnamento tradizionale della Chiesa, dunque, non è cambiato, non cambierà e non può cambiare, come la Chiesa stessa non è cambiata a questo riguardo e non cambierà, non può cambiare!

Come sappiamo che l’insegnamento tradizionale sulla necessità della fede e della carità e sulla salvezza, o sulla Santissima Trinità, sulle realtà della Beata Vergine Maria, sull’Incarnazione, sulla morte e risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo + è vero?
Perchè la Chiesa col sostegno dello Spirito di Verità, che è lo Spirito Santo, l’ha definito come tale, la Chiesa l’ha definito come dogma, come divinamente rivelato e da credere come tale per ogni membro della Chiesa Cattolica, così che, chi la nega, anche solo un solo articolo, sarà escluso dalla comunione della Chiesa.

Coloro che insegnano dottrine opposte non possono cambiare l’insegnamento Cattolico, dunque, non ne hanno il potere perchè quell’insegnamento è immutabile, non hanno l’autorità, la competenza, perchè hanno l’autorità e la competenza solo per insegnare il Depositum Fidei, i dogmi della fede, per insegnare i quali hanno ricevuto il “munus docendi” l’ufficio per insegnare, perciò non possono cambiare l’insegnamento.

Sono loro come i professori incaricati ad insegnare la matematica, i quali insegnano infatti, che due più due fa quattro e non che due più due fa tre, non possono cambiare la matematica perchè le sue verità sono immutabili e non hanno neanche l’autorità poichè hanno ricevuto solo l’autorità e la competenza di insegnare la matematica.
Ora, i così detti modernisti, pretendono che il fondamento teologico per il cambiamento dell’insegnamento risiede nel fatto che l’oggetto della fede è l’esperienza religiosa, il senso religioso, di cui l’espressione cambia e si sviluppa attraverso i tempi.

La Chiesa Cattolica, invece, ha condannato queste due dottrine.

Ha condannato la prima dottrina, che la fede si riduce all’esperienza religiosa, nel Decreto Lamentabili e Pascendi di san Pio X e ha condannato la seconda dottrina, che il dogma cambia e si sviluppa, nell’Enciclica Humani generis di Pio XII, la Chiesa insegna che il dogma secondo il suo contenuto è di origine veramente divina, che è l’espressione della verità oggettiva e che il suo contenuto è immutabile, non c’è dunque cambiamento ne sviluppo nel contenuto del dogma, l’unico tipo di sviluppo che attinge al dogma è lo sviluppo della sua espressione che nel corso dei secoli diviene più chiara e più profonda, come è nelle parole di san Vincenzo Lerino citate nella Costituzione Dei Filius del Concilio Vaticano Primo: “solo nello stesso dogma, nello stesso senso e nello stesso modo di intendere” – in eodem dogmate, eodem sensu, eademque sententia -.

In una parola, i dogmi della Chiesa, le sue verità oggettive, che ha ricevute da Dio stesso con l’incarico di insegnarle nel corso dei secoli, non cambiano e non possono cambiare, solo la loro espressione può cambiare ma divenendo più chiara, più profonda, come la luce del sole che cresce fin dall’aurora e a mezzogiorno rimane la stessa luce, nelle parole di san Vincenzo Lerino.

La ragione ultima, carissimi fedeli, per la quale l’oggetto della fede non può cambiare è che il suo Oggetto nell’ultima analisi è Dio stesso, Lui stesso è quel sole, quel sole increato che noi percepiamo nel corso del nostro passaggio attraverso il deserto di questo mondo, che percepiamo in modo debole come all’aurora, e in modo forte come a mezzogiorno, Lui stesso è quel sole che manda i suoi raggi, che emette la Sua luce e la Sua Verità per illuminare le nostre menti con la fede, così che possiamo dire col Salmista:”Nella Tua luce vedremo la luce”; Lui stesso è quel sole che in questo mondo non possiamo guardare direttamente con gli occhi a causa dell’eccesso della Sua Divina gloria, ma che vedremo nel prossimo mondo, quando la luce della grazia si trasformerà nella luce di gloria, quando Lo vedremo faccia a faccia e quando, nelle parole dell’Apocalisse: “non vi sarà più notte e non avremmo più bisogno
di luce di lampada perchè il Signore Dio ci illuminerà e regneremo con Lui nei secoli, dei secoli, amen”.

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo!

Fede e Sacra Scrittura

168

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Oggi, carissimi fedeli, è la Domenica in Albis, anche nominata la Festa della Divina Misericordia in cui si può guadagnare l’Indulgenza plenaria alle solite condizioni: la confessione oggi o durante la settimana scorsa, o questa settimana, la santa Comunione oggi solo, naturalmente, nello stato di grazia non essendo mancati alla santa Messa domenicale o alla santa purezza, per esempio, e anche la visita di una Chiesa con la recita del Credo e del Pater Noster e un secondo Pater Noster e una Ave Maria secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.

“Questi segni sono stati scritti perchè crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perchè credendo abbiate la vita nel Suo Nome”.
Così descrive san Giovanni evangelista nella lettura di oggi, lo scopo del suo Vangelo, ossia: che noi abbiamo la fede e la vita eterna. Similmente quando raccontò che il Sangue e l’acqua uscivano dal lato del Signore, aggiunse le parole: “chi ha visto ne da testimonianza e la sua testimonianza è vera, egli sa che dice il vero perchè anche voi crediate”. San Giovanni evangelista intende che noi abbiamo la fede, la fede che Gesù è il Cristo, cioè il Messia, il Salvatore ed il Figlio di Dio, cioè il Figlio Divino. E intende che noi abbiamo la vita eterna nel Suo Nome, cioè la Vita della grazia, la Vita sovrannaturale, questa Vita è nel Nome del Signore perchè proviene dal Battesimo nel Suo Nome e si mantiene dall’agire nel Suo Nome, dall’agire da buoni cattolici.
Questa Vita è la vita di buoni cattolici quaggiù, e la Vita dei Beati nel Paradiso.
La conoscenza della Sacra Scrittura e soprattutto dei Vangeli è dunque necessaria per la fede, la fede degli adulti, è necessaria per ottenere la fede, è necessaria per aumentarla, per purificarci dai dubbi come nel caso di sant’Agnese, e per approfondirla, ma nessuna conoscenza è più utile per approfondire la nostra fede e per avere la Vita di grazia, nella sua pienezza, che la conoscenza della Passione del nostro amatissimo Signore Gesù Cristo +, la conoscenza del costato trafitto da una lancia, del Sacro Cuore aperto dal peccato per abbracciare il peccatore, la conoscenza del Sangue e dell’acqua che significano la salvezza dell’uomo tramite il Sacrificio del Calvario e il Battesimo, nessuna conoscenza è più utile della conoscenza delle ferite nel costato, nelle mani e nei piedi del Signore.

“Conosci dunque la mia Passione, medita la mia Passione, vivi la mia Passione – dice il Signore – metti qua il tuo dito e guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel mio costato, tocca le mie ferite, avvicina la tua sofferenza e uniscila alla Mia sofferenza e sappi che Io ti ho amato con un Amore che non fu mai visto prima su questa terra e che non si vedrà mai più, un’Amore che ha inflitto la mia sacra umanità, quella più gloriosa più sublime creazione di Dio, con ferite che l’ha lacerata e l’ha fatta un’unica ferita, che l’ha inchiodata sull’albero della Croce e l’ha svuotata di tutto il suo Sangue. Sappi che questo mio Amore mi ha fatto morire e risorgere e portare queste ferite con il Suo pegno e la sua prova incontrovertibile per tutta l’eternità. Non siate più increduli, ma credenti, abbiate la fede, e vivete in questa fede amando Me e avrete la vita nella Sua pienezza quaggiù e in Cielo”.
Amen.

La natura della Fede

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto un Anno della Fede che comincerà ad
ottobre. Vogliamo guardare, allora, la natura della Fede cominciando con la
definizione di San Paolo nella sua epistola agli Ebrei XI,1 “La fede è sostanza
delle cose che si sperano e convinzione delle cose che non si vedono”.

Seguiamo l’interpretazione di San Tommaso d’Aquino.
Notiamo per primo che la fede si riferisce al futuro: alle “cose che si
sperano”, alle “cose che non si vedono”.Queste cose le possederemo nel
futuro, le vedremo nel futuro, cioè nel cielo. Queste cose sono le verità divine
ed eterne che non sono altro che Iddio stesso. In questo mondo quaggiù
abbiamo una conoscenza oscura di queste cose; nell’altro mondo ne avremo
una conoscenza chiara. Qui crediamo con la luce della fede; la vedremo con la
luce della gloria: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma
allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora
conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto”. (1Cor.13).

Il secondo elemento di questa definizione che vogliamo meditare è
l’espressione: “la fede è sostanza”. Questo significa che la fede ci da (già in
questo mondo) la comprensione dei suoi oggetti: cioè le verità divine ed eterne
che sono Dio. Così afferriamo quaggiù in modo iniziale e preparativo ciò che
possederemo in cielo in modo perfetto e definitivo.

Ebbene, in cosa consiste questa comprensione di Dio, questa conoscenza di
Dio? Evidentemente è una specie di unione con Dio, un unione che la Sacra
Scrittura paragona con il matrimonio: nel Libro di Osea (2,20) leggiamo: “Ti
fidanzerò con me nella fede”. Quando pensiamo in genere all’unione con Dio,
pensiamo forse all’unione con Dio nel cielo,o all’unione mistica con Dio su
questa terra, come quella di un santo rapito nell’amore dell’Onnipotente;
dimentichiamo che la fede in se stessa è già una unione con Dio.

Ma questa comprensione, questa conoscenza di Dio, non è soltanto una
unione con Dio, ma anche la vita eterna stessa, perché questa comprensione
amorevole di Dio sulla terra (che è la fede) è già l’inizio della visione beatifica
del cielo (che è la vita eterna). In questo riguardo ci dice il Signore: “Questa è
la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato,
Gesù Cristo” (Gv.17,3).

Il terzo elemento della definizione di San Paolo che vogliamo guardare adesso
è la parola “convinzione”. La fede coinvolge la convinzione, la certezza. Se ciò
non è la certezza della ragione, è la certezza la più grande che si possa
raggiungere qui sulla terra su Iddio e le cose di Dio. Per citare il sacro Concilio
di Trento: “il verbo – credere – significa il sicurissimo assenso, in virtù del quale
l’intelligenza aderisce con fermezza e tenacia a Dio che rivela i propri misteri.
Perciò chi crede (nel senso qui inteso) possiede indubbia e nettissima
convinzione di qualcosa”.

In questo senso, di fatti, si dice che la Fede è una luce più forte di quella della
ragione. Qualcuno potrebbe chiedere,però, a questo punto, perché si parla allo
stesso modo dell’oscurità della fede. La risposta è che la fede è chiara quanto
al modo, e oscura quanto all’oggetto, della sua conoscenza.

Il suo oggetto, come abbiamo già detto, è Iddio Stesso, che non può essere
compreso che imperfettamente e oscuramente dalla conoscenza finita, limitata,
dell’uomo; il modo di conoscere questo oggetto è invece una luce forte, una
certezza assoluta, perché unisce la mente direttamente e immediatamente con
Iddio, che è la Verità stessa.

Parliamo adesso sui benefici della Fede.
In questa piccola analisi della natura della fede abbiamo visto il suo beneficio
principale, cioè che ci dà la vita eterna (legata evidentemente ad una vita
buona, alle opere buone, alla Carità – nel senso dell’amore sovrannaturale -).
Il suo beneficio secondario è che ci insegna come arrivare a questa vita
eterna mediante i nostri atti o, in altre parole, come condurre una vita buona,
virtuosa. In breve: la Fede è la nostra guida. La Fede dà la buona direzione alla
nostra vita terrestre; ci insegna le grandi verità tra le quali si trovano, per
esempio, il fatto che ci sia una vita dopo questa vita terrena, e che Dio
ricompensa il bene punendo il male; la Fede ci dà i comandamenti, la
predicazione e l’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo.
Finalmente in questo modo la Fede ci dà i mezzi per superare le tentazioni.
Nella Lettera agli Efesini S. Paolo ci parla del combattimento spirituale,
scrivendo: “Tenete sempre in mano lo scudo della fede con il quale potrete
spegnere tutti i dardi infuocati del maligno” (6,16). San Pietro dice: ” il vostro
nemico, il diavolo, come un leone ruggente va in giro, cercando chi divorare.
Resistete saldi nella fede” (1Pt.5,8).

Tutto ciò che abbiamo meditato sulla Fede può essere espresso con
l’immagine della luce: La Fede è la luce nella quale vedo Iddio in questo
mondo; questa luce è la luce d’aurora che precede la luce del giorno nel quale
vedrò Iddio nel cielo; la Fede è la luce che mi condurrà attraverso la valle
oscura di questo mondo per unirmi a Lui in una unione perfetta e stabile, per
tutta l’eternità.
Sia lodato Gesù Cristo +
In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Sull’infallibiltà della Fede

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Continuando il nostro ciclo di prediche sulla Fede, vogliamo oggi rivolgere il
nostro sguardo sull’infallibilità della Chiesa.

Il Vangelo di san Matteo conclude con queste parole del Signore ai suoi
Apostoli: “Mi è stato dato ogni potere in cielo ed in terra, andate dunque, e
ammaestrate tutte le nazioni … insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi
ho comandato. Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”
(Mt.28,18-20).
Con queste parole il Signore elargisce sulla Chiesa, in forma degli Apostoli e
dei loro successori, il munus docendi, l’ufficio di insegnare, così istituendo la
Chiesa insegnante.

Qual è l’ambito di questo insegnamento? L’ambito di questo insegnamento
viene espresso con le parole “tutto ciò che vi ho comandato” ed è la
Rivelazione intera. La Rivelazione, o il Depositum Fidei, ha due fonti che sono
la Sacra Scrittura e la Tradizione orale, e consiste in ciò che si chiamano le
verità della religione, che si distinguono nelle verità della Fede in senso stretto,
e le verità della morale.

Le verità della Rivelazione, in quanto proposte dalla Chiesa da credere come
tali, sono i Dogmi. I Dogmi sono infallibili perché garantiti dal Signore stesso
con le parole: “io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”, e con le
parole durante l’Ultima Cena: “io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro
Consolatore perché rimanga sempre con voi, lo Spirito di verità” (Gv.14,16-
17).

I Dogmi sono infallibili nel senso definitivo perché sono un esercizio del
munus docendi che partecipa a quello del Signore che è la Verità stessa: il
Vero, il Veritiero Che non può essere ingannato, ne ingannare: qui nec falli, nec
fallere possit (Concilio Vaticano Primo).

Per riassumere, la Chiesa possiede il munus docendi e il munus docendi è il
mandato per insegnare le verità della Rivelazione. La Chiesa insegna queste
verità come Dogmi e questi dogmi sono infallibili. Dio stesso ha dato questo
mandato alla Chiesa e Dio stesso garantisce l’infallibilità dei Dogmi.

La Chiesa ha dunque il mandato di insegnare Dogmi infallibili o, in altre
parole, la Chiesa è infallibile quando insegna i Dogmi. Ma quando diciamo
questo, come intendiamo la parola “Chiesa”? La intendiamo in due sensi.
Il primo senso è quello dell’Episcopato intero, secondo la parola di san
Cipriano: la Chiesa è nei Vescovi. I Vescovi sono infallibili quando dichiarano un
Dogma sia in modo straordinario, sia in modo ordinario.
Lo dichiarano in modo straordinario in un Concilio generale ed ecumenico
(nel senso che tutti i Vescovi Cattolici del mondo vengono invitati e in numero
sufficiente assiste per poter rappresentare l’Episcopato intero). In un tale
Concilio il Papa presta ai Vescovi una partecipazione al suo proprio potere e
può confermare e promulgare le loro decisioni solo lui.

I Vescovi dichiarano un dogma in modo ordinario quando lo fanno nelle loro
Diocesi unanimemente tra di loro e con il Papa. Un esempio sono i Catechismi
diocesani (di una volta, bisogna precisare).

Un soggetto di infallibilità è dunque l’Episcopato intero; l’altro è il Papa. Il
Concilio Vaticano Primo proclama che: “il Papa è infallibile quando parla ex
cathedra, cioè quando definisce come Pastore e dottore di tutti i cristiani in
virtù della sua suprema ed apostolica autorità, che una dottrina della Fede o
della morale è da tenere dalla Chiesa Universale…”

Il Concilio Vaticano Primo definisce l’infallibilità del Papa come quella che il
Signore voleva elargire sulla Sua Chiesa. Questa infallibilità si evidenzia nelle
parole del Signore “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” e
viene presupposto dalla autorità suprema del Papa espressa nelle parole del
Signore “pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”.

Poiché un Concilio e un Papa sono infallibili solo quando proclamano dogmi,
possiamo concludere che il Concilio Vaticano II non era infallibile perché
mancava l’intenzione di proclamare Dogmi. C’erano constatazioni dogmatiche
dentro di esso, ma solo come reiterazione di dogmi già definiti
antecedentemente. Possiamo concludere altrettanto che poco di ciò che
insegna un Papa è infallibile e comunque ciò che insegna deve essere accolto
con atteggiamento pio e rispettoso.

Il contenuto della nostra Fede è la Verità, la Verità infallibile, ciò che nostro
Signore Gesù Cristo + e nostro dolce Redentore garantisce solennemente,
affinché tutti gli uomini, attraverso tutti i secoli, possano conoscere questa
Verità e conoscendola, avere la Vita Eterna, Amen.
Sia lodato Gesù Cristo +

L’unicità della Chiesa

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen

Nell’Epistola di San Paolo agli Efesini (1,4-6) egli li richiama all’unità tramite l’umiltà, la mitezza, la pazienza, e la Carità.

Occorre che siano uniti perché sono, con le parole di S. Paolo: “un solo corpo con un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio Padre di tutti che è al di sopra di tutti, per mezzo di tutti, ed in tutti noi.” Il fondamento della loro unità può essere sintetizzato come la Chiesa, nostro Signore Gesù Cristo, + e la Santissima Trinità.

La Chiesa unisce tutti i cristiani in quanto è un sol corpo e una sola anima di cui tutti i cristiani sono i membri. Il corpo è la parte fisica e visibile, come la gerarchia, e l’amministrazione dei Sacramenti; l’anima è la parte sovrannaturale ed invisibile che comprende la Fede, la Speranza, la Carità, le grazie, e la santità.

Nostro Signore Gesù Cristo + unisce tutti i Cristiani in quanto questo corpo è il Suo Corpo Mistico e l’anima di questo corpo, di questo Suo Corpo Mistico, è lo Spirito Santo.

Nostro Signore, e più generalmente la Santissima Trinità, ci unisce in quanto è l’oggetto della speranza e della fede; e in quanto il Battesimo ci incorpora in Lui, rendendoci figli del Padre, fratelli del Figlio, e templi dello Spirito Santo. San Paolo si riferisce al Padre quando parla di Dio come “al di sopra di tutti”; si riferisce al Figlio quando dice “per mezzo di tutti”, essendo il Figlio il mediatore; e parla dello Spirito Santo quando dice “in tutti noi”, essendo lo Spirito Santo l’anima della Chiesa.

Ma la Chiesa, nostro Signore Gesù Cristo + e la Santissima Trinità sono uno non solo perché uniscono i cristiani, ma anche perché sono unici. C’è una sola Chiesa e questa è la Chiesa Cattolica: c’è un solo Corpo Mistico di Cristo informato da una sola anima che è lo Spirito Santo. Ciò che si chiama la chiesa Ortodossa, la chiesa Protestante, la chiesa Anglicana, ecc… non sono vere “chiese” bensì comunità di persone che professano e praticano, fino a un certo grado maggiore o minore, la Fede Cattolica.

C’è un solo Battesimo e questo è il Battesimo Cattolico. Se il battesimo dei cristiani non-cattolici è valido – e non è il caso per tutte le confessioni cristiane– inserisce la persona nell’una Santa Chiesa Cattolica, più precisamente nella sua anima (la parte invisibile di questa). Qua rimane e qua si può salvare ma solo da cattolico, fin quando non nega la Fede Cattolica.

C’è una sola Fede e questa è la Fede Cattolica, essa e essa sola ci rivela la verità e la Verità intera; essa, ed essa sola è la strada che ci conduce al Paradiso.

C’è un solo Signore, e questo è nostro Signore Gesù Cristo + rivelato pienamente solo nell’una sola Chiesa Cattolica; e, come leggiamo negli Atti degli Apostoli: “in nessun altro c’è salvezza, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini, mediante il quale possiamo essere salvati ” (4,12).

E’ vero che coloro, che per nessuna colpa propria non conoscono il Signore, possono essere salvati, ma solo tramite un atto di fede e il Battesimo (o il desiderio per il Battesimo almeno implicito). Ciò a loro sarà concesso se conducono una buona vita, argomenta San Tommaso d’Aquino.

C’è un solo Dio e questo è la Santissima Trinità rivelato pienamente solo nell’una sola Chiesa Cattolica.

Oggigiorno c’è una tendenza di unire tutti coloro che credono in Dio, come i Cristiani, gli Ebrei e i Musulmani per esempio, non sulla base fornita da san Paolo, bensì sulla base del monoteismo, dicendo “hanno lo stesso Dio”, ma questo è vero solo sul livello filosofico, non sul livello teologico.

E’ vero sul livello filosofico perché con la sola ragione possiamo dimostrare che c’è un Dio. Ma non è vero che abbiamo “lo stesso Dio” sul livello teologico perché la Chiesa e la fede cattolica ci insegna infallibilmente che Dio è la Santissima Trinità, di cui la Seconda Persona è divenuta Uomo, e questo è negato dagli Ebrei, dai Musulmani, e da tutti gli altri monoteisti non cristiani. Ciò che ci interessa comunque non è la filosofia bensì la teologia, perché la teologia tratta della Fede, mediante cui Dio ci ha voluto manifestarsi come Egli È di per Se Stesso, e perché la  Fede ci è necessaria per raggiungere il Paradiso.

La Chiesa, nostro Signore Gesù Cristo + e la Santissima Trinità, uniscono tutti i fedeli in “Uno”. Per questo motivo bisogna cercare di essere uniti con i nostri fratelli cattolici come dice San Paolo: con umiltà, con mitezza, pazienza e amore, per mezzo del vincolo della pace.

La Chiesa, nostro Signore Gesù Cristo + e la Santissima Trinità sono anche “unici”. Per questo motivo bisogna, nelle parole del Catechismo di san Pio X, avere ‘un amore illimitato per la Chiesa’, come anche per nostro Signore e la Santissima Trinità, e ‘riputarci infinitamente grati, onorati e felici di appartenere ad Essa, e adoperarci alla gloria e all’ incremento di Lei con tutti quei mezzi che sono in nostro potere’. Amen.
+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

L’unicità della Fede

+In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Un sacerdote mio amico che celebra la Messa antica in Svizzera, mi ha raccontato che per un certo periodo, un pastore luterano anziano frequentava la sua chiesa. Un giorno chiese se potesse ricevere la santa Comunione: “i Padri domenicani me lo permettono”, disse. Il Sacerdote in questione invece rispose che se voleva ricevere la santa Comunione doveva essere cattolico e seguire un corso di catechismo. Il pastore era d’accordo e dopo un corso assai lungo, ricevette il Sacramento del Battesimo, della Cresima, della Confessione, poi alla fine quello della santa Eucaristia.

Non molto tempo dopo, ricevette dalle mani dello stesso Sacerdote anche il Sacramento dell’Estrema Unzione. Dopo di che, piangendo di gioia, morì santamente, perché era diventato membro della Chiesa Cattolica e che lo attendeva così il Paradiso.

Questa storia, che è un esempio del vero e sano ecumenismo, ci rammenta la frase del Salmo citato oggi due volte nella Santa Messa: “Laetatus sum in his, quae dicta sunt mihi: in domum Domini ibimus / Mi sono rallegrato quando mi dissero: andremo nella casa del Signore” (Sal.121,1 e 7). Oggigiorno, carissimi fedeli, alcuni cattolici e tra loro purtroppo anche alcuni membri della gerarchia, presi da un ecumenismo falso, pretendono che altre confessioni cristiane, o anche altre religioni non-cristiane, possono essere mezzi di salvezza. Questo però non è vero! Il Catechismo Maggiore di san Pio X ai numeri 224 e 225 dice:

224. Chi sono quelli che non appartengono alla comunione dei santi?
Non appartengono alla comunione dei santi nell’altra vita i dannati ed in questa coloro che si trovano fuori della vera Chiesa.

225. Chi sono quelli che si trovano fuori della vera Chiesa?
Si trovano fuori della vera Chiesa gli infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati. Nello stesso Catechismo Maggiore di San Pio X, riferendosi alla parola di San Paolo nell’epistola agli Efesini, leggiamo:

157. Non vi potrebbero essere più Chiese?
No, non vi possono essere più Chiese, perché siccome vi è un solo Dio, una sola Fede e un solo Battesimo, così non vi è, e non vi può essere che una sola vera Chiesa.

Oggi voglio tornare a questo tema, di cui ho parlato la settimana scorsa, per esporre un pò più a lungo la sua dottrina sull’unicità del Battesimo e della
Chiesa.

C’è un solo Battesimo e questo è il Battesimo Cattolico. Consiste nel versare l’acqua su una persona vivente dicendo allo stesso tempo la formula trinitaria: Ego te baptízo in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Questo gesto e queste parole hanno un effetto sovrannaturale e incorporano la persona nell’una Chiesa Cattolica, il Corpo mistico di Cristo, e le conferisce la virtù teologale della Fede.

Se il gesto manca, o mancano le parole, non avviene il Battesimo; è il caso di alcune confessioni cristiane non-cattoliche come gli Unitariani, per esempio, che non utilizzano la formula trinitaria (1).

Se invece il gesto e la formula corretti ci sono, il Battesimo avverrà e la persona sarà incorporata nell’unica Chiesa Cattolica, il Corpo mistico di Cristo, e riceverà la vera fede cattolica. Il Battesimo avverrà anche se la persona in questione è figlio di genitori non cattolici che credono che il loro figlio sia stato battezzato come protestante, anglicano, o ortodosso, per esempio, ed anche se la persona stessa dopo, lungo la sua vita, pensa di essere protestante anglicano, o ortodosso. In verità, però, sarà cattolico. Questa persona rimarrà cattolica fin quando non nega un articolo della Fede.

Per questo può anche essere salvato, non da protestante, anglicano, o ortodosso, però, ma da cattolico, perché, come si può dire: il Paradiso è Cattolico e tutti nel Paradiso sono cattolici. La situazione di questi cristiani, comunque, è anomala perché appartengono solo alla parte invisibile della Chiesa, alla sua Anima, e non alla sua parte visibile, il suo Corpo.

La loro situazione è anche pericolosa perché vivono in un ambiente ostile alla Chiesa Cattolica che può portarli facilmente alla negazione di un dogma o allo scisma, e perché, soprattutto nel caso dei Protestanti, sono, per così dire, cattolici “ignoranti” e “non praticanti”: ignoranti di grandi parti della Fede come per esempio dei dogmi mariani ed eucaristici, e, per di più, non essendo praticanti, non hanno accesso ai Sacramenti della Confessione, della Cresima, della Santa Eucaristia, del Sacerdozio, né dell’Estrema Unzione.

Per questo, carissimi fedeli, bisogna pregare per la loro conversione e fare il possibile per promuoverla, affinché un giorno possano dire con noi: Mi sono rallegrato quando mi dissero: andremo nella casa del Signore” (Sal.121,1 e 7): la Sua Casa che è la Chiesa Cattolica sulla terra, e la Chiesa Cattolica nel Cielo, alla gloria del Santissimo Nome di Dio.

+In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Nota
1) Ed anche per come si è espressa la Congregazione per la Dottrina della Fede con un Documento ufficiale del 1° marzo 2008, leggiamo: “Sono due le formule del battesimo molto in voga oggi in alcune comunità cristiane non cattoliche, dichiarate nulle nella presente risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede (CdF) ai dubbi proposti. Le presentiamo tradotte in italiano: “Io ti battezzo nel nome del Creatore, e del Redentore, e del Santificatore”; “Io ti battezzo nel nome del Creatore, e del Liberatore, e del Sostenitore”. Un fedele cattolico che tenta con dolo di amministrare il battesimo con una di queste formule invalide, commette un delitto canonico punibile con una giusta pena a norma del can. 1384 CIC. Infatti è gravemente illegittimo ed ingiusto ingannare sia il battezzando che la comunità al riguardo del Sacramento che è “ianua sacramentorum” (porta dei Sacramenti): can. 849 CIC; cfr 675, 2 CCEO

La Fede cattolica

In nomine Patris,et Filii,et Spiritus Sancti.

Come viene concepita la fede cattolica di solito? Come un sistema di varie credenze che hanno vari oggetti, opinioni di ordine naturale non verificabili o mutabili, opinioni che ci aiutano a comportarci nel modo giusto; come tale la fede resta sullo stesso piano di altre religioni.

L’uomo pretende di diritto di scegliere la religione che gli sembra giusta e rinucia ad imporre la
propria fede o religione sugli altri.Questa concezione, carissimi amici, difusa oggigiorno anche tra i cattolici, si oppone all’insegnamento costante di S.Madre Chiesa .

La Chiesa insegna che la fede è un insieme di dottrine unite al loro oggetto che è Dio, Dio come è di per se stesso. Queste dottrine non sono di ordine naturale, non verificabili o mutabili, bensì
costituiscono una conoscenza soprannaturale e certa. Perciò anche evidente, di verità
immutabili, non semplicemente ci aiutano a comportarci in modo giusto, piuttosto sono necessaire a questo fine e poi per raggiungere il Cielo, perciò occorre l’evangelizzazione per insegnare la fede e data l’occasione, il martirio per difenderla. Non è un cristiano colui che teme di dire la verità, dice S.Cipriano.

Per tutti questi motivi, la fede cattolica non può essere messa sullo stesso livello delle altre se-
dicenti religioni.

L’uomo non ha il diritto di scegliere la religione come si sente, ma quella che è vera. A questo fine deve adoperare la sua intelligenza e la sua volontà in modo adeguato e, così facendo, raggiungerà l’unica vera fede.

L’oggetto della Fede

L’oggetto della Fede è la Verità sovrannaturale conosciuta mediante la grazia.
Cosa significa “Verità” in questa frase?

Nei termini più generali la verità è la corrispondenza tra una idea e una cosa, in altre parole tra una idea e la realtà. La Verità che è l’oggetto della fede è la realtà fin quanto è conoscibile, un esempio di questo tipo di verità è la frase: “io cerco la verità”, qua la verità significa la realtà delle cose fin quanto è conoscibile.

L’oggetto della fede è la Verità fin quanto è conoscibile, la realtà fin quanto è conoscibile.

La Chiesa insegna che questa Verità, questa realtà, è nient’altro che Dio stesso che è la Verità, la realtà e l’Essere nel senso supremo e assoluto del termine. Dire che Dio è la Verità, o la realtà fin quanto è conoscibile, significa che la conoscenza di Dio dipende dal Soggetto che lo conosce; l’uomo essendo finito può conoscere Dio solo in modo finito, ossia con la fede, mentre Dio può conoscere se stesso in modo infinito e perfetto, perchè in Dio c’è una corrispondenza e unità perfetta tra Soggetto che conosce e Oggetto che è conosciuto.

Abbiamo detto che l’Oggetto della fede viene conosciuto mediante la grazia, nella predica scorsa abbiamo visto che la grazia è una luce sovrannaturale che ci fa conoscere Dio come è di per Se stesso, la Chiesa distingue tra la fede che è una luce sovrannaturale (e fa conoscere Dio come è di per Se stesso), e la ragione che è una luce naturale che ci fa conoscere Dio come la causa e la fine della creazione.

Se noi chiediamo cosa dobbiamo credere per conoscere Dio come è di per Se stesso, la Chiesa risponde con san Paolo che dobbiamo credere che Egli esiste e che Egli ricompensa coloro che lo cercano, san Tommaso d’Aquino, sant’Alfonso e altri teologi insieme alla prassi universale della Chiesa, ci insegna che bisogna inoltre credere nel Mistero della Santissima Trinità + e in Cristo Redentore, come accenna Giovanni nel suo Vangelo: “Questa è la vita eterna, che conoscano Te, unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo +”.

Per conoscere Dio come è di per Se stesso, per avere la fede, dobbiamo credere queste dottrine, dunque, più in dettaglio, dobbiamo credere queste dottrine esplicitamente e tutti gli altri dogmi della fede, implicitamente, o nell’ultima analisi dobbiamo credere in Gesù Cristo + perchè se crediamo in Gesù Cristo + crediamo tutti i dogmi della fede, crediamo nel Dio-Uomo, la Seconda Persona della Santissima Trinità, fatta Carne per redimerci e giudicarci, e per rimunerarci nella prossima vita. Se crediamo in Gesù Cristo + crediamo la Verità che è Dio fin quanto è conoscibile, come san Giovanni scrive nel Prologo del suo Vangelo: “Dio nessuno lo ha mai visto, proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato”.

In sintesi, Nostro Signore Gesù Cristo + è l’Oggetto della nostra fede, Lui che ha detto: “Io sono la Verità”, è la Verità che è l’Oggetto della nostra fede.

Le sedicenti “altre” fedi, o religioni, presentano altre visioni della realtà incompatibili con questa
nostra visione, questa visione è vera, dunque, le altre sono false!
Se sono false, che lo sono, non sono da Dio ma dall’uomo e, o, dal demonio: “omnes dii gentium Demonia” ” tutti gli dei delle genti sono Demoni” Salmo 95,5, san Paolo dice nella seconda epistola ai Corinzi: quale unione tra la luce e le tenebre, quale intesa tra Cristo e Baal, o quale collaborazione tra un fedele ed un infedele, quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli?

Le altre religioni sono da rigettare mentre i loro aderenti sono da convertire, da istruire, affinchè
possano assumere il dolce giogo di Cristo: Lui è solo da accogliere, solo da abbracciare, solo da servire, da seguire, da adorare da testimoniare fino alla morte, perchè Lui è l’unica manifestazione della Verità suprema ed assoluta di tutte le cose, fin quanto è conoscibile all’uomo, perchè Lui è la Verità e non solo la verità ma anche la Via e la Vita e chi conosce Lui conosce la Via e avrà la Vita, la vita di grazia in questo mondo, e la vita di gloria nel Cielo.

La luce della Fede

Il fine ultimo dell’uomo è di unirsi con Dio nel Cielo, nella visione beatifica per la
gloria di Dio e la beatitudine eterna dell’uomo. Sappiate però che l’uomo è un essere naturale
appartenendo alla natura, alla creazione, mentre Dio è soprannaturale, nel senso di essere al di sopra della natura e di tutta la creazione; soprannaturale è assolutamente trascendentale.L’uomo è naturale, Dio è soprannaturale, senza un aiuto speciale di Dio, dunque, l’uomo non potrebbe mai unirsi con Lui, tentare di unirsi con Dio con le proprie forze puramente naturali, sarebbe come tentare di costruire una torre di Babele con l’idea di salire su di essa per incontrarLo al di là delle nuvole.

Comunque, se le nostre forze naturali non possono condurci al nostro fine ultimo possono
già prepararci, perchè per mezzo delle forze naturali dell’uomo, più precisamente della sua
intelligenza, e della sua volontà, le due facoltà principali dell’anima, l’uomo può in maniera naturale conoscere ed amare Dio.

Per mezzo della sua intelligenza, cioè tramite la luce della ragione, può conoscere Dio, può
dimostrare di fatti, secondo la parola di san Pio X nel Giuramento Antimodernista, con certezza che Dio esiste, che Dio è l’inizio e il fine di tutte le cose, l’inizio nel senso che è il Creatore, il fine nel senso che è il Giudice e il fine ultimo dell’uomo, l’inizio e il fine, Alfa ed Omega, è poichè l’uomo può conoscere Dio come tale, può anche amarLo come tale, cioè come Creatore e fine ultimo e come Colui in cui esiste tutto ciò che è di vero, di buono e di bello.

Ma per conoscere Dio come E’ di per se stesso, per amare Dio come È di per se stesso nella Sua intima natura, per elevare l’intelligenza umana e la volontà umana ad un livello soprannaturale + bisogna avere un aiuto speciale di Dio, cioè la Grazia.

La Grazia è soprannaturale, è al di sopra della natura, un dono gratuito di Dio dato nei Sacramenti, principalmente nel Battesimo, restituito nella Confessione, aumentato negli altri Sacramenti come la Santa Comunione. È una qualità dell’anima che permette all’intelligenza di conoscere Dio in modo soprannaturale, cioè alla luce della fede e permette alla volontà di amare Dio, il prossimo in Dio in modo soprannaturale, cioè con la Carità.

Vediamo che ci sono due ordini di conoscenza, due luci: la luce della ragione e la luce della fede; la luce della ragione che è una luce naturale e la luce della fede che è una luce sovrannaturale.

Vediamo anche che ci sono due oggetti di conoscenza: l’oggetto della ragione che consiste nelle conclusioni a cui ci può condurre il ragionamento, e l’oggetto della fede che consiste dei misteri in Dio nascosti, nelle parole del Concilio Vaticano Primo “che non possono essere noti se non divinamente rivelati”.

La ragione e la fede sono compatibili, il Vaticano Primo, nella Costituzione Dei Filius dice: “benchè la fede sia sopra la ragione, non è in nessun senso contrario ad essa, e non può darsi mai qualsiasi reale disaccordo tra la fede e la ragione, poiché il Dio che rivela i misteri della fede e la infonde in noi è lo stesso che ha infuso il lume della ragione nell’animo umano; Dio non può quindi negare se stesso, né la verità contraddire la verità”.

Dunque, la ragione e la fede sono due tipi di luce, il primo naturale, il secondo sovrannaturale, esse ci prestano aiuto per attraversare, per così dire, la notte scura di questo mondo, non sono incompatibili, sono solo diverse, e i loro oggetti sono anche diversi sono due tipi di verità: il primo naturale, il secondo sovrannaturale, anche loro non sono incompatibili, ma sono diverse, perchè questi due tipi di verità appartengono alla stessa realtà, all’una, unica realtà costituendone due dimensioni diverse.

Diamo l’esempio di un cammino attraverso un bosco durante la notte:la luna ci mostra il bosco e la torcia ci mostra il cammino dentro al bosco, due luci compatibili ma diverse che ci mostrano entrambe una unica realtà.

La fede non è un insieme di credenze come nelle altre religioni, non è un’esperienza o sentimento che viene da dentro dell’uomo, come pretendono i modernisti, ma è una Luce, una conoscenza data da Dio.

L’Oggetto della fede non è una fabbricazione dell’uomo o del Demonio, come nell’Induismo per esempio; non è una fabbricazione mescolata con la Verità, come l’Islam per esempio; non è una verità parziale come il giudaismo o il protestantesimo, ma è la Verità tutta intera che, nell’analisi finale, è Dio stesso.

La luce della fede ci rivela il suo Oggetto in modo oscuro in questo mondo, ma nell’altro mondo questa luce di fede si trasformerà nella luce della gloria che ci rivelerà il suo Oggetto chiaramente, dentro dei limiti del Soggetto finito che siamo: “adesso vediamo come nello specchio e ora faccia a faccia” (1Cor. 13,12), “Dio come è” sicut est, la visione per la quale siamo stati creati, per la quale siamo stati elargiti dell’anima della conoscenza e della fede.

Proviamo a santificarci, dunque, in questa notte scura della vita terrena, per l’intercessione della Santissima Vergine Maria, Sede Sapientiae, Mater Boni Consilii, per godere pienamente e
perfettamente della luce Divina in cielo, alla Gloria del Santissimo Nome di Dio.

Fede e credibilità

Cominciamo con la definizione del Primo Concilio Vaticano: “La fede è una virtù sovrannaturale, per mezzo della quale, tramite l’ispirazione e l’aiuto della grazia di Dio, crediamo che ciò che Dio ci ha rivelato è vero, non perchè nella luce della ragione percepiamo la sua Verità intrinseca ma per l’autorità del Dio rivelante, che non può ingannare, nè essere ingannato”.

Vediamo qui che il fondamento della fede non è la ragione ma l’Autorità di Dio, in questo ci
distinguiamo dai così detti “razionalisti”, che pretendono che la sola ragione sia affidabile, che la sola ragione sia la facoltà per raggiungere la Verità assoluta, che non ci sia un’altra specie di evidenza, che non ci sia una Luce superiore, e che non ci sia altra Verità superiore a quella che raggiunga la ragione; mentre noi professiamo che c’è un’altra specie di evidenza, cioè l’Autorità di Dio, che c’è una Luce superiore, cioè la Luce della Fede, e che c’è una Verità superiore, cioè la

Verità della Fede.

Come danno i razionalisti una tale importanza alla ragione? forse perchè ritengono che la ragione ci possa dare una certezza assoluta delle cose e vogliono avere una certezza di questo grado su la Verità assoluta, ma quando riflettiamo un attimo, vediamo che la ragione purtroppo non può darci la certezza assoluta di molte cose, non sappiamo con certezza assoluta quasi nulla nella nostra vita, non sappiamo con certezza assoluta che i nostri genitori siano davvero i nostri genitori, che i nostri amici non siano in verità i nostri nemici, se la ragione non può darci la certezza assoluta di tante cose nella nostra vita, come dovrebbe darci una tale conoscenza della Verità assoluta?

Possiamo concludere che la ragione non è un fondamento molto sicuro quando si tratta della Verità assoluta, abbiamo bisogno di un’altra forma di certezza che i razionalisti non apprezzano, forse perchè non è scientifica neppure intrinseca alla mente come la certezza della ragione.

Questa è la certezza della credibilità, la specie di certezza normale nella nostra vita, una certezza che si basa sulla parola di un altro, sull’autorità di un altro, la certezza, per esempio, che i nostri genitori sono davvero i nostri genitori, e che i nostri amici sono i nostri amici, la Fede è un esempio di questa specie di certezza, la certezza di credibilità e si basa sulla Parola di un Altro, sull’Autorità di un Altro che, in questo caso, è nessun’altro che Dio stesso, e non c’è un’autorità più grande, nè un fondamento del credere più solido, ne più sicuro.

Qualcuno potrebbe obiettare, chiedendo: come sappiamo che il contenuto della Fede provenga davvero da Dio e che la Bibbia e l’insegnamento della Chiesa non siano soltanto delle fabbricazioni dell’uomo? L’evidenza sta nei miracoli e profezie e la Chiesa stessa.

Nostro Signore Gesù Cristo + confermava le Sue parole con segni e miracoli e i Suoi Santi hanno fatto lo stesso, la conversione di quasi tutto quanto il mondo dal paganesimo a Cristo e la santificazione di tante anime, malgrado la natura caduta, malgrado tutte le persecuzioni e gli ostacoli, e per mezzo di Predicatori umili e semplici è un miracolo che attesta la Verità di questa predicazione, come anche la propagazione della Chiesa, la sua santità, la sua inesauribile fecondità per ogni bene, la sua unità e stabilità, invincibili.

Si può aggiungere che l’altra evidenza della Verità della nostra fede sta nella sua profondità, la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, predica “Dio Amore” che si da fino alla morte di Croce per noi, la Chiesa Cattolica ci da la spiegazione più profonda della vita umana e di ciò che c’è di più profondo in essa, cioè, la sofferenza e l’amore.

Nessun altra cosiddetta “fede” o religione è paragonabile con il Cattolicesimo in questi riguardi, e nessun altra proclama nessuna verità che non sia già contenuta nel Cattolicesimo.

Possiamo dunque concludere che la Fede è una forma di certezza, la certezza della credibilità ed in questo senso è inoltre ragionevole, anche se non dipende dalla sola ragione, ma proprio per questo motivo la Fede esige l’umiltà, il sacrificio, il sacrificio del desiderio di conoscere tutto con le proprie forze, con la certezza scientifica ed intrinseca della ragione, come i razionalisti.

Siamo dunque umili e accettiamo la Fede e tutto ciò che contiene, come siamo anche “obbligati” perchè, come dice il Signore: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno”.

L’obbligo della Fede

Il Concilio Ecumenico Vaticano Primo dichiara, dogmaticamente, che la Fede è
una virtù sovrannaturale per mezzo della quale, con l’aiuto e sotto l’ispirazione della Divina Grazia, crediamo essere veri i Misteri rivelati da Dio. Questo non per la intrinseca verità delle cose intelligibili alla luce naturale della ragione, ma per l’autorità del Dio rivelante che non può né ingannarSi né ingannare. Vediamo che il fondamento dell’atto della Fede non è né ragionamento, né l’evidenza della verità che ci induca a credere, bensì la volontà.

San Tommaso D’Aquino descrive l’atto di Fede come un atto dell’intelletto che consente alla Verità Divina tramite un ordine della volontà mossa da Dio, mediante la Grazia, dove la volontà possiede la principalità e l’intelletto aderisce alla verità perchè lo vuole “quia vult”.

La Fede anche se non è conseguenza di ragionamenti, non è per questo irrazionale né un
annullamento della ragione, bensì, ragionevole e san Paolo la chiama “un ossequio ragionevole”. Si crede sull’autorità di Dio stesso, sull’evidenza dei miracoli, e dell’espansione e della santità della Chiesa, e della vita, la dottrina, e l’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo +, per questo è ragionevole. La Fede libera, si può accettare o no. Se qualcuno vuole fare la volontà di Dio, lui conoscerà la dottrina, dice il Signore, e Ludolfo il Certosino commenta: ” O discorso pieno di consolazione!

Venite dunque, ignoranti che non conoscete la dottrina, per illuminarvi, Dio non chiede che una cosa la semplice disposizione del cuore, se qualcuno volesse, conoscerà. Non dite “non so dove è la verità, ed ignoro ciò che Dio chiede di me”, volete e basta! Volete, e conoscerete!” basta dunque volere, basta volere per avere la Fede, basta volere anche per divenire Santi.

E dove voglio mettere la mia fiducia se non in Dio? Se non nella Verità assoluta da Dio rivelata?
Occorre però l’umiltà e l’ubbidienza, l’ubbidienza della Fede di cui parla San Paolo e per questo i superbi e i disubbidienti non accetteranno la Fede, i farisei, nel Vangelo di oggi, riconoscono che Nostro Signore Gesù Cristo + è verace, e lo dicono, ma non lo accettano, vedono i Suoi miracoli, ma non credono, e gli agnostici, gli atei, gli eretici che sanno ciò che è la Fede, e non sono semplicemente ignoranti, confusi, e non la accettano, mancano le virtù dell’umiltà e dell’ubbidienza, e come dice il Signore preferiscono le tenebre alla luce, perché le loro opere sono cattive.

Ma la Fede non è solo una possibilità per tutti, bensì, anche un dovere; un dovere per ogni uomo, perché Dio vuole che ogni uomo sia salvato e venga alla conoscenza della verità, che è la Fede, così che chi non crede fallisce nel suo dovere, anzi, come dice il Signore: chi non crederà sarà condannato, e in un altro luogo: se non credete che Io Sono, morirete nel vostro peccato.

Sant’Agostino commenta: cosa bisogna credere? Bisogna credere che Gesù è “quia ego Sum”, bisogna credere che Egli è Colui stesso che ha detto a Mosè: “Ego Sum, Qui Sum”, bisogna confessare la Sua Divinità.

L’Atto di Fede è libero, dunque, e deve essere libero perché Dio vuole l’amore e solo un atto libero può essere amore, difatti l’atto di Fede è proprio l’inizio dell’amore verso Dio che illuminerà la Fede, illuminerà la mente con la verità divina che ci permetterà, poi, di amare Dio pienamente e in tutte le cose. L’Atto di Fede è un atto di amore, anzi un atto di sacrificio, un sacrificio di ciò che è la facoltà, la più alta, la più nobile dell’uomo, cioè, l’intelligenza, è un sacrificio dell’intelligenza a ciò che è
ancora più alto e più nobile di essa, cioè la Verità assoluta e definitiva che è Dio stesso.

Questo sacrificio conduce ad un secondo sacrificio, ossia della volontà al Bene assoluto, definitivo che è Dio.Così la Fede conduce alla Carità che è un sacrificio di tutto ciò che non è Dio, per santificare l’uomo e per trasformarlo in Dio. Questo sacrificio dell’intelligenza e della volontà non danneggiano l’anima, però, come il sacrificio che fa colui che rifiuta la Fede, che piega l’anima su se stessa e la degrada nel fine di compiere quell’atto che è il più misero di tutti gli atti che è l’adorazione di se stesso, bensì il sacrificio che è l’atto di Fede porta l’anima alla sua somma e nobilissima elevazione; la ragione e la volontà divengono illuminate, la mente e il corpo intero divengono luce, con la luce che ci mostra la strada verso il Cielo, per adorare lassù quella Verità e quella Bontà che è Dio stesso, quella Luce che è la fonte e il Padre di tutte le luci per immergersi in Lui, e contemplare per sempre poi gli splendori infiniti della Sua gloria.

Fino, forse, a cinquant’anni fa, gli uomini della Chiesa presentavano una visione della realtà, a cui ho accennato domenica scorsa (leggasi la predica del 15.5.2011), di Dio Uno e Trino, assolutamente trascendente e soprannaturale, nel senso che è al di sopra di tutto il Creato, che elargisce sugli uomini la grazia soprannaturale, così creando l’ordine sovrannaturale illuminando la loro conoscenza con la fede e accendendo la loro volontà con la carità, affinchè l’uomo si possa elevare ed unire a Lui quaggiù e nel Cielo, per questo scopo crea la Chiesa a cui affida la grazia dei Sacramenti e tutte le verità soprannaturali sulla fede e la morale, soprattutto i Dieci Comandamenti di cui l’uomo avrà bisogno per attraversare questo mondo. Coloro che seguono questa strada, apparecchiata per loro da Dio, raggiungeranno il Cielo, coloro che non la seguiranno finiranno nell’Inferno; la strada che conduce al Cielo è stretta e richiede ascesi e mortificazione, anche se porta con se la pace e la più profonda felicità possibile in questo mondo; la strada che conduce all’Inferno è larga invece, non richiede sforzi e porta con se piaceri, ma piaceri passeggeri che cedono poi alla tristezza e spesso alla disperazione.

Da circa cinquant’anni, dunque, molti uomini nella Chiesa presentano un’altra visione della realtà, la grazia e l’ordine soprannaturale non sono più menzionati, la fede cattolica sarebbe secondo loro un sistema di credenze sullo stesso livello di quello dei protestanti, o di qualsiasi altra confessione cristiana o di quelle di tutte le altre religioni; il “Credo” non sarebbe più necessario, per raggiungere il Cielo.

La fede come vediamo, per esempio, nella trascuratezza della dottrina del Limbo, non sarebbe più necessario a questo fine neanche il Battesimo, nè l’appartenenza alla Chiesa Cattolica, il Battesimo diverrebbe così una convenzione e la Chiesa solo un raggruppamento di persone con le stesse credenze; non sarebbe necessaria neppure la Carità dell’amore soprannaturale, ma basterebbe l’amore in senso assai vago e indefinito, relativo solo alle necessità umane dell’uomo, quell’amore che secondo molti è l’essenza dell’Ecumenismo, mentre la prima finalità del Matrimonio (che è uno dei Sette Sacramenti) sarebbe la chiave della vita eterna.

Questo amore e la gioia a cui conduce, costituiscono un vangelo positivo opposto ad un Vangelo negativo che si occupa di mortificazione, di peccato e dell’Inferno. Questa visione rappresenta un allontanamento dall’oggettivo, dalla realtà, dalla verità oggettiva, l’ordine soprannaturale, l’autorità, le leggi, la giustizia verso il soggettivo, l’amore, la comunione e la vera gioia.

L’insegnamento è cambiato, dunque, la nostra domanda perciò è: “quale insegnamento è giusto, quello tradizionale o quello moderno? O forse l’insegnamento tradizionale era giusto, e allora adesso, l’insegnamento moderno è giusto?”Diamo un esempio: la fede e la carità sono necessarie alla salvezza, o non lo sono? Oppure, erano necessarie nel passato, ed ora non lo sono più?

Carissimi amici, la risposta è chiara come la luce: l’insegnamento tradizionale è giusto e quello
moderno è falso!La fede e la carità sono necessarie per la salvezza e lo saranno sempre!Perchè è giusto l’insegnamento tradizionale?

Perchè l’insegnamento tradizionale è l’ insegnamento della verità oggettiva che la Chiesa ha
ricevuto da Dio stesso, secondo le parole del Signore nel Vangelo di oggi: “quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera”, l’insegnamento tradizionale è insegnamento di verità oggettive, dunque, che come tali sono immutabili, immutabili come le verità della matematica: se due più due fanno quattro, oggi, lo faranno anche domani!

Questo insegnamento tradizionale della Chiesa, dunque, non è cambiato, non cambierà e non può cambiare, come la Chiesa stessa non è cambiata a questo riguardo e non cambierà, non può cambiare!

Come sappiamo che l’insegnamento tradizionale sulla necessità della fede e della carità e sulla
salvezza, o sulla Santissima Trinità, sulle realtà della Beata Vergine Maria, sull’Incarnazione, sulla morte e risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo + è vero?

Perchè la Chiesa col sostegno dello Spirito di Verità, che è lo Spirito Santo, l’ha definito come tale, la Chiesa l’ha definito come dogma, come divinamente rivelato e da credere come tale per ogni membro della Chiesa Cattolica, così che, chi la nega, anche solo un solo articolo, sarà escluso dalla comunione della Chiesa.

Coloro che insegnano dottrine opposte non possono cambiare l’insegnamento Cattolico, dunque, non ne hanno il potere perchè quell’insegnamento è immutabile, non hanno l’autorità, la competenza, perchè hanno l’autorità e la competenza solo per insegnare il Depositum Fidei, i dogmi della fede, per insegnare i quali hanno ricevuto il “munus docendi” l’ufficio per insegnare, perciò non possono cambiare l’insegnamento.

Sono loro come i professori incaricati ad insegnare la matematica, i quali insegnano infatti, che due più due fa quattro e non che due più due fa tre, non possono cambiare la matematica perchè le sue verità sono immutabili e non hanno neanche l’autorità poichè hanno ricevuto solo l’autorità e la competenza di insegnare la matematica.

Ora, i così detti modernisti, pretendono che il fondamento teologico per il cambiamento
dell’insegnamento risiede nel fatto che l’oggetto della fede è l’esperienza religiosa, il senso
religioso, di cui l’espressione cambia e si sviluppa attraverso i tempi.

La Chiesa Cattolica, invece, ha condannato queste due dottrine.Ha condannato la prima dottrina, che la fede si riduce all’esperienza religiosa, nel Decreto Lamentabili e Pascendi di san Pio X e ha condannato la seconda dottrina, che il dogma cambia e si sviluppa, nell’Enciclica Humani generis di Pio XII, la Chiesa insegna che il dogma secondo il suo contenuto è di origine veramente divina, che è l’espressione della verità oggettiva e che il suo contenuto è immutabile, non c’è dunque cambiamento ne sviluppo nel contenuto del dogma, l’unico tipo di sviluppo che attinge al dogma è lo sviluppo della sua espressione che nel corso dei secoli diviene più chiara e più profonda, come è nelle parole di san Vincenzo Lerino citate nella Costituzione Dei Filius del Concilio Vaticano Primo: “solo nello stesso dogma, nello stesso senso e nello stesso modo di intendere” – in eodem dogmate,
eodem sensu, eademque sententia -.

In una parola, i dogmi della Chiesa, le sue verità oggettive, che ha ricevute da Dio stesso con
l’incarico di insegnarle le corso dei secoli, non cambiano e non possono cambiare, solo la loro
espressione può cambiare ma divenendo più chiara, più profonda, come la luce del sole che cresce fin dall’aurora e a mezzogiorno rimane la stessa luce, nelle parole di san Vincenzo Lerino.

La ragione ultima, carissimi fedeli, per la quale l’oggetto della fede non può cambiare è che il suo Oggetto nell’ultima analisi è Dio stesso, Lui stesso è quel sole, quel sole increato che noi
percepiamo nel corso del nostro passaggio attraverso il deserto di questo mondo, che percepiamo in modo debole come all’aurora, e in modo forte come a mezzogiorno, Lui stesso è quel sole che manda i suoi raggi, che emette la Sua luce e la Sua Verità per illuminare le nostre menti con la fede, così che possiamo dire col Salmista:”Nella Tua luce vedremo la luce”; Lui stesso è quel sole che in questo mondo non possiamo guardare direttamente con gli occhi a causa dell’eccesso della Sua Divina gloria, ma che vedremo nel prossimo mondo, quando la luce della grazia si trasformerà nella luce di gloria, quando Lo vedremo faccia a faccia e quando, nelle parole dell’Apocalisse: “non vi sarà più notte e non avremmo più bisogno di luce di lampada perchè il Signore Dio ci illuminerà e regneremo con Lui nei secoli, dei secoli. Amen”.

Il matrimonio secondo la dottrina di Trento

joseph-mary-marriage+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il matrimonio è di due generi: il matrimonio come istituzione naturale, e il matrimonio come sacramento. Il matrimonio come istituzione naturale, o il matrimonio naturale, è quello di cui gode ogni coppia legittimamente sposata, se i coniugi non sono entrambi battezzati, od essendo per esempio ebrei, musulmani, buddhisti, o non professando nessuna religione. Al matrimonio sacramentale hanno accesso, invece, solo la coppia di cui tutti e due i membri sono battezzati. Siccome la Grazia suppone e perfeziona la natura in genere, così anche qui. Procediamo esponendo prima il primo genere di Matrimonio, poi il secondo.

I  Il Matrimonio come Istituzione Naturale

Il matrimonio fu istituito da Dio nel Paradiso terrestre per due finalità, che sono espresse in due passi della Genesi. La prima finalità è espressa nel primo capitolo della Genesi (vv. 27-8) con le parole: “Maschio e femmina li creò e li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”; la seconda finalità è espressa nel secondo capitolo della Genesi (vv. 18-24) con le parole: “L’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio… gli tolse una delle costole e formò la donna… per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”.

1) Le Finalità del Matrimonio

In conformità a questi brani della Sacra Scrittura, la Santa Chiesa Cattolica insegna che la prima finalità del matrimonio è la procreazione (ed educazione) dei figli; la seconda finalità è l’assistenza reciproca tra gli sposi.

La prima finalità del Matrimonio è la procreazione. Questo spiega perché la Chiesa ha sempre opposto la contraccezione e predicato uno spirito di generosità alle coppie cristiane quanto al numero dei loro figli.

La seconda finalità è l’assistenza reciproca degli sposi, che si descrive anche come “amore matrimoniale”. Essa può essere intesa come un tipo di amicizia profonda e duratura, che tipicamente, ma non essenzialmente, possiede un aspetto sessuale. L’aspetto sessuale viene descritto a sua volta come remedium concupiscientiae. Ciò significa che l’esercizio della sessualità è lecito ed onesto nel matrimonio, anche se il Peccato Originale l’ha staccata, insieme ai sensi ed alle emozioni, dal controllo completo della ragione, e perciò l’ha disordinata.

Il remedium concupiscientiae è espresso da San Paolo (I Cor.7,2) con le parole “Per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito”. Il remedium concupiscientiae viene considerato come parte della seconda finalità del matrimonio, anche se classicamente fosse considerato come terza finalità, una finalità che si è aggiunta al Matrimonio dopo il Peccato Originale. Inoltre, a queste due (o tre) finalità, il matrimonio ha due proprietà: l’indissolubilità e l’unità.

2) Le Due Proprietà del Matrimonio

Per comprendere cosa sono queste due proprietà, si deve sapere che col consenso reciproco di un uomo ed una donna capaci di sposarsi legittimamente, viene in esistenza tra loro un legame (o vincolo) spirituale, che costituisce l’essenza propria del Matrimonio.

Questo legame è indissolubile nel senso che non viene sciolto che dalla morte stessa. Ciò è espresso da nostro Signor Gesù Cristo con le parole (Mt.19, 6): “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”.

L’indissolubilità del legame preclude il divorzio. La Chiesa può invece concedere la separazione fisica per parecchi motivi, rimanendo salvo il legame, e può anche dichiarare nullo un matrimonio (per mancanza di legittimità ad esempio). Tale dichiarazione non è comunque una forma di divorzio, bensì la semplice dichiarazione da parte della Chiesa che il matrimonio non è mai esistito.

Il legame è unico, invece, nel senso che unisce due persone sole. Ciò è espresso dal Signore con le parole (Mt.19, 5) con cui Si riferisce al sopracitato passo della Genesi: “Non sono più due, ma una carne solo”.

II   Il Matrimonio come Sacramento

Ecco, secondo la dottrina cattolica, i fini e le proprietà del matrimonio come istituzione naturale. Questa istituzione naturale fu elevata da nostro Signore Gesù Cristo ad un sacramento. Come tale acquista tre caratteristiche ulteriori: la prima, l’educazione di un popolo per il servizio e culto del vero Dio e di Cristo nostro Salvatore; la seconda, il segno dell’unione tra Cristo e la Sua Chiesa; la terza, il segno e il dono della Grazia.

1) l’Educazione

Osserviamo che l’educazione dei figli è una conseguenza della procreazione, cioè della prima finalità del matrimonio, e che questa educazione è soprattutto un’educazione morale e spirituale. Nel caso del matrimonio sacramentale, l’educazione morale e spirituale che i genitori devono inculcare nei loro figli è chiaramente quella che corrisponde alla Fede cattolica.

2) il Segno dell’Unione tra Cristo e la Sua Chiesa

Il catechismo di Trento spiega che il matrimonio è segno dell’unione intima tra Cristo e la Sua Chiesa (cf. Ef.5.32), e del Suo amore immenso per noi. Il fatto che il legame matrimoniale è il più stretto di tutti i rapporti umani e coinvolge il più grande affetto ed amore, lo rende il segno più adatto di questa unione.

L’unione tra Cristo e la Sua Chiesa ha due altri significati per il Matrimonio. Il primo, come insegna il catechismo di Trento, è che l’amore matrimoniale sia speciale, santo, e puro; il secondo è che il marito sia il capo della moglie come Cristo è Capo della Chiesa. Per questo motivo il marito deve amare la sua moglie, e la moglie amare e rispettare il suo marito: “Cristo ha amato la Sua Chiesa”, spiega San Paolo, “e si è dato per Lei” (Ef. 5,25), e “la Chiesa è soggetta a Cristo” (Ef.5,24).

Si osserva però che l’autorità cristiana non è egoista, ma è una questione di servizio e devozione secondo l’esempio del Figlio dell’Uomo Che venne non per essere servito ma per servire.

Il catechismo di Trento insegna che il marito deve trattare sua moglie con generosità ed onore: lei è la sua compagna come Eva lo fu per Adamo. Lui deve guadagnare per la famiglia e mantenerla in ordine, anche nel senso morale. La moglie, invece, deve obbedire al suo marito, possedere “l’incorruttibilità di uno spirito quieto e mite” (nelle parole si San Pietro), educare i figli, occuparsi della casa, ed amare e stimare il suo marito sopra ogni altro dopo Dio.

3) Il Segno e Dono della Grazia

Come abbiamo fatto notare all’inizio di questa sezione, il matrimonio, quale sacramento, significa e conferisce la Grazia; conferisce sia la Grazia santificante che quella sacramentale. Il concilio di Trento dichiara (S.XXIV): “Mediante la Sua Passione, Cristo, l’Autore e Perfezionatore dei venerabili sacramenti, meritò per noi la Grazia che perfeziona l’unione naturale (tra gli sposi), conferma la loro unione indissolubile, e li santifica”.

Riguardo a questa terza caratteristica del sacramento del matrimonio ricordiamo che Dio elargisce la Grazia sacramentale nei sacramenti per compiere i fini per cui li ha istituiti. Dunque, tramite il sacramento del matrimonio, Dio conferisce le Grazie necessarie per procreare ed educare figli, e per l’assistenza reciproca degli sposi. Queste Grazie saranno applicate se gli sposi le pregano, e, possiamo aggiungere, se vivono da buoni cristiani frequentando la santa Messa devotamente e pregando con assiduità.

*

Il catechismo di Trento conclude la sua esposizione sul Matrimonio con le parole seguenti: “Così troveranno che le benedizioni del matrimonio cresceranno quotidianamente con l’abbondanza della Grazia divina; e vivendo nella ricerca della pietà, non solo passeranno questa vita in pace e tranquillità, ma anche si riposeranno nella vera e ferma speranza (che non confonde) di arrivare tramite la bontà divina al possesso di quella vita che è eterna.” Amen.

Il senso mistico della Santa Messa

Illuminated Manuscript/Cutting.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.  Amen.

Oggi parlo della Santa Messa, del suo carattere sacrificale, secondo gli scritti di Padre Martin von Cochem ed altri.

Come dico spesso, la Santa Messa è essenzialmente il Sacrificio del Calvario. Questo si manifesta nelle parole: “sacrificio – oblazione – oblata” pronunciate spesso durante la celebrazione, e nelle genuflessioni, negli inchini e nei segni di croce. Si manifesta anche in modo mistico, come mi accingo ora ad esporre brevemente.

Innanzitutto i paramenti rappresentano i vestiti che il Redentore portava il giorno della Sua morte crudele: l’amitto intorno al collo rappresenta le bende con cui gli occhi del Signore furono coperti; il càmice bianco rappresenta la tunica che Erode mette addosso al Signore per dileggiarLo; il cingolo, il manipolo, e la stola che si porta attorno al collo e si incrocia sul petto, rappresentano le corde con cui il Signore fu legato e trascinato attraverso le strade di Gerusalemme; la casula o pianeta assunta sopra le altre vesti significano il mantello di porpora che portava, quando Pilato Lo presentò al popolo dicendo “Ecce Homo”.

L’Altare sopraelevato con su il Crocifisso rappresenta il monte Calvario. Il Celebrante inizia la Santa Messa con le parole In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti, come per dire: “Opero adesso nell’autorità di Dio Padre di Cui sono Sacerdote, di Dio Figlio in Persona di Cui sono Sacerdote, di Dio Spirito Santo per mezzo di Cui sono Sacerdote; oppure: “Offro il Sacrificio in nome di Dio Padre a Cui lo offro, di Dio Figlio in Cui offro e dello Spirito Santo per mezzo di Cui lo offro”.

Seguono le preghiere ai piedi dell’Altare. Il celebrante si inchina profondamente, ciò significa l’inizio della Passione del Signore nell’Orto del Getsemani, dove sudava sangue e pregava prostrato per terra. Bacia l’Altare che ricorda il bacio perfido del traditore Giuda, dopo il quale il Signore fu consegnato nelle mani dei Suoi nemici.

Lo spostamento del messale significa lo spostamento del Signore da un giudice iniquo all’altro: da Anna a Caifa, da Pilato ad Erode, ed di nuovo da Pilato.

All’Offertorio comincia la parte sacrificale della Santa Messa di per sé, quando il Signore misticamente ed anche Realmente viene sacrificato sull’Altare. Il silenzio ricorda quelle ore terribili quando nostro Signore Gesù Cristo + pendeva in Croce e sopportava in silenzio tutti gli oltraggi della moltitudine giudaica.

I ventotto segni di croce durante il Canone, a parte il loro significato sacramentale, ci ricordano i tantissimi dolori e sofferenze che il Redentore ha subito nella Crocifissione. L’Ostia e il Calice vengono alzati affinché i fedeli possano in un certo qual modo compensare, con l’adorazione amorevole dei loro cuori, le indicibili bestemmie e sofferenze che Egli aveva da sopportare.

Il Pater Noster rompe il silenzio per ricordare ai fedeli le sette ultime parole che il Redentore pronunziò in Croce. La Sua morte viene rappresentata dalla separazione del Sacratissimo Corpo e del Preziosissimo Sangue e dalla frazione dell’Ostia. Il Calice rappresenta il sepolcro; la patena la pietra tombale; il purificatoio, la palla, e il corporale, il lenzuolo di lino in cui il Suo Sacratissimo Corpo fu avvolto quando fu disteso nel sepolcro.

L’atto della Santa Comunione è un ulteriore immagine della Sua sepoltura. In questo momento bisogna aprire il cuore per ricevere il Signore come in un sepolcro: chiudendosi al Mondo e unendosi pii ed incorrotti a Lui, per divenire un luogo di riposo per Colui che morì per amore di noi.

La Benedizione finale col segno di croce ricorda ai fedeli, di nuovo, che ogni benedizione viene dalla morte di Cristo. Il Vangelo di San Giovanni viene pronunziato, e termina con le parole “Deo gratias” per ringraziare Dio che nella Sua infinita misericordia ci ha concesso di assistere ad un Sacrificio così prezioso e così Santo.

I fedeli sono congedati con sentimenti di pietà e di umiltà, come uscendo dallo stesso teatro terribile della Morte del Signore sul monte Calvario, dove avessero preso impegno presso la Madonna e a San Giovanni ai piedi della Croce, di meritare il Cielo tramite il compimento fedele dei doveri del proprio stato di vita e mediante l’accettazione con pazienza di tutte le prove, le ingiustizie, le sofferenze, e le difficoltà di questa vita per amore di Nostro Signore Gesù Cristo + Che ci ha amati a tal punto, e il Quale non potremo mai sufficientemente ringraziare ne ripagare per il Suo sempre ardente amore.

+ In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.  Amen.